Una Norma davvero in Gamba

LA RECENSIONE - Grande serata di lirica allo Sferisterio. Due i protagonisti del successo: da una parte il direttore Michele Gamba che ha trainato l'orchestra esaltando le voci, dall'altra il superlativo cast di cantanti. Superba la prova del soprano uruguaiano Maria Josè Siri nei panni della sacerdotessa, del mezzosoprano Sonia Ganassi che interpreta Adalgisa e del Pollione Rubens Pelizzari. Entusiasmo del pubblico che ha applaudito più di una volta a scena aperta. Perfetta alchimia tra regia, scene, luci e costumi

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Siri nei panni di Norma

Maria Josè Siri nei panni di Norma (Foto Tabocchini)

 

Maria Stefania Gelsomini

Maria Stefania Gelsomini

di Maria Stefania Gelsomini

Per capire che sarebbe stata una grande serata di lirica è bastato un solo atto. Già dal gesto grintoso con cui il maestro Michele Gamba ha preso in mano l’orchestra e l’ha guidata nell’overture, si è percepito che il successo di questa Norma, in primo luogo, si sarebbe dovuto a lui. Il mingherlino direttore d’orchestra poco più che trentenne, pupillo di bacchette sacre come Barenboim e Pappano, è assurto agli onori della cronaca lo scorso marzo per essere stato catapultato nel giro di mezz’ora dalla cucina di casa sua, dove si stava preparando un sughetto per la cena, al podio del Teatro alla Scala per sostituire il titolare indisposto nella conduzione de I due Foscari. Il suono pieno, trascinante, coinvolgente rende l’orchestra protagonista ma non oscura, anzi esalta le voci strepitose dei protagonisti. I cantanti, nessuno escluso, costituiscono il secondo ingrediente del successo della Norma firmata da Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi e realizzata in coproduzione con la Fondazione Teatro Massimo di Palermo, dove andrà in scena nel febbraio 2017. L’opera in due atti su libretto di Felice Romani (tratto dalla tragedia Norma, ou L’Infanticide di Louis-Alexandre Soumet) fu rappresentata per la prima volta alla Scala nel 1831.

Una scena di Norma

Un duetto tra Norma (Siri) e Pollione (Pelizzari)- Foto Tabocchini

La sicilianità contemporanea del duo registico si fonde felicemente con la sicilianità ottocentesca di Vincenzo Bellini, trovando nelle scene di Francesca Parolini ispirate ai telai, ai ricami e agli intrecci fatti di materiali d’uso quotidiano dell’artista sarda Maria Lai la chiave ideale per ambientare la vicenda della sacerdotessa dei Druidi che intesse i fili del proprio destino. Anche i costumi di Daniela Cernigliaro e le luci disegnate da Luigi Biondi contribuiscono in maniera determinante a creare quella giusta alchimia che rende la Norma del Macerata Opera Festival 2016 uno spettacolo degno di un grande teatro.
Come in una installazione d’arte contemporanea gli elementi scenografici sono ridotti al minimo, ma colpiscono nel segno: la foresta sacra in cui si svolge la vicenda, dove si trova l’altare del dio Irminsul e dove la casta sacerdotale dei Druidi compie i suoi riti, è simboleggiata da reti alte, fitte e impenetrabili racchiuse dal muro di fondo, la barriera sociale che Norma vorrebbe abbattere per vivere il suo amore con l’invasore romano, il proconsole Pollione, e i loro due figli tenuti segreti. Un muro che si tinge di ogni gradazione di colori brillanti, dal verde al rosa al giallo all’oro al bronzo al viola al rosso. Perché è il colore che domina questa Norma, anche quello sfumato e tenue dei bellissimi costumi del coro, realizzati dalla Sartoria del Macerata Opera in collaborazione con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Palermo con tessuti lavorati a mano intrecciati su telaio e migliaia di metri di corde e fettucce: dal giallo al pesca al rosa quelli femminili, dal verde al celeste quelli maschili, compongono una tavolozza di notevole impatto visivo. Bello ad esempio il contrasto del quadro del primo atto in cui le sacerdotesse vestite di giallo, radunate nel verde della foresta, formano un gruppo compatto che aprendosi fa apparire al centro Norma, che indossa un abito intessuto di fili d’oro.

"Casta Diva"

“Casta Diva” (Foto Tabocchini)

 

Norma minaccia Pollione

Norma minaccia Pollione. (Foto Tabocchini)

Il soprano uruguaiano Maria Josè Siri (Norma), il mezzosoprano Sonia Ganassi (Adalgisa, e memorabile Amneris nell’Aida del cinquantenario) e il tenore lirico spinto Rubens Pelizzari hanno offerto una prova superba per qualità, generosità e intensità. Bene anche il basso Nicola Uliveri (Oroveso), il tenore Manuel Pierattelli (Flavio, e Roderigo in Otello) e il soprano Rosanna Lo Greco (Clotilde). Voci che non si sono risparmiate dalla prima all’ultima nota, scatenando l’entusiasmo del pubblico che ha applaudito più di una volta a scena aperta. Completano il cast la Fondazione Orchestra Regionale delle Marche, il coro lirico Vincenzo Bellini e il complesso di palcoscenico Banda “Salvadei”.
Il primo quadro si apre con il muro dello Sferisterio illuminato da un verde brillante, ed è bastato alzare gli occhi ieri sera per catturare il meraviglioso contrasto cromatico con il cielo, reso violetto da un’innocua cappa di nubi all’ora del tramonto.
La regia, che fa un lavoro minuzioso nella cura dei gesti simbolici dei protagonisti, si concede una digressione temporale nell’overture, quando entra in scena nel fumo vago del sogno la famiglia perfetta, formata da Norma, Pollione e dai loro due figli, vestiti di bianco in stile anni Sessanta. I due genitori sono felici, si amano e giocano con i bambini. Ma è appunto un sogno, perché nella realtà né Norma né Pollione vivono o giocano con i loro figli, che vengono segretamente accuditi da Clotilde.

 

Una scena della Norma

I coristi della Norma. (Foto Tabocchini)

 

Ulivieri Oroveso

Nicola Ulivieri interpreta Oroveso

Si sa quanto tosto e multiforme sia il ruolo di Norma, cavallo di battaglia di stelle del firmamento passato come Maria Callas, Montserrat Caballé e Joan Sutherland, e che oggi per la sua complessità non trova molte interpreti adeguate, perché Norma sta quasi sempre in scena e passa da accenti lirici puri a toni fortemente drammatici. La Siri ha saputo dominare con padronanza e personalità tutti questi passaggi, dalla cavatina del “Casta diva”, la preghiera rivolta alla luna per chiedere la pace (in cui si respira una grande atmosfera con il cerchio stilizzato della luna luminosa, i Galli inginocchiati e Norma al centro avvolta da un fascio di luce bianca quasi fosforescente), fino alle eroiche note finali in cui fiera va incontro alla morte insieme al ritrovato amore Pollione.

I due protagonisti a confronto

I due protagonisti a confronto

Inizia bene anche il tenore Pelizzari con l’aria “Meco all’altar di Venere”, quando racconta un sogno tremendo all’amico Flavio: Pollione non ama più Norma e si è innamorato della novizia del tempio Adalgisa, ma tristi presagi lo atterriscono. La voce è possente e piena di squillo, sostenuta da un fraseggio chiaro e una dizione ottima, canta comodamente nei centri e sale negli acuti con facilità. Il pathos monta, prima con il duetto Pollione-Adalgisa, che non vuol cedere all’amore e si appella al suo Dio ma finisce per cedere all’insistenza del romano (“Al mio Dio sarò spergiura, ma fedele a te sarò”), con una eccellente Sonia Ganassi, poi con il drammatico duetto successivo tra Norma e Adalgisa, quando questa le confessa il suo amore per Pollione (“Sola, furtiva, al tempio”) e viene a scoprire la verità sulla sua relazione con Norma, tradita e abbandonata. Molto azzeccata l’idea registica, con le due donne che si raccontano i reciproci sentimenti d’amore, l’una di fronte all’altra, compiendo gesti identici e simmetrici, contro un muro che si tinge di rosa e tutte le lune accese. Quando Adalgisa pronuncia le parole “Salvami da me stessa, salvami dal mio cor” Norma ripete in silenzio le sue parole: sono prese nella stessa rete d’amore, hanno le stesse reazioni e gli stessi sentimenti, presto scopriranno di amare lo stesso uomo. Quando Pollione arriva e la verità viene a galla, il terzetto offre un finale di atto da ricordare.

Lo Sferisterio all'uscita del pubblico

Lo Sferisterio all’uscita del pubblico (Foto Petinari)

I registi Di Gangi e Giacomazzi durante le prove

I registi Di Gangi e Giacomazzi durante le prove

Ma queste donne non sono mai rivali, anzi sono due grandi figure femminili, che mettono al primo posto l’amicizia (è un filo che gioiose intrecciano insieme) e sono pronte a sacrificarsi l’una per l’altra. Sono talmente simili dentro che lo diventano anche nell’aspetto esteriore, perciò hanno abiti e capelli simili. Norma-Medea, la tragica figura mitologica cui in parte il personaggio si ispira, arriva a pensare di voler uccidere i suoi figli per vendetta, ma non osa e decide di uccidere se stessa e di affidarli ad Adalgisa. L’amica rifiuta, si fa da parte e intercede presso Pollione per Norma, che recupera la speranza di riconquistarlo. Ma la giovane fallisce, Pollione non ne vuol sapere, e allora è tempo per Norma di scatenare la guerra e la furia vendicativa contro gli oppressori romani (“Guerra, strage, sterminio”): il sangue scorrerà, come la lunga striscia rossa proiettata sul muro dello Sferisterio. Norma furiosa istiga Oroveso e i Galli a combattere (“Guerra, guerra! Le galliche selve”), li incita con i gesti delle mani e con tutto il corpo, mentre la scena si colora di luce gialla e i ricami delle reti si fanno rossi. Carica di drammaticità la scena del confronto fra Norma, che deve scegliere una vittima da sacrificare, e Pollione catturato.

Il gran finale

Il gran finale

Il soprano Siri è Norma

Il soprano Siri è Norma

Lei vuole salvargli la vita, basta che lasci Adalgisa, lui rifiuta e si offre come vittima, lei minaccia di ammazzare i figli. Le corde con cui Pollione è incatenato sono le redini con cui Norma tiene in mano la sua vita. Ma quando giunge il momento di fare il nome della vittima sacrificale, la sacerdotessa che infranse i voti da mandare al rogo, Norma in una scena di colpo buia non può far altro che accusare se stessa: è il gesto che fa rinascere l’amore in Pollione (“Moriamo insieme ah! Sì, moriamo”). Prima di immolarsi, Norma svela al padre Oroveso di essere madre e gli chiede pietà per i suoi figli. Allo struggente canto d’amore del finale carico di tensione, con i due amanti felici di morire insieme in una foresta tinta di verde smeraldo, fa da corona il coro dalle mille sfumature cromatiche che intona “Vanne al rogo” su un fondale di luce rossa. Norma e Pollione corrono felici verso la morte, entrando da quella stessa porta da cui all’inizio, felici, erano usciti.
Sì insomma, la Norma che ha debuttato ieri sera ha avuto, forse anche in maniera inaspettata, quella forza espressiva, quella capacità di saper commuovere che all’Otello sono mancate.

Le interviste agli ospiti dello Sferisterio dopo la prima della Norma

 



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