Per il centro storico
occorre un pacemaker

Il parcheggio di Rampa Zara, il “benaltrismo” e la bellezza che fa economia

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

Nella conferenza stampa di fine anno il segretario del Pd Bruno Mandrelli ha elencato le priorità della civica amministrazione maceratese e in testa, assieme al collegamento di via Mattei con la superstrada del Chienti, ci ha messo il parcheggio di Rampa Zara, ritenuto quest’ultimo un’opera essenziale per il rilancio del centro storico e, conseguentemente, dell’intera città. Pochi giorni prima i consiglieri comunali Guzzini e Formentini del Pdl avevano proposto di disciplinare il parcheggio in Piazza della Libertà limitandolo a soli trenta posti a spina di pesce e per un’ora, il che, secondo le loro intenzioni, contribuirebbe a salvaguardare l’attrattiva e la vivibilità di questo punto nevralgico per la bellezza di Macerata. Le due cose, di grosso impegno la prima e di portata assai minore ma immediatamente realizzabile la seconda, puntano a un identico scopo: il riscatto del vero cuore del centro storico.

  E qual è il vero cuore? Non tutto ciò che esiste dentro l’antica cerchia delle mura, ma, per l’appunto, Piazza della Libertà e l’asse che, attraversandola, va da Piazza Vittorio Veneto alla Basilica della Misericordia. Un cuore che contiene gioielli come San Filippo, il Palazzo della Provincia, la Loggia dei Mercanti, la Torre civica, il Teatro Lauro Rossi, il Palazzo comunale, l’auditorium di San Paolo. Un cuore nel quale, per dargli e prendere vita, entrano le “arterie coronarie” di corso Matteotti, via Gramsci e piazza Battisti coi loro edifici seicenteschi e settecenteschi, il Palazzo Costa, il Palazzo De Vico, il Palazzo della ex Banca d’Italia.

Ma se il battito di un cuore è debole, il sangue arriva poco o male alle altre parti dell’organismoche dunque ne soffrono. Ecco perché va salutato con favore l’impegno assunto dal Pd ed ecco perché ritengo stimolante la pur palliativa proposta di Guzzini e Formentini: l’uno e l’altra, infatti, riportano d’attualità una questione che per troppo tempo è stata sopraffatta da continue, pressanti, confuse e contraddittorie emergenze, vale a dire la questione dell’isola pedonale, che a mio avviso è propedeutica a qualsiasi discorso sul rilancio del centro storico. O meglio, ripeto, del suo vero cuore. O, meglio ancora, di Macerata capoluogo.

 Quando, circa quarant’anni orsono, l’allora amministrazione Sposetti varò l’isola pedonale, l’idea fu, per l’appunto, di affermare il civismo dell’estetica urbana e, con esso, una migliore qualità della vita. Ma non fu previsto – i tempi erano forse prematuri – che lentamente e inesorabilmente il primato della bellezza e del piacere di viverla sarebbe stato soppiantato da un altro primato, quello dell’automobile. Accadde così che decennio dopo decennio la gente – noi tutti – cominciò a servirsi della macchina per qualsiasi spostamento, anche di poche centinaia di metri. E a Macerata, adesso, circolano quasi ventimila auto, praticamente una ogni due abitanti.

  Bene, sin da allora, l’isola pedonale. Purché lo sia davvero, cioè vietata alle auto ma avvicinabile in auto. Altrimenti si rinuncia non solo a frequentarla ma anche ad abitarla. Avvicinabile in che modo? Soltanto uno: con un parcheggio immediatamente a valle e un ascensore che faciliti l’accesso dei pedoni. Si dirà che i parcheggi ci sono. Vero: il piccolo silos di via Armaroli, quello coperto dei Giardini Diaz con ascensore verso via Crescimbeni, quello coperto di via De Amicis, quello a cielo aperto e con ascensore verso via Garibaldi. Niente, però, a diretto servizio del vero e autentico cuore, il cui fascino, nel frattempo, è ulteriormente cresciuto grazie all’ammodernamento dell’edificio della Mozzi Borgetti, al restauro di San Filippo e a quello, imponente, di Palazzo Buonaccorsi. So che non tutti saranno d’accordo con me, ma sono convinto che una più tempestiva soluzione di tale problema avrebbe frenato la fuga verso la periferia di residenti, negozi, banche, uffici pubblici, sedi universitarie. Vi sono stati tentativi di rianimarlo, questo cuore bisognoso di un potente pacemaker, ma si è trattato di parziali, caotiche e contraddittorie autorizzazioni alla sosta delle macchine , il cui risultato è stato l’abbandono del principio stesso dell’isola pedonale, che, ora come ora, non è più un’isola e non è più pedonale.

  Troppo tardi per rimediare? Molto tardi sì, ma non troppo. L’idea di un grande parcheggio – a cielo aperto, meglio ancora se coperto – sotto Rampa Zara con attracco meccanizzato verso Piazza della Libertà e, vivaddio, con disponibilità anche notturna (ma questo è un discorso che a Macerata ha dell’incredibile e riguarda pure gli altri parcheggi) non è nuova. Se ne parla da anni, non senza opinioni di volta in volta contrarie, e sempre nella logica del “c’è ben altro” (questo del “benaltrismo” è un vezzo tutto italiano: quando si pensa di fare una cosa ne salta sempre fuori un’altra più importante e così via, per cui, siccome non tutto è possibile, si finisce per non fare né quella né questa).

  E’ un fatto positivo, insomma, che adesso il parcheggio di Rampa Zara si sia riconquistato un posto d’onore fra le priorità assolute dell’amministrazione, anche se non mi nascondo che le risorse finanziarie sono ridotte all’osso e questa situazione di ristrettezze economiche durerà forse a lungo e rischierà di tarpare le ali a qualsiasi opera pubblica. Ma è già tanto che vi sia una reale e precisa volontà politica sulla quale, se ci si lavora con impegno, potrebbero non mancare occasioni di fattibilità, magari col coinvolgimento dell’Apm e di imprenditori privati. Ora resto in attesa delle obiezioni: no, meglio la strada Mattei-Pieve (d’accordo, su questa, e speriamo nella Quadrilatero), meglio le piscine, meglio il palazzetto dello sport! E soprattutto una: non ha senso, con questi chiari di luna, parlare di bellezza, Macerata ha bisogno di sviluppo economico e la bellezza non si mangia! Mica vero. Il mondo nuovo insegna che, come la cultura, la bellezza è una delle molle – si pensi al turismo – del benessere anche materiale. E, quindi, altroché se si mangia!



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