di Giuseppe Bommarito*
E’ di qualche settimana fa la notizia di una mamma di Matelica che è andata nella caserma dei Carabinieri a denunziare per spaccio di sostanze stupefacenti il proprio figlio di diciassette anni (leggi l’articolo). Si era insospettita per alcuni comportamenti anomali del ragazzo, in sua assenza ne ha perquisito la stanza e così sotto il materasso ha trovato una scorta di hashish, un bilancino e il necessario per preparare le dosi.
Pochi giorni dopo l’ha seguita sulla stessa strada un’altra mamma di Fermo, che il figlio – questa volta maggiorenne – lo ha fatto proprio arrestare, a tutela della propria incolumità e nella speranza che il carcere potesse essere per il giovane, già con diversi anni di tossicodipendenza sulle spalle e con alcuni precedenti giudiziari, lo stimolo ad entrare in una comunità terapeuticae così imboccare un serio percorso di cura e di riabilitazione.
Com’era prevedibile, tali gesti hanno suscitato commenti di segno opposto, con l’opinione pubblica che si è divisa nel giudicare il comportamento di queste madri, determinate e sicuramente addolorate. Alcuni lo hanno considerato utile e positivo per i figli, minorenni o maggiorenni che siano;mentre altri, invece, hanno criticato aspramente la denuncia alle forze dell’ordine dei giovani spacciatori, partita proprio da uno dei loro genitori, all’insegna dei principi secondo i quali i panni sporchi vanno lavati in famiglia e i figli, più che segnalati ai carabinieri ed ai poliziotti, vanno compresi e ricondotti con il dialogo sulla retta via.
A me sembra che queste madri meritino tutto il sostegno possibile, perché, con un gesto sicuramente “forte” (nel secondo caso forse indispensabile per non soccombere anche a livello fisico), probabilmente venuto dopo una serie di inefficaci discussioni, hanno mostrato a tutti come veramente si deve voler bene ad un figlio.
Non hanno fatto finta di non vedere nonostante le evidenze; non sono rimaste in silenzio e nell’immobilismo più totale per l’angoscia o per una ipocrita sensazione di vergogna (“che dirà la gente?”); non si sono limitate ad imprecare contro i mali della società e la piaga della droga, ormai di dimensioni bibliche, aspettando passivamente che qualcun altro tentasse di risolvere il problema; non si sono accontentate delle risposte sicuramente minimizzatrici dei figli, che avranno giurato e spergiurato che ormai lo fanno tutti, oppure che si trattava di episodi del tutto isolati, destinati a non ripetersi più. In una parola, non hanno rimandato la totale presa di coscienza del problema per l’umana e comprensibile esigenza di ridurre il proprio dolore.
Al contrario, le madri di Matelica e di Fermo hanno preso il coraggio tra le mani e hanno imboccato il portone della caserma dei Carabinieri, sicuramente con grande sofferenza econ il cuore straziato, ma nella certezza di lottare nel modo giusto, in maniera corretta e leale, per la salvezza dei loro figli. Posso anche immaginare, tra l’altro, che questa decisione abbia creato pure qualche discordia in famiglia, visto che non sempre in situazioni così drammatiche i genitori riescono a concordare sul modo di reagire.
Tanto di cappello, comunque, ed onore al merito. Queste madri coraggio, nella loro dolente comprensione del problema, hanno evitato di fare quello che fanno tanti altrigenitori, inconsapevolmente legati ai figli da una complicità malata che diventa collusione, da una mancata forte stigmatizzazione dell’uso delle droghe (di qualsiasi droga) e dell’alcol che dai ragazzi viene immancabilmente interpretata come implicita autorizzazione all’uso ed all’abuso, da un insincero e vigliacco buonismo che sfocia nell’irresponsabilità e determina sempre l’aggravarsi del problema.
Penso, ad esempio, a quei padri e a quelle madri che vanno sì in caserma, ma per denunziare per diffamazione il preside che, dopo una serie di riscontri abbastanza oggettivi, aveva osato informarli del fatto che probabilmente i loro figli facevano uso di sostanze stupefacenti o, peggio ancora, forse erano dediti allo spaccio dentro la scuola, e quindi sarebbe stato bene verificare attentamente la situazione anche e soprattutto in famiglia.
Certo, di fronte al mistero della droga, all’incomprensibile rifiuto verso la vita (quanto meno, verso la vita reale) di chi si inabissa, di chi si perde nella droga, possono insorgerenei genitori, nei familiari, meccanismi di negazione, di evitamento. Ma devono essere superati, ed anche in fretta, per il bene dei figli e degli stessi genitori, perché l’atteggiamento di sottovalutazione, di minimizzazione a tutti i costi, di disconoscimento della realtà, porta solo male ed accelera ed amplifica le dinamiche autodistruttive (che si estendono all’intero nucleo familiare) e parasuicidarie sottese all’uso della droga.
Personalmente non posso dimenticare la frase devastante di un padre, che qualche tempo fa mi ha detto: “Tu hai perso un figlio per la droga, ma io – perdonami – ti invidio, perché la vita che sta conducendo mio figlio, ogni giorno ad un passo dalla morte per overdose, e la vita che facciamo noi familiari, impotenti di fronte a quella che ci sembra una vera e propria lenta agonia, e costretti nel frattempo a subire prepotenze e violenze quotidiane per la sua continua ricerca di soldi per le dosi, sono terribili, sempre più insostenibili. Non ce la facciamo più. In qualche momento – mi vergogno a dirlo,ma è la verità – giungiamo ad augurarci che l’overdose arrivi per davvero, per farla finita una volta per tutte”.
Insomma, le famiglie devono percepire la gravità della situazione e devono imboccare, possibilmente consultandosi con il Dipartimento Dipendenze Patologiche e le associazioni di volontariato, la strada migliore, o se non altrola meno peggiore (visto che non esistono soluzioni magiche ed istantanee per risolvere il problema, ma solo percorsi lunghi e difficili, pieni di passi avanti e di continui passi all’indietro), per cercare di contrastare all’interno del nucleo familiare, senza chiudere volutamente gli occhi, quella che sempre più si sta rivelando come una vera e propria epidemia sociale e sanitaria.
Un’epidemia che anche in provincia sta colpendo duramente pure ragazzini di 11-12 anni, appena entrati nelle scuole medie inferiori, come scriviamo da circa tre anni su questo giornale, e come denunciato un paio di anni fa dall’allora Procuratore della Repubblica Mario Paciaroni e nei giorni scorsi anche dal Comandante Provinciale dei Carabinieri, il colonnello Marco Di Stefano (leggi l’articolo). E’ bene infatti che si sappia, senza tanti giri di parole, che all’interno o nei pressi della stragrande maggioranza delle scuole medie inferiori di Macerata e provincia circolano e vengono spacciate sostanze stupefacenti, quasi sempre cannabis con il principio attivo che ormai raggiunge mediamente il 50% (pericolosissimo per il sistema cerebrale ancora in formazione degli adolescenti), oppure pasticche di ecstasy, ketamina e simili, da consumare tra ragazzini in occasione di qualche ritrovo o di qualche festa di compleanno.
A Civitanova Marche, ad esempio, circa un mese fa, proprio mentre io e Gaetano Angeletti, Presidente della onlus “La Rondinella” di Corridonia, stavamo tenendo un incontro di informazione e prevenzione con gli studenti di una scuola media inferiore,gli stessi Carabinieri hanno arrestato uno spacciatore posizionato a pochi metri dal cancello della scuola, probabilmente in attesa dell’uscita dei ragazzi.
E qui il problema si sposta dalle famiglie alle scuole, in molte delle quali esso è del tutto minimizzato, se non completamente ignorato, oppure fittiziamente fronteggiato con iniziative occasionali, più o meno a spot, immediatamente percepite dagli stessi studenti come organizzate senza convinzione, quasi per una sorta di dovere d’ufficio, con il dirigente scolastico assente o in tutt’altre faccende affaccendato, che delega ogni cosa in questo campo al docente “designato” e magari nemmeno si degna di rispondere agli inviti dell’apposito comitato istituito presso la Prefettura di Macerata, finalizzati a sollecitare l’organizzazione di efficaci iniziative di prevenzione in tutte le scuole della provincia (sto parlando del Comitato “Uniti contro le droghe”, che raggruppa in funzione preventiva le istituzioni, le forze dell’ordine, il Dipartimento Prevenzione Antidroga, le associazioni di volontariato, le comunità terapeutiche, l’Ufficio Scolastico Provinciale).
Il “sacro” principio dell’autonomia dei singoli istituti scolastici comporta infatti che i vari dirigenti (una volta chiamati più semplicemente presidi) siano arbitri quasi assoluti nel decidere se prendere di petto il problema oppure girare la testa da un’altra parte, magari per l’ipocrita paura che una battaglia a viso aperto contro la diffusione della droga all’interno di una determinata scuola possa dissuadere i genitori dall’iscrivere lì i propri figli nell’anno successivo.
E così, accanto a scuole come la media inferiore di Treia, che organizza da anni, e per tutti i nove mesi dell’anno scolastico, un percorso di prevenzione molto articolato, con la continua e fattiva partecipazione della dirigente, del corpo docente e di collaborazioni esterne (esperienza sulla quale vorrei tornare, perchè veramente si tratta di un modello virtuoso, che ben potrebbe costituire un’esperienza pilota a livello provinciale e regionale), ci sono istituti scolastici dove i presidi si precipitano ad informare dell’imminente arrivo della Guardia di Finanza con i cani antidroga quegli studenti che sanno essere gli spacciatori interni (che problema è se poi, come in effetti avvenuto, solo qualche mese dopo una ragazza va in overdose nei bagni di quella scuola e viene salvata all’ultimo minuto?); oppure dove i presidi fanno circolare i nomi di coloro che hanno avuto il coraggio di denunziare gli spacciatori interni, esponendoli così a pericolosissime e violente reazioni bullistiche; o, ancora, dove i presidi protestano con le forze dell’ordine perché, di loro iniziativa o in quanto sollecitate da qualche genitore, stazionano un po’ troppo nei pressi della loro scuola.
Sì, nel campo della sempre più indispensabile prevenzione antidroga sono successe,nella nostra città e nella nostra provincia,anche queste cose inenarrabili, a dimostrazione di quanto sia vera, e piena di antica saggezza, quella scritta che ebbi modo di leggere anni fa sulla porta dell’ex manicomio di Fermo: “Non tutti qui, ma sparsi per il mondo”.
* Avv. Giuseppe Bommarito, presidente onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”
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Grazie all’Avvocato Giuseppe Bommarito che si batte per informare tutti.
Hanno fatto benissimo
Ecstasy? Ketamina?
Mi sembra che i giovani d’oggi facciano a gara per chi è più imbecille…
Concordo! Fanno benissimo!
Peppe,
sono tre anni che mi sfiato a dire che i ragazzi cominciano a drogarsi a 11 anni, ma sembra di parlare al vento. Le famiglie non sanno o non vogliono far niente, si preferisce vivacchiare sperando che, per miracolo divino, il figlio non usi più sostanze o alcol. Dovrebbe esserci una sinergia tra scuola e famiglia che non c’è, vuoi per la maggior parte dei dirigenti scolastici e insegnanti che esitano ad affrontare questo tema, vuoi per le famiglie che, nella gran parte dei casi, schivano il problema, salvo poi ritrovarsi con un aggravarsi continuo dei problemi. I Sert fanno quello che possono, ma sono talmente oberati di richieste da poter fare a malapena il loro lavoro. In questa situazione di sfascio, nella quale le Marche purtroppo si collocano al primo posto nell’uso di stupefacenti in Europa, rimane da fare con urgenza un asse famiglia-scuola, ma deve essere una cosa in cui devono credere sia le famiglie che gli insegnanti.
Anche a me è stato detto più di una volta da qualche genitore esasperato che mi invidiava per la perdita di mio figlio; questo è il punto massimo della disperazione a cui si arriva dopo un calvario che non finisce mai, inutile spiegare la mia reazione quando sento certe cose.
Da questo giornale voglio fare un appello alle famiglie ed agli insegnanti: uniamoci tutti, non c’è tempo da perdere, stiamo perdendo la nostra migliore gioventù, lasciamo perdere il buon nome degli Istituti (secondo me il buon nome di una scuola acquisterebbe più valenza se combattesse questa piaga sociale con ogni mezzo) e, rivolto alle famiglie, occorre mettere da parte quel senso di falsa vergogna, prendiamo tutti esempio dalla madre di Matelica che meriterebbe una medaglia d’oro per il coraggio dimostrato. Quindi forza, tutti assieme, Scuola, Famiglie, Forze dell’ordine, Associazioni, facciamo in modo che le scelte di vita dei nostri figli siano tutte rivolte ad una vita senza abusi. Ma quanto è bello essere liberi da ogni schiavitù! Sì, perchè la droga e l’alcol rendono schiavi.
Grazie Peppe per il tuo impegno costante a scrivere su questi argomenti.
Gaetano Angeletti – Presidente Associazione “La Rondinella – Corridonia
Droga di MERDA. Maledetti siano tutti gli spacciatori, tutti indistintamente.
se dopo averle provate tutte non cambia niente non rimane altro che questo.non bisognerebbe giudicare le famiglie colpite da queste disgrazie se non ci si passa personalmente.
non sempre il carcere rieduca. spesso si passa dalla padella alla brace e dal carcere escono ancor più criminali. altro discorso sono le comunità. se l’adolescente non vuole andare e dopo tutti, dico tutti i tentativi possibili, non rimane altro che la straziante denuncia del proprio figlio. il giudice saprà comprendere ed applicare una pena alternativa, ossia la comunità.
i ragazzi si drogano anche grazie ad adulti e genitori poco comprensivi, giudicanti e sbrigativi come il cerasi che si fa fotografare, tanto per dare il buon esempio, con una caraffa di 1 litro di birra
Caro Bommarito, ho più volte fatto presente che oramai l’uso di droga ed alcol avviene anche da parte di adolescenti di 13-14 anni e che purtroppo l’età si sta abbassando agli 11-12 anni. Avevo anche commentato che, con tutto il rispetto per i controlli “a sorpresa” (ma che tanto a sorpresa non credo fossero stati) non avevano sortito grandi risultati a causa di un avvertimento preventivo di tale operazione all’interno degli istituti scolastici. Avevo anche denunciato luoghi dove il consumo e lo spaccio di tali sostanze avvenivano, ovvero via Cioci, zona denominata “mezza luna” (davanti al liceo artistico per intendersi) e nell’anfiteatro dei giardini Diaz, dove il consumo avveniva alla luce del sole e senza timore da parte dei ragazzi neppure al passaggio di occasionali avventori che passavano di li per una passeggiata, o per non parlare del terminal degli autopulman, dove stazionano bulletti che possono permettersi il lusso di fermare ragazzini, sequestrar loro telefonini cellulari o vuotando loro i portamonete. Purtroppo i genitori coraggio possiamo contarli sulla punta delle dita di una mano a fronte di un problema che dilaga sempre più. La speranza è sempre quella che il cittadino faccia sempre il proprio dovere e che magari notando situazioni anomale denunci tali episodi immediatamente alle varie istituzioni (dirigenti scolastici, società sportive, forze dell’ordine e famiglie). Il mio pensiero è che se vogliamo veramente il bene dei nostri figli non possiamo pensare che per salvaguardare il buon nome dell’istituzione che siamo chiamati a tutelare, omettiamo di denunciare ciò che sappiamo fin troppo bene.
Caro Paolino,
hai perfettamente ragione. Sarà possibile invertire la tendenza attuale all’aggravamento continuo del problema solo quando da parte della società civile, cioè da parte di tutti noi, famiglie, scuole, istituzioni, Chiesa, forze dell’ordine, vi sarà la reale consapevolezza della gravità del pericolo che minaccia i nostri figli.
Allo stato attuale c’è solo un continuo rimpallo di resposabilità, ogni agenzia educativa si aspetta che sia un’altra agenzia educativa ad affrontare il problema, e così nessuno fa niente, o quasi.
E intanto le Marche, come ha ricordato Gaetano Angeletti, sono la regione non d’Italia, ma dell’Europa intera, con il più alto tasso di mortalità per overdose. Altro che isola felice!
1) Come fanno i presidi a sapere che stanno per arrivare i finanzieri? Non deve essere un blitz?
2) I volti di chi spaccia davanti alla scuola sono sconosciuti?
Condivido l’impegno dell’Avv. Bommarito e come insegnante della scuola media di Treia mi sento particolarmente coinvolto. La scuola è sicuramente in prima linea nell’ascolto dei giovani e nel cercare di trovare un dialogo che li faccia riflettere sulle conseguenze di scelte sbagliate di cui neanche loro, a volte, sono coscienti. La scuola di Treia, da anni, ha accolto la sfida educativa alla prevenzione dalle dipendenze e abbiamo avuto il coraggio di coinvolgere enti, organizzazioni, volontari nel nostro percorso. Noi insegnanti ci siamo messi in discussione, abbiamo unito le forze e progettato un percorso articolato. L’obiettivo è quello di intrecciare la didattica ordinaria con l’incontro con i testimoni “sul campo” . Mentre nelle varie discipline come italiano, storia, scienze, ginnastica, si affrontano le tematiche delle dipendenze con letture dall’antologia, riflessioni scritte dagli alunni, lezioni scientifiche, attività motorie che fanno riflettere sull’importanza di mantenere in forma il proprio corpo, ecc, abbiamo fatto dialogare gli alunni con la Polizia, Guardia di Finanza, Avv. Bommarito, Polizia postale e CORECOM. Abbiamo portato gli alunni al carcere di Camerino per farli riflettere sulle conseguenze dei comportamenti a rischio e in quell’occasione hanno anche incontrato dei detenuti che hanno parlato della loro situazione. In questo percorso non abbiamo dimenticato i genitori che sono stati più volte coinvolti in incontri serali invitandoli a rimanere vigili nei confronti dei loro figli. Abbiamo creato un festival dell’educazione chiamato “Treiaeducafestival” che affronta in varie serate, aperte a tutta la cittadinanza, problematiche educative come “Educare all’ascolto”, “Educare al volontariato”, “Educare alla prevenzione”. Non so se il percorso puo’ produrre “frutti” ne quando, ma una cosa ce l’ho chiara in testa: vorrei che nessun alunno della scuola di Treia possa dire un giorno “nessuno mi aveva avvertito”. Noi insegnanti continueremo su questa strada ma non dobbiamo essere lasciati soli!
“Le grandi strade del conformismo portano alla mediocrità e alla sventura.”
(Nicolas Hulot)
Per ritrovare il senso della vita, il vero rimedio, è riscoprire la fede in Gesù. Solo così possiamo sperare di battere la droga nella società, che ci viene data sotto tante forme, ma con un unico risultato, per distruggere l’uomo. Penso che si può battere il male solo col bene, che è solidarietà, cioè farsi carico gli uni degli altri. L’individualismo esasperato della socità competitiva e consumistica, è il vero male da battere.
un plauso alle mamme che hanno avuto il coraggio di denunciare i propri figli,condivido in pieno la loro scelta,io nel mio piccolo paese è una vita che dico ai carabinieri che al bar di piazza gira droga ……ma non li ho mai visti fare un blitz.e per non bastare il comune da la possibilita al bar di rimare aperto fina alle 3 di mattina suonando musica live , poi la domenica quando si va dal giornalaio in piazza si deve fare slalom tra bottiglie rotte bicchieri e vomito in giro …!!!posso pubblicare foto video fatti gia vedere ai carabinieri i sindaco del mio paese.
queste non sono cd madri coraggio ma latitanti nel loro ruolo materno.