di Lucia Paciaroni
Oste significa colui che ospita. Lo ricorda l’architetto Gabor Bonifazi tracciando i lineamenti di quelli che sono i locali storici, come osterie e locande: “Li immagino come posti allegri e accoglienti a cui dare un po’ di vita e poesia e che contengono la nostra storia” dice.
Ed è proprio Bonifazi, giornalista e scrittore, “’l’ispiratore culturale”, come lo definisce il consigliere regionale Enzo Marangoni, della legge regionale per il sostegno e la promozione di osterie, locande, taverne, botteghe e spacci di campagna storici approvata nella seduta del 22 marzo.
“Gabor ha scritto il libro “L’osteria dei Pettorossi”, che definirei una guida-romanzo, in cui chiede un’apposita leggina a tutela di queste realtà – spiega Marangoni, candidato presidente della Provincia di Macerata – I locali storici costituiscono l’identità della nostra regione e, secondo me, non esiste una forte identità marchigiana. E’ quindi un’occasione per affermarla. Mi sono appassionato del tema e , prendendo l’eredità di Leonardo Lippi che già aveva presentato una legge con la stessa base, il 30 settembre del 2010 ho ripresentato la legge dopo un grande lavoro. In tempo record, dopo sei mesi, è stata approvata all’unanimità il 22 marzo”.
Marangoni entra poi nel dettaglio degli articoli: “La finalità è quella di promuovere la conservazione e la valorizzazione di osterie, taverne, locande, botteghe e spacci di campagna, purchè siano storici, ossia devono avere almeno quaranta anni di attività. La legge prevede un logo locale storico e la predisposizione di una guida dove saranno indicati anno di origine, luogo, fondatori ed eventuali fatti storici, avvenimenti o personaggi illustri che sono passati per quei locali”. E continua dicendo: “Ogni Comune deve trasmettere alla Giunta regionale l’elenco degli esercizi in questione, che possono essere indicati all’amministrazione anche da parte di associazioni e cittadini. Sono previsti contributi economici da determinare anno per anno per interventi di recupero e valorizzazione e questi locali saranno soggetti a vincolo di destinazione per cinque anni, oltre a sanzioni amministrative in caso di uso improprio del logo”.
“In tutta la Provincia di Macerata ho individuato sedici locali storici, di cui tre a Macerata e sono Il Giardinetto, La Cimarella e quello al bivio di Madonna Del Monte – aggiunge Bonifazi – In tutte le Marche probabilmente saranno circa cinquanta”.
Il compito di curare gli aspetti giuridici e la predisposizione del testo di legge è stato affidato al professore dell’Università di Camerino Fabrizio Lorenzotti: “Evitiamo di fare una guida meramente burocratica – osserva – L’idea è quella di coinvolgere cittadini ed organi di informazione nel segnalare i locali. Inoltre, dovrà essere multimediale”. “La memoria storica ci insegna che dobbiamo attingere da essa per costruire il futuro – commenta Leonardo Lippi, ex consigliere regionale – L’identità dei locali storici deve diventare una risorsa”.
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approvo in pieno!salviamo questi posti speciali,primo tra tutti il mitico Giardinetto dove intere generazioni di maceratesi e non hanno passato momenti speciali.
anche se sono anni che non lo frequento la sua possibile chiusura mi farebbe venire in mente la scena finale di Nuovo Cinema Paradiso’ovvero tristezza infinita.
Questo si che è un problema importante da risolvere…….
mica è una di quelle sciocchezze come l’impossibilità di ricoverare un anziano all’Ircer o la mancanza di posti negli asili nido……
O forse sbaglio?
Ottima iniziativa, ottimo anche che la politica abbia preso spunto da cittadini di qualità come l’architetto Gabor Bonifazi.
Spero che il tutto non si blocchi, passate le elezioni provinciali! 😉
Ps. Gabor, perchè non ci illustri brevemente il tuo lavoro?
Ciao a tutti
giuseppe . scusa se mi permetto ma lo stesso marangoni è promotore di una legge regionale sul regolazzirae al meglio i posti agli asili nido, dando precedenza a chi è da piu tempo in italia .mi sewmbra ovvio che gli asili costruiti da noi spettiano a noi , ma non è cosi io devo pagare 500 euro al mese per mandare mia figlia all asilo. non ho trovato posto sul pubblico.
@ William Berre’
Nel ringraziarla per il gradito apprezzamento riporto un vecchio testo che sintetizza un po’ l’idea che ha originato il progetto. Comunque se mi manda l’indirizzo ([email protected]) sarò lieto d’inviarle “L’Osteria dei Pettorossi” in pdf.
IL FASCINO DISCRETO DEGLI SPACCI DI CAMPAGNA
A Macerata era costume dei tempi andati fare passeggiate fuori porta, quando ancora ci si muoveva a piedi e non c’erano l’automobile, la roulotte, il camper, la casa in campagna, quella al mare, quella in montagna, non esisteva quella strana parola week-end e soprattutto non c’era ancora quell’effimero originato dalle scienze della comunicazione e della formazione.
Le mete preferite erano Le Vergini, Sforzacosta, Piediripa, Villa Potenza, Madonna del Monte e Collevario. E proprio qui a Collevario si apriva la stagione delle passeggiate e delle merennette, per via che la festa della Madonna del Rosario cadeva il lunedì di Pasqua. C’erano la corsa campestre, la rottura delle pigne e tante altre competizioni popolari tipo giochi senza frontiere, sapientemente organizzate dal festaiolo di turno che di solito era un contadì grossu, almeno per chi era piccolo. Naturalmente c’era il vino buono e le durissime ciambelle di Pasqua. Poi veniva il periodo che si doveva piantare maggio, un eufemismo chiaramente a sfondo erotico che ancora non ho capito appieno, ma sicuramente doveva essere un rituale intimamente legato all’amore.
Negli anni Cinquanta molti maceratesi erano fortunati se potevano trascorrere il Ferragosto lungo le rive del Chienti o del Potenza, allora luoghi di lavoro delle lavandare. Una tegghia de swincisgrassi, un’altra di pollo e patate arrosto e un cocomero tassellato al rhum era il massimo del ghiotto. La meta preferita delle allegre compagnie doveva essere proprio lu spaccittu dove si consumavano le merende a base di ciabuscolo, salame, fava e formaggio. C’era lu spaccittu de Chiavari, de Fusari, de Nino e alla Cimarella quello de Jennà. Chiavari in contrada Le Vergini e quello di Fusari in via Bramante sono scomparsi e Nino è diventato un locale alla moda. Sono sopravvissuti all’incuria del tempo solo quello di Jennà, dal nome del proprietario che lo aprì nel 1952, in contrada Cimarella, dove la mancina Anna Fabiani fino alla fine del 2008 affettava prosciutti con il lungo coltello dalla lama sottile come se stesse suonando il violino, e quello di Coloso, in attività dal 1927, a Madonna del Monte tenuto aperto con tanta passione dalla simpatica Jolanda Lattanti.
E così, mentre inseguiamo pervicacemente suggestioni di un piccolo mondo scomparso nell’atmosfera delle effimere osterie delle varie rievocazioni in costume e nei mercatini dove è ancora possibile acquistare mortai di pietra, macinini “Tre Spade” e vecchie bilance Berkel, stiamo perdendo le ultime botteghe caratteristiche: gli spacci di campagna. Luoghi di un certo valore sociale che per tanto tempo hanno rappresentato un punto d’incontro tra domanda e offerta di prodotti alimentari spesso barattati con i prodotti della terra. Gli spacci e i negozi di prodotti alimentari vanno valorizzati prima che finiscano nelle anguste mura del solito museo tipologico. Si può recuperare un vecchio bancone coi cassettoni per la pasta, come pure una bilancia del sale o una rossa affettatrice a mano, ma non certo le sensazioni e la gestualità del commerciante. Come dire commerciante e porco pesalo dopo morto. Infatti sarà molto difficile inserire in un’ambientazione di maniera l’odore particolare che emanavano i negozi di generi alimentari. Sarà pure difficile rievocare la gestualità dell’alimentarista nel confezionare un etto di conserva con la carta oleata, mentre con la carta paglia e con la carta azzurrina si incartavano rispettivamente la farina e lo zucchero, scaricati pazientemente con la sessola sulla traballante bilancia. Ai tempi della vendita al minuto tutto era regolarmente sfuso, anche quel libricino nero coi bordi rossi dove i più segnavano le proprie spese che regolarmente saldavano a fine mese. Chi non ricorda quel libricino con l’elastico e tutte le altre magiche operazioni per preparare un panino farcito con la crema Alba!
Comunque, più ci si allontana dalle periferie disurbanizzate dai vari discount e centri commerciali, avvicinandosi verso la montagna, e più si possono trovare ancora piccoli punti di ristoro dove poter trovare un po’ di quella umanità in via d’estinzione. A Valcimarra di Caldarola sopravvive Lorenza, la decana degli spacci drive-in. Peccato che una decina di anni fa chiuse lo spaccio sotto Rocca Varano, quello della Sfercia. Altro spaccio, un po’ autogrill, perché fino a qualche anno fa c’era anche il distributore di carburanti, si trova a Piè Casavecchia di Pieve Torina ed è gestito dalla famiglia Pompei; qui, sotto il pergolato, si poteva incontrare anche lo speleologo Montalbini in libera uscita dal Monte Bove. Poi, un po’ più avanti, sempre lungo la strada per Visso, a Villa Sant’Antonio c’è la caratteristica salsamenteria dei Cappa. A Monte Cavallo c’è un’altro punto di sosta molto variopinto, quasi un vero emporio dove c’è di tutto (tabacchi, bar, alimentari, macelleria e cantina stracolma di salami), gestito con tanta passione dal norcino Testiccioli. Naturalmente si potrebbe fare una guida degli spacci della nostra provincia come luoghi caratteristici destinati alla vendita di monopoli e non solo. Per valorizzare questi punti di ritrovo, spesso sperduti nelle località montane come il Bar Giada in contrada San Lorenzo di Treja o l’Euro Bar in contrada Canepina di Camerino, non sarà sufficiente consegnare un diploma come pure mettere un bollino o una bandierina di “locale tipico” sulla vetrina. Si dovrà invece predisporre una leggina che consenta a questi ultimi locali commerciali appositi contributi per l’adeguamento degli impianti e per il rinnovo degli arredi. Quindi, spacci di campagna certificati da una destinazione d’uso cinquantennale.
Signor Seccaccini la mia era una battuta ironica.
Prima di pensare a cose certamente simpatiche ritengo sia importante pensare a quelle necessarie.
A quelli che criticano la mia battuta vorrei chiedere cosa penserebbero di genitori capaci di trovare i soldi per la villeggiatura ma non per il mantenimento dei figli.
Per quanto riguarda l’asilo lei ha certamente ragione.
Quando presenta la domanda viene certamente superato da tanti stranieri con reddito basso o, piu’ spesso a reddito zero.
Tanto per cominciare bisognerebbe escludere dalla lista gli extracomunitari con reddito zero, a meno che siano in grado di dimostrare come riescono a vivere ed in base a quali aiuti.
Certo fa rabbia vedere di essere tagliati fuori da “redditi zero” che poi magari fanno,non si sa come, una vita migliore di tanti esclusi. Per la verità le cronache a volte ci dicono come fanno.
Signor Seccaccini ,alla mia età, non ho di questi problemi ma condivido perfettamente la rabbia sua e di tanti altri come lei.