La droga dilaga e uccide, deve essere in cima alle preoccupazioni

L'INTERVENTO - "Ineccepibili le parole del procuratore Giorgio sulla diffusione degli stupefacenti a Civitanova. Ha avuto effetti devastanti la legge che non equipara più sostanze leggere con quelle pesanti"

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L'avvocato Giuseppe Bommarito

L’avvocato Giuseppe Bommarito

di Giuseppe Bommarito *

Difficile non concordare con il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, allorché nei giorni scorsi è intervenuto (leggi l’articolo) nello sterile dibattito civitanovese tra centrosinistra e centrodestra sulla sicurezza, portato avanti con l’esclusivo riferimento ai numeri delle denunzie di reato periodicamente forniti dalla prefettura. Giorgio, con poche e nette parole, ha evidenziato il vero problema relativo alla sicurezza, a Civitanova come in tutto il territorio provinciale e regionale: nella discussione in atto – ha detto senza mezzi termini il procuratore – è stato “sottovalutato il problema dello spaccio di droga, di notevolissima consistenza, e del suo consumo”.

Un pronunciamento che – forse pochi lo ricorderanno – ha fatto seguito ad un analogo grido di allarme di Mario Paciaroni, il predecessore di Giorgio alla guida della procura di Macerata, il quale, nell’estate del 2011 intervenne pubblicamente sulla stampa locale evidenziando la pericolosità criminale, a livello sia quantitativo che qualitativo, del problema droga ed impegnandosi personalmente, da quel momento in poi, nell’attività di prevenzione coordinata dal Comitato “Uniti contro la droga” istituito presso la Prefettura di Macerata.

Come è noto, infatti, nella nostra procura è straripante il numero dei procedimenti legati al traffico, al commercio, allo spaccio ed alla detenzione di sostanze stupefacenti. Così come è palese a tutti gli addetti ai lavori che la maggior parte dei reati predatori (furti, rapine e scippi) viene commessa sia da italiani che da stranieri per accumulare una base di liquidità necessaria per entrare nel grande business illecito della droga, l’affare criminale per eccellenza, quello che consente i guadagni più consistenti nel tempo più breve, a tutti i livelli e fatte ovviamente le debite proporzioni nell’ambito della filiera che parte dai vertici dei clan mafiosi ed arriva all’ultimo pusher. Ed anche gli omicidi, esclusi quelli che hanno motivazioni passionali, spesso e volentieri hanno a che fare con la droga, o perché ingerita da criminali che crescono smisuratamente in aggressività o perché alla base di regolamenti di conti e lotte per la spartizione del territorio.

Il procuratore Giovanni Giorgio

Il procuratore Giovanni Giorgio

Eppure, tornando ai nostri lidi, la questione droga dovrebbe essere ben conosciuta nella sua dilagante e devastante estensione dagli amministratori civitanovesi di qualsiasi estrazione, e dovrebbe essere in cima alle loro preoccupazioni, se non altro perché un’indagine della Procura maceratese di circa tre anni fa (una maxi inchiesta di proporzioni colossali) evidenziò proprio a Civitanova un giro di spaccio e consumo di cocaina riguardante la bellezza di circa centocinquanta persone: imprenditori civitanovesi di ottimo livello, professionisti, calciatori eccetera.

Lo stesso sindaco Corvatta dovrebbe poi ben sapere quanto questa piaga riguardi i giovani, civitanovesi e no, a centinaia coinvolti nei rave party, in parte autorizzati ed in parte clandestini, che si svolgevano nei mesi estivi, tutti con licenza di sballo continuo e senza limiti, dinanzi allo chalet sito nei pressi della foce dell’Asola, gestito da persone pregiudicate proprio per reati legati alla droga. Rave party ipocritamente ignorati dalle istituzioni locali e pubblicamente denunziati su questo giornale lo scorso anno, che sarebbero proseguiti tranquillamente se i residenti della zona non avessero cominciato a puntare i piedi e a pretendere dall’amministrazione comunale, a pena di denunzia all’autorità giudiziaria, interventi chiari e limpidi, sino ad arrivare alla revoca della licenza. Il tutto si è tradotto peraltro in una risicata ordinanza di divieto di feste ed intrattenimenti nello chalet in questione per soli dieci giorni, dal 13 al 23 agosto dell’estate appena trascorsa, con la conseguenza che in questo periodo i rave party si sono spostati in un noto locale dell’entroterra portopotentino.

Nel frattempo il lido dinanzi allo chalet di cui stiamo parlando è stato quest’estate comunque animato dalle pericolose evoluzioni, in spiaggia e sullo yacht ormeggiato proprio lì davanti, di un notissimo imprenditore civitanovese che forse, per i gravi problemi della sua azienda, meglio avrebbe fatto a non farsi vedere in giro in condizioni così pietose, fulgido esempio per le nuove generazioni, con tanto di segnalazione di diversi bagnanti alla capitaneria di porto per le manovre fatte nella zona di rispetto per la balneazione.

Comunque, riferimenti locali a parte, la droga dilaga e non sembra subire battute di arresto legate alla crisi economica che sta fiaccando tutti i consumi, specialmente quelli voluttuari. E’ proprio di qualche giorno fa, a Porto San Giorgio, l’ennesimo caso di overdose mortale, verificatosi dopo una primavera ed un’estate assolutamente terrificante per le Marche, segnate da almeno una decina di decessi per intossicazione acuta da sostanza stupefacente e sempre più proiettate ai vertici delle tragiche classifiche nazionali ed europee del tasso di mortalità per droga (in altri termini, in proporzione al numero di abitanti, si muore per droga più nelle Marche che in Campania, Lombardia, Lazio e più che in qualsiasi altra regione europea).

La droga dilaga anche per le contraddizioni di uno Stato che, in questo ambito riesce a dire e a fare tutto e il contrario di tutto (come in quelli del gioco d’azzardo, del tabacco e dell’alcol, tutte forme di dipendenza patologica per le quali dapprima si consente di invogliare i potenziali consumatori, di fatto anche minorenni, con pubblicità efficaci ed invasive, e poi, per i notevolissimi costi sociali e sanitari che ne derivano a carico dei cittadini e della stessa collettività, si interviene per combatterle ed affrontarle in sede di recupero e riabilitazione), in una continua manifestazione di incoscienza e dabbenaggine normativa allo stato puro, se non di complicità vera e propria con le lobby delle droghe legali ed illegali.

Accade infatti, tanto per fare un esempio, che, mentre il Dipartimento Politiche Antidroga, struttura altamente specialistica della Presidenza del Consiglio dei ministri, quasi tutti i giorni evidenzia che le sostanze attualmente derivate dalla cannabis (hashish e marijuana) sono a tutti gli effetti droghe “pesanti”, avendo ormai una concentrazione di principio attivo, il THC, pari al 50-60% (assolutamente non paragonabile al 3-4% di dieci o venti anni fa); che le stesse ormai danno luogo, specialmente per i consumatori adolescenti, a gravissime problematiche sanitarie e psichiatriche e anche ad una pesante dipendenza psicologica di cui ogni Sert d’Italia potrebbe ampiamente resocontare; che l’età dei consumatori è scesa agli 11-12 anni e che quindi proprio i ragazzini appena usciti dalle elementari sono le vittime privilegiate di spacciatori senza scrupoli e senza pietà; ebbene, mentre tutto ciò è sotto gli occhi di tutti, in altri ambiti lo stesso Stato italiano va incoscientemente e disinvoltamente in direzione totalmente contraria.

Lasciamo da parte per carità di patria, a questo proposito, i penosi ammiccamenti per motivi elettoralistici di molte regioni (Regione Marche compresa) circa la cannabis terapeutica e concentriamoci invece sugli effetti devastanti della sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, che a febbraio ha cancellato per motivi puramente formali di tecnica legislativa due articoli della legge vigente sulla droga, di fatto eliminando l’equiparazione – relativamente alle pene previste – tra le varie sostanze stupefacenti e ripristinando l’obsoleta e scientificamente insostenibile distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, che ormai – come sopra ho detto – altre strutture dello Stato reputano a ragion veduta del tutto inesistente.

Il brillante risultato di tale decisione è stato che la pena per le attività criminali (spaccio, traffico, commercio eccetera) riguardanti la cannabis oggi varia da un minimo di due anni ad un massimo di sei anni (in precedenza la forbice anche per tale sostanza era invece tra sei e venti anni). Ebbene, abbinando tale pronunzia con gli effetti di un decreto legge dello scorso mese di giugno (il n. 92/2014), poi convertito in legge, che esclude la carcerazione in via cautelare in ogni caso in cui si possa prevedere che all’imputato venga inflitta una pena inferiore a tre anni, si è creata una situazione inammissibile a livello sociale e criminale, di fatto con l’impossibilità di arrestare spacciatori di cannabis che magari stanno offrendo la sostanza a bimbetti di poco più di dieci anni e con la scarcerazione di detenuti già condannati per tale titolo, magari per essere stati trovati in possesso di centinaia di chili di cannabis, che hanno avuto comunque diritto ad un ricalcolo della pena secondo i nuovi parametri.

Insomma, lo Stato, così facendo aiuta di fatto gli spacciatori e le organizzazioni criminali mafiose, le quali potranno schierare sul campo numeri crescenti di pusher sempre più impuniti ed irridenti, e sempre più decisi a vendere la morte. Come a dire ai delinquenti: spacciatori di tutti i paesi, unitevi e venite da ogni parte del mondo in Italia, perché qui si può delinquere tranquillamente e senza conseguenze di sorta e perché qui dei giovani, anche dei nostri figli, non ce ne importa un fico secco. E come dire alle forze dell’ordine, già scioccamente sbeffeggiate quando, facendo null’altro che il loro dovere, intervengono per cercare di sottrarre qualche ragazzino alla tragica spirale del consumo e dello spaccio: disinteressatevi del microspaccio, quello che materialmente consegna la droga in mano alle giovani e giovanissime vittime, perché tanto gli spacciatori poi se la caveranno con una pacca sulle spalle e potranno il giorno stesso riprendere il loro infame mestiere, ridendovi spudoratamente in faccia.

* Avvocato Giuseppe Bommarito, presidente associazione Con Nicola oltre il deserto dell’indifferenza)



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