Una scena della Traviata
di Marco Ribechi
Tutto secondo le aspettative e forse oltre. La Traviata degli specchi di Henning Brockhaus è per lo Sferisterio una solida garanzia. Lo spettacolo che esordì nel 1992, e che negli anni è diventato il titolo più rappresentativo della lirica maceratese, continua ad entusiasmare e strappare ovazioni da parte di un pubblico mai pago.
La magia dello specchio gigante che si alza, inonda la scena di immagini colorate e infine riflette la magnificenza dell’arena regala ad ogni passaggio l’emozione della prima volta, lasciando i presenti rapiti dalla scena. Anche per questa edizione del centenario l’ingranaggio ha funzionato alla perfezione con l’aggiunta di una soprano, Claudia Pavone, che ha letteralmente mandato in visibilio il pubblico sia per le sue splendide doti canore sia per la sua grande forza espressiva, totalmente a suo agio nei panni della bella e sventurata Violetta. Naturalmente affascinante e sensuale Pavone è stata molto credibile anche nelle parti più drammatiche, trasmettendo il dolore di Violetta non solo tramite la parola ma attraverso ogni più piccolo gesto. Un’interpretazione che, persino durante la rappresentazione, ha strappato vari “Brava”, a volte a dire il vero lanciati anche un po’ troppo in anticipo a causa di un pubblico incapace di trattenere un entusiasmo così tracotante.
Ad una regia perfetta e ultra collaudata si aggiungono così altri elementi vincenti che ne impreziosiscono ancor più il risultato finale. Oltre alla Pavone vale la pena citare (senza voler fare un torto agli altri tutti validissimi) anche la prova di Sergio Vitale, ovvero Giorgio Germont, anch’egli salutato con grande fervore dal pubblico e che ha dato il meglio proprio nelle scene condivise con Violetta. Ma la Traviata degli specchi, come aveva già spiegato in altre occasioni il regista, ha subito anche un processo di rinnovamento che ne ha permesso una migliore comprensione e fruibilità. In primis tutti i tappeti che di volta in volta scorrono sotto lo specchio facendo da fondale alla scena sono stati restaurati, recuperando la brillantezza dei colori del ‘92. Le coreografie (la cui responsabile è stata Valentina Escobar) appaiono decisamente migliorate grazie ad un corpo di ballo di dodici elementi incaricato di perfezionare quello che prima era eseguito da attori e figuranti. In più parti della rappresentazione sono state inoltre inserite delle particolari maschere: «L’obiettivo dello spettacolo non è quello di fare realismo – ha spiegato Brockhaus – al contrario voglio parlare con un linguaggio simbolico e le maschere sono quindi funzionali a creare lo straniamento in chi osserva». Infine, originariamente a causa del Covid che non permetteva l’ammassarsi di troppi figuranti, è stato cambiato l’ingresso in scena iniziale con il coro che entra e si ferma a destra e a sinistra della scena come i borghesi che nel romanzo di Dumas “La signora delle camelie” frugano tra i beni della prostituta defunta per cercare di coglierne lo stile di vita.
Ad onor del vero per cogliere tutti questi cambiamenti sarebbe necessario vedere prima la vecchia versione per poterla paragonare ma, in fin dei conti, è il nuovo risultato che conta e la sua ottima fattura che è, questa sì, molto evidente e sotto gli occhi di tutti. Per concludere un passaggio sul direttore d’orchestra Paolo Bortolameolli. Agli aperitivi culturali della mattina aveva affermato: «La particolarità più interessante della musica della Traviata è che non fa solo da accompagnamento alla scena ma esprime e collega i sentimenti dei vari personaggi, creando un parallelismo tra il suono e l’immagine». La sua direzione quindi, con scelte ben precise e accurate, è andata proprio ad enfatizzare questo aspetto senza cedere mai verso l’eccesso ed esprimendo forte coerenza. In conclusione i ripetuti e scroscianti applausi dell’arena hanno tolto ogni dubbio sul favore del pubblico confermando che la Traviata di Brockhaus è uno spettacolo che merita sempre di essere visto e rivisto per apprezzarne ogni singolo aspetto.
(foto Tabocchini/Zanconi)
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