di Alessandra Pierini
Il carciofo di Montelupone è un presidio Slow Food dal 2015 e si prepara all’evento clou della stagione con la 55esima sagra in questo week end nel borgo maceratese (leggi). Marisa Cipriani, dell’omonima azienda agricola di famiglia è la rappresentante dei produttori del pregiato “fiore”. Il suo è un ritorno alla terra dopo esperienze diverse: “I nostri genitori ci consigliavano di fare altro, la campagna è salutare ma è faticosa”.
IL CARCIOFO DI MONTELUPONE – Di colore violaceo con striature verdastre, ha dimensioni più piccole rispetto alla media e non ha peluria interna né spine esterne. Caratteristico dell’omonimo comune, è una varietà tardiva e si differenzia in due ecotipi: la varietà precoce con foglie dal contorno gentile (non seghettate) e più produttiva si raccoglie dalla fine di marzo; l’altro ecotipo ha foglie più seghettate, una dimensione della pianta più piccola e si raccoglie più tardi. Quando la pianta è giovane, arriva a produrre dieci capolini (inflorescenze del carciofo), ma dopo qualche anno scende ad appena quattro. A causa di questo rapido calo produttivo e della resa più bassa della media (5,5 tonnellate per ettaro, a differenza, per esempio, del romanesco che arriva a 10 tonnellate), il carciofo di Montelupone è conosciuto solo a livello locale ed è distribuito in una zona limitata, nonostante la sua altissima qualità. Tuttavia, grazie al gusto saporito e molto dolce, è protagonista di molti piatti tipici, come le tagliatelle ai carciofi, i carciofi fritti e i carciofi alla giudìa. Storicamente, a Montelupone, i primi capolini, quelli più grandi, sono cucinati in padella interi con finocchio selvatico, foglie di aglio fresco, varie erbe aromatiche locali, olio, sale e vino bianco, mentre i capolini più piccoli sono scottati e poi messi sott’olio.
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