Con Rigoletto è andato in scena ieri sera allo Sferisterio il secondo ballo in maschera. E nonostante ci abbia provato, la pioggia non è riuscita a rovinare questo atteso debutto (leggi l’articolo). A metà del primo atto, quando ormai il pericolo meteo sembrava scongiurato, una lunghissima interruzione ha messo in dubbio la prosecuzione dello spettacolo e soprattutto ha messo a dura prova la pazienza degli spettatori tanto che qualcuno, alla fine, ha deciso di tornarsene a casa. Poi asciugate le sedie e ripresi i propri posti tutto è filato liscio in platea e sul palco fino alla fine, con chiusura all’una e mezzo anziché a mezzanotte come previsto. Dopo il POP-SOF della prima “made in Pizzi” (del resto, se la stagione lirica di Macerata è stata capace di scegliersi un nome che rifà il verso a Pesaro, nessuno si scandalizzi per il riferimento civitanovese) con scene choc e colori shocking, il Rigoletto di Massimo Gasparon rientra nel solco più SOF(T) della tradizione, con una regia che più classica non si può nei movimenti scenici e un allestimento scenografico chiaramente pensato anche per i teatri al chiuso: non a caso questo Rigoletto è una coproduzione con la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi e col Circuito Lirico Lombardo.
Gasparon cura anche i costumi, e sono proprio i costumi, bellissimi, a fare la differenza, sin dalla prima scena scintillante e variopinta della festa del Duca che, si diceva sopra, è stata concepita come un ballo in maschera veneziano, con Rigoletto nei panni di Pulcinella. Gli abiti sfarzosi di coristi e mimibrillano sul palco in una girandola di mille colori: le tinte cangianti della seta dal giallo all’arancio al rosso, dal rosa al viola, dal verde all’azzurro nella loro magnificenza incantano e appagano gli occhi dello spettatore. Tutta la vicenda dei protagonisti (a parte i movimenti più ampi del coro) si svolge nello spazio raccolto della pedana centrale rialzata sul palco, sulla quale è stata montata una scena girevole a tre facce che ruota nei diversi atti. Se all’inizio del I atto campeggiano i dipinti di Tiepolo come sfondo della festa a Palazzo Ducale, nella scena successiva si apre l’interno della casa di Rigoletto, che nel rapimento di Gilda si trasforma nell’esterno di un palazzo e infine, nel III atto, nell’interno dell’osteria di Sparafucile. Insomma, niente di nuovo. Quanto al carattere dei personaggi, il Rigoletto-Pulcinella di Giovanni Meoni è sembrato il più convincente in assoluto, dal punto di vista vocale e interpretativo. Il suo è un buffone di corte intenso e sofferente, che ama la figlia Gilda più della sua vita e la tiene gelosamente nascosta, al riparo dalle insidie del mondo.
Ma è anche un uomo determinato e furente, disposto a tutto pur di vendicarsi nel momento in cui scopre il male fatto a Gilda dai cortigiani che l’hanno rapita e dal Duca che ha abusato di lei. La voce baritonale di Meoni è potente, matura, perfetta per il ruolo, sa modulare con la stessa abilità accenti amorevoli (duetto I atto con Gilda), dolenti (duetto II atto “Tutte le feste al tempio”), disperati (“Cortigiani vil razza dannata”) e rabbiosi (“Sì vendetta, tremenda vendetta”). Esprime con ricchezza di sfumature la tenerezza e la paura quando si rivolge a Gilda, la miseria quando parla di se stesso, l’odio quando pensa al Duca. L’unica difformità che il regista concede a questo Rigoletto è la gobba, senza trucchi ulteriori, senza forzature. Non è una caricatura, come spesso viene rappresentato, non è zoppo, non è un mostro. È un uomo, un padre prima di tutto, che quando torna a casa dalla figliasi toglie la casacca da lavoro da Pulcinella e si mostra senza maschere, di alcun genere. Applauso a scena aperta del pubblico maceratese all’ingresso sul palco di Desirée Rancatore nel ruolo di Gilda.
La giovane soprano palermitana è ormai una star della lirica a livello internazionale e da autentica primadonna canta con estrema sicurezza, e si sente. Però, senza voler cercare il pelo nell’uovo a tutti i costi, e al di là della bravura innegabile e dell’impegno che mette, al di là dell’ammirazione per la tecnica e i virtuosismi di cui è capace, bisogna forse essere onesti e ammettere che per lei il ruolo di Gilda non è fra i più adatti. Si sente nei centri, quando è costretta a gonfiare e alterare la voce e si sente quando,spingendo gli acuti, la voce inizia a “ballare” ed è un vero peccato alla sua età. Comunque la Rancatore, oltre alle doti vocali, conferma ancora una volta le sue notevoli capacità espressive, disegnando dapprima una Gilda ingenua felice e innamorata (“Caro nome”), poi una donna fiera e appassionata pronta a sacrificarsi per colui che l’ha svergognata e umiliata.
Un bravo anche al giovane tenore spagnolo Ismael Jordi nel ruolo del Duca di Mantova, che canta con tecnica sopraffina ed esegue il suo compito alla perfezione, dall’inizio alla fine. La voce piuttosto chiara però rimane un po’ fredda ed emoziona poco, e l’evidente propensione all’agilità lo renderebbe più adatto (almeno per ora) a cantare Rossini e Mozart. Sarà anche per la giovane età e per il fisico esile, o sarà forse invece per una precisa scelta registica, ma il suo Duca non possiede quel piglio vissuto e quel tratto malandrino – e in certi momenti anche un po’ volgare e sguaiato – che un Duca di Mantova solitamente ha. È piuttosto un Duca-gentiluomo, un ragazzino un po’ affettato e aggraziato, che si presenta in frac e canta arie da sincero innamorato. Comunque bravo. Molto convincente anche la prova del basso Alberto Rota nel doppio ruolo di Monterone e di Sparafucile: una voce davvero bella e piena, quando sale lanciando l’invettiva della maledizione e quando scende nelle note più basse pronunciando il suo nome a Rigoletto. Last but not least ildirettored’orchestra. C’era grande attesa anche per il ventiquattrenne maestro veronese Andrea Battistoni, che ha superato l’esame a pieni voti e ha saputo condurre con grande personalità e freschezza, dando all’orchestra un bel ritmo e coloriture di notevole intensità nei passaggi più drammatici dell’opera.
Appuntamento in Arena per le repliche di Rigoletto il 27 e 30 luglio, il 4 e 6 agosto.
(foto di Alfredo Tabocchini)
(GUARDA IL VIDEO CON LE INTERVISTE AGLI SPETTATORI)
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In questi articoli-recenzioni si continua a mettere in primo piano i costumi, le scene, gli allestimenti.
Abbiamo capito, abbiamo pefettamente compreso, non c’è bisogno che si continui a sottolinare (fino alla noia) che Pizzi & Company hanno un esagerato gusto estetico, che viene messo in mostra ogni qualvolta si parla di costumi, di scene, di allestimenti.
Ma come si fa a dire bene Rigoletto (Meoni), ha omesso un sacco di puntature (acuti) nelle arie più famose e la voce è dura con un volume che va ben oltre le sue possibilità canore. Più adatto per ruoli donizzettiani che verdiani.
Onestamente il Rigoletto non mi ha entusiasmato. Buone le “voci” anche se alcune meno adatte ad interpretare Verdi. Una buon scenografo deve avere rispetto per il pubblico intero, la scena deve poter essere vista, oltre che dai posti centrali, anche da quelli laterali. Nel caso specifico quella adottata “stellare” non permette al settore destro di vedere la scena come quello sinistro e viceversa. Signori avete a disposizione 100 m. ci aspettiamo qualcosa di più. Ambientazione personalmente non comprensibile, ma è tanto difficile rispettare la tradizione?
E’ stato spiegato, tra le righe, nell’articolo (in questo o in uno dei precedenti non ricordo, tanto sono praticamente tutti uguali): le scene ridotte sono pensate per un trasferimento dell’allestimento in piccoli teatri (e si precisa che la produzione di questo Rigoletto è in collaborazione con il Pergolesi di Jesi: una prova generale di fusione?).
Sarebbe molto semplice concepire scenografie ampie – adatte allo Sferisterio – di cui utilizzare solo alcune parti per i teatri al chiuso. La scenografia ampia ci permetterebbe esportazioni nei grandi teatri all’aperto europei e non solo. In questa maniera, invece, lo Sferisterio diventa soltanto il piede di porco per i piccoli teatri, con nocumento del nostro pubblico.
A Macceeerrraataaaa piace cosi…lo Sferisterio serve come prova generale per poi far circuitare e vendere in teatri…per di più i diritti di autore non appartengono all’Associazione Sferisterio, ma a Pizzi.
Sindaco Carancini, Presidente della Provincia Pettinari, Direttore dell’organizzazione artistica e tecnica
Luciano Messi…SERVI!!!
Una domanda: chi è Maria Stefania Gelsomini?
A scanso di equivoci interpretativi della mia domanda qui sopra, preciso che chiedo chi sia Maria Stefania Gelsomini perché non la conosco (o forse non la ricordo) e trovo che il suo argomentare critico sia di godibilissima lettura. Poi si può ovviamente esprimere un’opinione di valore diversa dalla sua, ma certo non si può dire che non sappia di che scrive. E dunque mi farebbe piacere conoscerla di persona. Puoi aiutarmi, direttore?
Solo per fare i complimenti ad Andrea Battistoni sicuramente destinato a diventare un grande direttore.
Approfitto dell’occasione che mi offre il carissimo Filippo (Davoli) che una volta invitai a collaborare su “Il Messaggero”, ottenendone un simpaticissimo “Prima devo ritrovare me stesso”, per elogiare una collega cui tengo molto per il suo capitale professionale ed umano: Maria Stefania Gelsomini. Anche lei a pieno titolo nella storia maceratese de “Il Messaggero” (recente, non recentissima): una giornalista molto apprezzata che ha mostrato il proprio valore anche in prestigiose collaborazioni. Parlo delle pubblicazioni in tema enogastronomico di Carlo Cambi e pure di quei splendidi volumi fotografici di un autore come Guido Picchio -i cui primi fotoreportage tanti anni fa, se non ricordo male, furono anch’essi pubblicati da “Il Messaggero”.
Inoltre Maria Stefania cura l’ufficio stampa di un’importante Casa editrice ed è stata, per me, una piacevolissima scoperta leggere su Cronachemaceratesi i suoi informatissimi servizi sul Sof 2011. Ottima scelta, da entrambe le parti (s’intende!)!
Se consentito, vorrei pur ultimo ricordare la generosa collaborazione offerta dalla collega Gelsomini alla rivista della Provincia di Macerata “57Comuni”.
Ad majora, Maria Stefania!
Maurizio Verdenelli