di Gianluca Ginella
«Quello di Azka è stato un omicidio volontario». Questo dice l’accusa che oggi ha cambiato la contestazione che veniva rivolta al padre della 19enne morta perché schiacciata da un’auto. L’accusa ha deciso di aggravare la contestazione mossa al padre della 19enne, Muhammad Riaz, imputato di fronte alla Corte d’assise del tribunale di Macerata, modificando l’imputazione da omicidio preterintenzionale in omicidio volontario.
Una decisione che è stata presa in base alla ricostruzione dell’incidente, alle testimonianze della scorsa udienza, e a quelle che ha reso la madre della 19enne pakistana, sentita oggi in aula. La donna tra l’altro ha detto di una telefonata avuta con il marito quando le figlie erano state allontanate (in seguito alle violenze subite dal padre) e solo Azka era rimasta a casa, in cui l’uomo le avrebbe detto: «se fossero state in Pakistan le avrei già uccise». Cosi ha detto la donna che ha parlato anche di minacce subite da parenti di Riaz per dare di lui una immagine diversa da quella emersa nel corso delle indagini. La donna, che era in Pakistan quando Azka è morta, ora si trova in Italia con un permesso di soggiorno per motivi di giustizia (è parte civile al processo, assistita dall’avvocato Maurizio Nardozza). La donna ha anche confermato che le figlie le parlavano delle violenze subite dal padre e che vengono contestate al processo. Al termine dell’udienza di oggi e sentita la madre di Azka l’accusa ha modifica l’imputazione. Secondo l’accusa Riaz, 45 anni, dopo aver litigato con la figlia e averla picchiata, tramortendola, l’avrebbe poi coricata in mezzo alla strada sapendo che poteva essere investita da un’auto, come poi è successo.
Una tesi nuova e ora il padre rischia una condanna decisamente superiore (il massimo è l’ergastolo) rispetto alla contestazione di omicidio preterintenzionale. Azka era morta il 24 febbraio del 2018 lungo la provinciale 485 a Trodica di Morrovalle. Il padre ha sempre sostenuto che la figlia stava attraversando la strada, e anche un testimone sentito oggi al processo di Corte d’assise ha confermato che mentre si trovava sul posto la sera in cui è morta la 19enne, il padre gli ha detto che la ragazza stava attraversando quando è stata investita. Una dinamica che viene smentita dai consulenti dell’accusa. Tra le contestazioni ci sono anche i maltrattamenti in famiglia verso Azka e gli altri tre figli: in particolare, anche dopo aver abusato di alcol, avrebbe detto loro frasi come «vi odio, non vi posso vedere», li avrebbe anche picchiati ripetutamente pure usando bastoni o mazze da cricket. I fatti contestati, ad eccezione dell’episodio della morte della 19enne, sarebbero avvenuti tra il 2014 e il 2017. Al processo si sono costituiti parte civile i tre figli minori, affidati ad una tutrice, assistiti dall’avvocato Paolo Carnevali, e la madre della 19enne.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati