Macerata europea?
La cultura dice di sì

L’idea di Francesco Adornato, l’appello a unire le forze per candidarsi al titolo di capitale

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

Macerata capitale europea della cultura come fulcro del  territorio che la circonda? Via, si dirà, non scherziamo. E invece non è impossibile che nel 2019 essa riesca a conquistare questo prestigiosissimo titolo voluto quasi trent’anni fa da Melina Mercouri, perché le carte da giocare le ha. E ancor meno impossibile è che essa rientri  fra le candidature italiane da presentare al parlamento di Strasburgo entro il 2015. Ed è certamente possibile che le sue credenziali  risultino meritevoli di considerazione se questa città e l’area vasta che le sta intorno crederanno in se stesse e avranno costanza, intelligenza, spirito collaborativo e tempestività nel riempirle di contenuti. L’impegno coinvolge il Comune capoluogo, la Provincia, gli altri Comuni, le due Università, le Diocesi, l’Accademia di belle arti, la Camera di commercio, la Fondazione Carima, lo Sferisterio, i Musei, la Confindustria, i Sindacati, i Partiti, la gente nel suo insieme. Il principale criterio del “bando” – chiamiamolo così – parla di “Città e cittadini”, ossia la loro storia, le loro chiese, i loro palazzi, il loro paesaggio, il loro modo d’intendere la vita, i loro costumi, lo sguardo europeo nella loro visione del mondo. E allora ci siamo: questa, per noi, non è una “mission impossible”.

Adornato

Il professor Francesco Adornato, preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Macerata

Si obietterà che nel corso degli anni questo titolo è toccato ad Atene, Firenze, Berlino, Parigi, Madrid. Non è quindi velleitario e illusorio competere con realtà di tali dimensioni? No. Lo scettro l’hanno avuto e l’avranno anche città paragonabili alla nostra come Mons del Belgio, Guimares del Portogallo e Umea della Svezia. Tutto sta, insomma, nell’autorevolezza e nella plausibilità delle credenziali. Le carte da mettere sul tavolo, ripeto, non mancano. Raccogliamole in un mazzo corposo e ricco di dati statistici, vicende storiche, linguaggi, narrazioni, riprese video, figli illustri (padre Matteo Ricci, ad esempio, straordinaria figura di religioso e scienziato che valicò estremi confini), testimonianze di modernità nell’innovazione produttiva, i non pochi esempi, dalla costa all’entroterra, di lungimiranza nell’affrontare le sfide della globalizzazione, l’accoglienza, l’integrazione, l’enogastronomia. Un mazzo di carte da cui risulti una “qualità della vita” che proviene dal passato ma regge il confronto col futuro e sia pure nel doversi misurare coi problemi anche gravi dell’epoca attuale – non siamo un’isola felice – è fatta di equilibrio sociale, rispetto del prossimo, solidarietà, tolleranza, moderazione degli eccessi, riduzione delle disuguaglianze. Una “qualità della vita” che forse non ci rendiamo conto di avere ma che altrove è rara e invidiata. Una “qualità della vita” che oggigiorno le menti illuminate non solo d’Italia e non solo d’Europa indicano come l’unico approdo a un domani migliore.

  Questa idea l’ha lanciata il professor Francesco Adornato, direttore del dipartimento di scienze politiche, comunicazione e relazioni internazionali del nostro ateneo. Di carte in regola, lui, ne ha parecchie. Figlio di un padre contadino e di una madre raccoglitrice di olive che si è tenacemente battuta per garantirgli un destino diverso, ha frequentato il liceo, l’università a Roma, si è formato nei più avanzati ambienti culturali degli anni Sessanta e Settanta, ha accumulato esperienze  di livello nazionale e internazionale. Nello studio del diritto, certo, ma anche nell’arte, nel cinema, nella letteratura, nella politica. Gliene manca solo una, di carte: non è maceratese. Nato in Aspromonte (si pensi all’asprezza dei personaggi descritti da Corrado Alvaro in “Gente di Aspromonte”) lui è giunto qui, titolare di cattedra, nel 1993. Ma da allora lo lega a Macerata un amore difficile e tuttavia tenacissimo. E questo suo appello è, per Macerata, un autentico atto d’amore.

  “Quando mi allontano”, dice, “non vedo l’ora di tornare, sono affascinato dalla vostra mescolanza tra oscurità e luminosità, una mescolanza che non trovo in altri luoghi e si traduce in un equilibrio dove prevale quel rispetto delle regole della convivenza che si chiama civismo”. Gli chiedo di simboleggiare tutto questo in qualcosa di preciso, una veduta, un incontro, un fatto. Sorride: “Arrivai in treno, una sera d’ottobre, pioveva a dirotto, avevo una grossa valigia, feci, ansimante, la salita di Piaggia della Torre e alla fine mi si spalancò davanti agli occhi la piazza centrale con la Loggia dei Mercanti, il Palazzo della Prefettura, quello del Comune. Per me fu come il premio dopo la fatica, l’insegnamento che l’oscurità, se vissuta pazientemente, prelude infine alla luminosità. Poi mi accorsi di aver bisogno di questa severa educazione culturale e morale in cui si rifletteva un senso profondo e giusto del vivere. Non è facile per me adattarmi alla vostra ritrosia, al vostro ritegno, perfino, talvolta, alle vostre nascoste gelosie. Ma non ci rinuncio, sono quasi vent’anni che non ci rinuncio”.  Parafrasando Leopardi, insomma, il naufragar gli è dolce in questo mare. L’unica carta che gli mancava, dunque, se l’è conquistata. E sarebbe imperdonabile, per Macerata, non far tesoro del contributo di vitalità giuntole ora da questo maceratese tardivo che pone la propria formazione di intellettuale a tutto campo al servizio di una causa stimolante e rigeneratrice di energie dimenticate e sopite.

   Com’era da prevedere a cagione di quella “oscurità”, di quella ritrosia e di quel diffidare delle imprese ardite, l’appello di Adornato a “stringersi a coorte” e procedere uniti verso un traguardo europeo è stato accolto con vago scetticismo. La storia, si sente dire, le nostre glorie antiche, le nostre bellezze e le nostre eccellenze culturali contano fino a un certo punto, la vita è il presente, ed è dura. Ma davvero si crede che la parola “cultura” alluda solo al passato, si limiti alla contemplazione del passato, quello che sta nei libri, nelle biblioteche, nei musei, nelle aule magne, nei monumenti? Adornato risponde con due citazioni. Una risale al 1905 e appartiene al grande poeta Rainer Maria Rilke: “Il passato è ancora di là da venire”. L’altra è della poetessa russa Marina Svetaeva che negli anni quaranta scriveva a Boris Pasternak: “Il nostro futuro è il passato che arriva”.

   “Cultura è tutto”, dice, “ libri, biblioteche, musei, aule magne e monumenti, ma anche innovazione nel fare impresa, mentalità aperta al mercato mondiale, a una più moderna idea di sviluppo, alla coesistenza sociale, al progresso civile. Non bisogna restare indifferenti a questo nostro reale rapporto tra passato e futuro. Nessuno chiede a Macerata di rifugiarsi nelle proprie memorie – non si è europei se ci si chiude nel passato – ma di convincersi che in noi è presente questo nuovo respiro,  questo soffio che può dar vita anche alle attività economiche e commerciali, al turismo colto e curioso. Mostrare all’Europa una città che resta fedele ai suoi valori ma con essi affronta il terzo millennio, ecco il punto. Perciò, prima ancora di pensare all’accoglimento della candidatura a capitale, ritengo che sia importante impegnarsi nel costruirla, questa candidatura, nel proporla anzitutto a noi stessi lungo un percorso che parta dal basso e coinvolga ogni nostra energia. Credetemi, Macerata non ha nulla di meno delle altre città che punteranno al titolo del 2019, una delle quali, alla fine, sarà italiana e un’altra bulgara. Mi risulta che Matera, Assisi, Ravenna, Urbino e Terni si stiano già attivando. Muoviamoci, il mio dipartimento, forte dei legami con la rete universitaria europea, farà da volano ”.

Vedete? Macerata è riuscita a far diventare maceratese anche questo signore dell’Aspromonte la cui saggezza può servire, adesso, a scuoterci , per una volta, da quel torpore e da quel disamore di noi che accanto alle molte virtù della nostra “qualità della vita” ne segnalano, ahimè, uno dei vizi.



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