Leandro era un signore ultraottantenne che in un certo giorno del 1978 si spense in un palazzo di Martina Franca dove in un altro appartamento abitava anche la famiglia del romanziere Donato Carrisi che allora aveva cinque anni e oggi racconta il singolare episodio che gli capitò di vivere per quella morte. Perché singolare? Perché tanta gente si recò a rendere omaggio alla salma e con commossa gratitudine fu accolta dai congiunti di Leandro ma non venne ammessa a vederne il corpo composto nel letto. E la ragione stava in uno “strano inconveniente che si era presentato al momento del decesso”, così fu detto alla mamma del piccolo Donato, che, incuriosito da quel mistero, s’infilò di soppiatto fra i familiari di Leandro e raggiunse la camera dove giaceva il defunto. “Sembrava che dormisse”, ricorda oggi Carrisi, “ma sul suo volto faceva bella mostra un sorriso che non era un ghigno né una smorfia impertinente e beffarda né un risolino di circostanza o un’ilarità da foto ricordo. Invece era un sorriso da dieci in pagella, da primo premio, da tredici al totocalcio, un sorriso da Miss Italia”. Era questo l’inconveniente che si credeva fosse meglio tenere nascosto: i morti non ridono. Si chiede Carrisi: “Cosa ha visto il signor Leandro mentre moriva? Quale spettacolo stupendo gli è apparso davanti agli occhi, tanto da non trattenere una bella risata?” E conclude: “Quando capiterà a me, ne voglio una uguale”.
L’opera vincitrice della Biennale Internazionale dell’Umorismo (clicca sull’immagine per guardare il video)
Ho letto questa storia sulla pagina culturale del Corriere della Sera e non ho potuto fare a meno di collegarla alla ventisettesima biennale dell’umorismo di Tolentino, il cui tema, stavolta, era “O combatti, o scappi, o ridi”, nel senso che di fronte alle avversità (e quasi sempre l’idea della morte lo è) si può combattere, si può scappare ma anche, e in entrambi i casi, sorridere. Straordinario successo, su scala internazionale. Le opere che concorrevano al premio sono state più di novecento e sono state presentate da oltre quattrocento autori provenienti da ben cinquantacinque paesi. Le giurie sono state di due livelli: la prima, specialistica, ha scelto settanta opere e la seconda, più aperta, ne ha scelte sei, tutte a pari merito. Dopodiché, via alla votazione in rete. L’elenco dei paesi d’origine – ripeto: cinquantacinque – sarebbe troppo lungo, per cui milito a citare quelli della seconda selezione: Argentina, Belgio, Bulgaria, Cina, Francia, Giappone, Grecia, Iran, Israele, Italia, Moldavia, Montenegro, Norvegia, Polonia, Repubblica Slovacca, Romania, Russia, Serbia, Spagna, Stati Uniti, Turchia, Ucraina. Ha ragione il direttore artistico Evio Hermas Ercoli, al quale si deve l’idea del tema conduttore e della votazione finale nel web, a dire: “Non c’è, almeno nelle Marche, una manifestazione culturale così cosmopolita”.
La novità? Certamente il voto definitivo, nel web, al quale, oltre agli iscritti intercontinentali ai social network, anche i lettori di Cronache Maceratesi. Quanti voti? Più di ottomila. E quanti ne ha avuti il vincitore? Duemila e settanta. E chi è? Si chiama Gumus Musa, turco, autore della vignetta intitolata “Escape”, ossia “fuga”. Il tema è centrato alla perfezione: sulla sinistra spicca la scena di un bombardamento di guerra, jet in picchiata, bagliori di fuoco, macerie, e al centro, in un’ampia parete risparmiata da quell’immane disastro, un omino ha disegnato un aereo, ci è salito e col volto atteggiato alla felicità forse irreale – ma vera – dei sogni si accinge a prendere il volo verso la salvezza. Scappa, dunque, e ride. Sì, ridere. Ecco perché la biennale tolentinate dell’umorismo ha sempre avuto (stavolta più di sempre) una valenza artistica, certo, ma anche culturale e in fondo filosofica, tale da insegnarci qualcosa di ineffabile e tuttavia di prezioso, specie in tempi duri come quelli attuali. Ed ecco perché il pensiero mi è corso alla risata del signor Leandro che muore.
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