Come ripopolare Tolentino
e portare le aziende nel territorio?
Ecco le ricette dei tre candidati

ELEZIONI - Ieri al Politeama il primo confronto pubblico tra Silvia Luconi (centrodestra), Massimo D'Este (centrosinistra) e Mauro Sclavi (terzo polo). A proporre i temi l'associazione Costituente civica. Si è parlato anche di partenariato pubblico-privato e cultura

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Il confronto di ieri al Politeama fra i tre candidati sindaci

di Francesca Marsili

Tantissimo l’interesse della cittadinanza per il primo confronto pubblico tra i tre candidati alla carica di sindaco di Tolentino. A promuoverlo, ieri pomeriggio al teatro Politeama, l’associazione apartitica Costituente Civica per il futuro che si pone la mission di stimolare l’attività amministrativa del territorio. Silvia Luconi per il centrodestra, Massimo D’Este per il centrosinistra e Mauro Sclavi per il terzo polo hanno risposto con quella che è la loro visione della città per i prossimi 10-20 anni rispetto a tre argomenti proposti dai tre relatori dell’associazione: ripopolamento e sviluppo di opportunità di lavoro, il partenariato pubblico-privato e la ripresa della cultura come volano dell’economia. Undici i minuti in totale a disposizione dei tre candidati, cinque per la prima domanda e tre per la seconda e la terza. A moderare l’incontro, dove per l’associazione sono intervenuti l’ingegner Roberto Cardinali, l’avvocato Leonardo Archimi e il professor Leonardo Angeloni, la giornalista Barbara Olmai.

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Silvia Luconi

Ad aprire il dibattito il coordinatore della Costituente, Roberto Cardinali, che ha sottolineato: «Se non facciamo qualcosa subito, Tolentino, breve, sarà un ricovero per anziani a cielo aperto. Siamo rimasti in 18mila, una densità di popolazione non in grado di innescare alcun circuito economico. Dobbiamo ripopolarla, come farlo? Noi proponiamo di creare le condizioni che possano ricevere aziende di medie dimensioni, ma per farlo ci vogliono le competenze e le relazioni. Questo creerebbe lavoro, la dignità di una persona, e consentirebbe di creare famiglie con lavoro non saltuario, ma strutturato. In Toscana è stato fatto esattamente q uesto con un progetto che ha introdotto sul territorio toscano 70 grandi aziende e ha ripopolato con circa 8000 persone. Per farlo serve un team dedicato, fatto di un paio di persone competenti».

Silvia Luconi: «Per essere concreti credo che un primo elemento è quello di predisporre un “letto” per accogliere le aziende che possano dare una risposta in termini di servizi e occupazionale. Abbiamo approvato un piano regolatore con macroaree, tra cui quella di contrada Rotondo, con 20mila ettari, di cui 16mila utilizzabili per nuove aziende e 4mila per il verde. Questo il punto di partenza per poi andare a cercare le aziende. Per il potenziamento dell’aspetto turistico puntiamo sulle Terme di Santa Lucia».

Massimo D’Este: «Siamo in balia di uno svuotamento dei residenti; senza ospedale e servizi scolastici all’altezza le persone si stanno allontanando scegliendo altri luoghi più confacenti alla residenzialità. E’ una proposta da valutare senza però perdere di vista i protagonisti. Sono d’accordo sulla proiezione verso il futuro, ma c’è uno spazio temporale che va colmato affinché non si arrivi ad una situazione più complessa. Vanno coinvolti gli imprenditori, i sindacati e le forza lavoro per costruire le modalità migliori».

Mauro Sclavi: «A me interessa l’idea di ripopolare la città di coloro che la vivono e non che la dormono; sono le persone a dare ricchezza, non i volumi. Stando con i piedi per terra vedo che c’è la possibilità di investire in questa ottica; se funziona in Toscana occorre mettersi nelle condizioni di dedicare uno studio sperimentale che possa dire se con gli spazi e i know-how che abbiamo possiamo portare, forse non 70 aziende come in Toscana, ma magari 20 che possano assumere i ragazzi che si laureano nelle nostre università»·

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Mauro Sclavi

Introdotta dall’avvocato di Macerata Leonardo Archimi la seconda proposta, il partenariato pubblico-privato. «Nelle nostre idee abbiamo bisogno di strumenti, uno di questi è il ppi: partenariato pubblico-privato, quello che prevede un progetto a lunga scadenza, una gestione privata di funzioni pubbliche concordata con il Comune che rende un servizio al cittadino in modo efficiente. Ora che arriva una valanga di denaro con il Pnrr si pensa che possa fare tutto la pubblica amministrazione, ma ci sono tanti servizi che in un progetto di rinascita la pubblica amministrazione non riesce ad attivare subito ed ha bisogno del partner privato».

Mauro Sclavi: «Gli enti pubblici sono sempre più indebitati, devono andare alla Cassa depositi e prestiti e se non sono più solvibili non posso realizzare il progetto. L’idea è interessante, l’unica questione che mi pongo è: se il privato ha intenzione di investire in un’opera di questo tipo, per quale motivo il Comune non potrebbe dire all’anziano che ha alle Poste 35mila euro frutto di risparmi, di partecipare proponendo di partecipare all’opera ricevendo magari l’1% l’anno contro lo 0,27 che avrebbe in banca?».

Massimo D’Este: «Ho qualche perplessità, sento l necessità che il bene pubblico debba continuare a rimanere nella gestione pubblica. Preferirei ci fosse questo rispetto che magari potrebbe essere visto un’insinuarsi in un contesto che dovrebbe rimanere in possesso di una gestione dell’amministrazione comunale. Mentre vedo con favore una proposta di rilancio di partecipazione attiva del cittadino».

Silvia Luconi: «Immagino con difficoltà la possibilità di chiedere ai cittadini di partecipare ad un’opera che dovrebbe fare il pubblico. Il pubblico deve fare il pubblico e dare un servizio alla città. Spesso però non riesce a soddisfare tutte le esigenze cittadine. Ne sono un esempio i campi da calcio dello Sticchi: era un investimento che superava un milione di euro, il Comune non lo aveva e siamo andati a vedere l’art. 188 del codice degli appalti. Occorre affidarsi alla muscolatura dei privati per portare avanti i progetti dell’amministrazione pubblica».

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Massimo D’Este

La terza e ultima tematica in relazione alla cultura è stata promossa dal professor Leonardo Angeloni. «Soprattutto dopo la pandemia e il sisma c’è un altro modo di sviluppare la crescita: attraverso delle istituzioni educative che possano aiutare la città di Tolentino non solo dal punto di vista culturale, ma anche economico».

Massimo D’Este: «A Tolentino abbiamo delle situazioni di fragilità strutturale che impediscono di pensare a questo tipo di sviluppo culturale. Penso sia importante il coinvolgimento delle nostre aziende per capire quale tipo di formazione possa essere adatta al miglioramento della propria realtà produttiva, magari una sede in centro storico. Potrebbe essere inserito anche nella realtà teatrale oltre alla manifatturiera. Vedo con buona prospettiva questa proposta, ma concertata con il territorio.

Silvia Luconi: «La nostra città a livello culturale è vivace, da sempre. In questi ultimi mesi abbiamo fatto un viaggio a Milano per vedere come funziona una scuola che ha un contatto diretto con la realtà manifatturiera. Quello che abbiamo visto è una socialità diffusa con persone che si sono messe a sedere per raccogliere dalla strada e dare opportunità ai ragazzi. Un elemento che ci siamo portati a casa e che pensiamo di trasferire all’interno della nostra città».

Mauro Sclavi: «Abbiamo tre progetti. Un’industrializzazione del turismo: non abbiamo il mare, ma abbiamo il Boccati a Belforte, il Crivelli a Penna San Giovanni; basta strutturare una rete culturale con i paesi limitrofi. Poi, la cultura legata a uno sviluppo universitario; il Politecnico ha avuto un aumento di iscritti, ma non hanno gli spazi, abbiamo interloquito con l’ateneo di Ancona per portare una facoltà in centro storico. Terzo, la domiciliarità dei teatri, mettendo il nostro a disposizione di chi non lo ha, ma ha progetti».

 

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