L’eterno paradosso
dell’isola pedonale

Corso Matteotti, Rampa Zara, le proteste dei residenti, le ventimila auto, le esigenze dei singoli, il bene comune

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di Giancarlo Liuti

Viste le reazioni al proposito del sindaco Carancini di chiudere al traffico corso Matteotti, vale forse la pena di tornare sul tema dell’isola pedonale. Alcuni residenti, infatti, si sono ribellati (leggi l’articolo) e sono giunti a denunciare che l’amministrazione comunale è addirittura animata da sentimenti di “odio” (sic!) nei loro confronti. Il che, se fosse vero, si collocherebbe esattamente all’opposto degli scopi di quell’idea, la cui intenzione, semmai, è di favorire la vivibilità della zona a vantaggio sia dei residenti, sia degli altri cittadini, sia di coloro – turisti compresi – che vengono da fuori. Ciò non vuol dire tuttavia che quelle proteste siano prive di fondamento, perché abitare nel centro storico e non poter usufruire della macchina è un problema reale, come dimostra la circostanza che nel giro di pochi decenni la popolazione all’interno delle mura è passata da seimila persone a meno di tremila, e si sono chiusi negozi, e se ne sono andati pubblici uffici, e derivano anche da questo, per esempio, le difficoltà , venute ultimamente alla luce, della scuola Montessori. La questione, insomma, esiste e non appare di facile soluzione. Anzi, peggio che difficile. Direi impossibile, se la si pretende nell’immediato.

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Corso Matteotti

Come ho cercato di dire settimane fa (leggi l’articolo), tutto dipende dal non aver previsto – quarant’anni orsono, quando fu istituita l’isola pedonale, e via via  nei decenni successivi – quel generale mutamento dei costumi e dei bisogni che si è verificato anche e soprattutto col vertiginoso aumento del traffico motorizzato. Inutile, ora, piangere sul latte versato. “Qui è Rodi e qui salta”, dicevano gli antichi greci per significare che le cose vanno affrontate con realismo e senza lasciarsi prendere dalle false suggestioni delle fughe all’indietro e delle fughe in avanti.

Dando ormai per acquisito che la società contemporanea non rinuncia a un massiccio uso dell’auto (negli anni settanta le macchine circolanti a Macerata erano meno di quattromila e oggi sono più di ventimila), c’è da chiedersi se il concetto stesso di isola pedonale sia ancora sostenibile. E ne consegue un dilemma che in fondo è un paradosso: se la filosofia dell’isola pedonale sta nel favorire la qualità della vita nei centri storici, come impedire che, al contrario, essa finisca per determinare un peggioramento della qualità della vita per chi ci abita, chi ci gestisce imprese commerciali e chi ci viene da fuori?

La risposta, secondo me, è  una sola: benissimo l’isola pedonale purché non diventi un museo riservato ai visitatori ma sia animata dalla costante presenza delle persone, vale a dire, in primis, dei residenti. E questo significa che essa dev’essere frequentabile solo a piedi, sì, ma col supporto di ampi parcheggi posti nelle immediate vicinanze e muniti di scale mobili o di ascensori aperti in qualsiasi ora. Altrimenti le alternative sono solo due, ed entrambe negative: o l’isola pedonale viene di fatto abolita (è sostanzialmente questa, nonostante i vari compromessi, la situazione di Macerata) oppure il centro storico è destinato a desertificarsi, la qual cosa rischia di comprometterne anche la bellezza, intesa quest’ultima come insostituibile patrimonio da vedere, da godere, da vivere.

Mi è capitato di passeggiare nelle isole di innumerevoli città piccole e medie della Francia e della Germania: linde, ordinate, belle e con abitazioni private, uffici e negozi, ma dotate, a ridosso dei loro confini, di grandi spazi per la sosta delle auto. Quindi?  Ripeto: non c’è altra via. Ecco perché ritengo che un ampio parcheggio a valle di Rampa Zara fino a Piazza della Libertà e con ascensore aperto pure di notte sarebbe la soluzione ideale pure per i residenti, che potrebbero lasciare l’auto a una distanza dalle loro case breve e facile da percorrere. Fattibile? Il Pd l’ha posto fra le priorità assolute, e la giudico cosa buona e giusta.

Ma con quali risorse? E in quanto tempo?  Ecco due semplici domande che – non me lo nascondo – rischiano di far cadere l’asino. Troppi anni si sono persi, e bisogna rassegnarsi al fatto che le auto hanno preso il sopravvento sugli esseri umani. I quali – intesi come singoli – fanno fatica a rendersi conto che avere mezza macchina a testa significa non poter pretendere sosta libera e gratuita dovunque, significa rendere sempre più problematico l’utilizzo degli spazi disponibili, significa inquinare l’aria, significa mortificare il fascino di luoghi armonicamente creati dai secoli, significa non capire che la libertà di ciascuno deve trovare il suo limite nella libertà di ciascun altro, significa dover accettare costi e sacrifici. Vero è che siamo in forte ritardo, e oggi corrono tempi di vacche magrissime, e nell’opinione pubblica manca una saggia e civile disponibilità collettiva a porre in secondo piano le pur legittime esigenze degli individui rispetto a quelle dell’intera comunità. Ma nulla è perduto se c’è la volontà politica di volare alto e fare finalmente qualcosa che serva davvero al rilancio anche residenziale del “cuore” della città di cui dobbiamo essere gelosi e orgogliosi se non altro per le splendide vedute che esso offre verso l’interno e verso l’esterno a chi ha fatto la scelta di abitarlo e malgrado i disagi non ci rinuncia.

E per evitare che l’asino cada si cominci almeno dall’orario dei parcheggi “Garibaldi” e dei Giardini Diaz, uno a cielo aperto e con ascensore verso via Crescimbeni e l’altro coperto e con ascensore verso via Garibaldi, tutti e due a servizio, se non direttamente del “cuore” del centro (Piazza della Libertà e le sue adiacenze), certo di zone non secondarie. Questo dell’orario, non mi stancherò mai di dirlo, è un tema che ha dell’incredibile e dimostra la miopia delle ultime amministrazioni comunali, prima nel firmare un contratto capestro col gestore privato e poi nel dire che è impossibile modificarlo. Qui non si tratta di spese enormi, ma solo di compiere un primo e non effimero passo anche a vantaggio dei residenti. Chiedo la luna nel pozzo? Non mi pare. L’ascensore di Camerino, città di settemila abitanti, è aperto fino all’una di notte. E uno dei tre ascensori di Fermo, città che ha settemila abitanti meno di Macerata, è aperto ventiquattr’ore su ventiquattro.



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