Mario Monachesi
di Mario Monachesi
“Magnà’ va vè’, magnà’ e be’ ancora mejo, ma a me me ‘ncuriosisce anche sapé’ come nasce quarghe nome de quello che mannimo jó a cannucciu pjinu. A vuatri no?”
☆
“L’italianu magna, quanno no’ lo fa parla de cibu”.
☆
Diceva Oscar Wilde: “Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo”.
☆
“A ‘stu munnu quattro cose te consola: le donne (gli uomini, per le donne), li sordi, lo sonno e lo magnà'”.
☆
“La vocca è un vuscittu ma ce bbocca la casa co’ tuttu lu tittu”.
☆
“Lo magnà’ ‘mpara a be'”, ma attenzione: “Pa’ finché dura, vi’ co’ misura”.
☆
“LI FRASCARELLI”
Il nome, molto probabilmente deriva dalla “frasca”, il bastoncino di legno con la punta tricuspide che si usava anticamente “pe’ smuscinalli”. Detti anche “ppiccicasanti” per via del loro aspetto colloso.
☆
“LI STRACCETTI” (Anche “stracciatella)
Il nome deriva dal fatto che il composto di uova all’interno del brodo prende la forma di piccoli straccetti.
☆
“SUGO FINTO”
Chiamato così perché fatto solo con odori e pomodoro ed il suo tempo di cottura è molto meno lungo del classico ragù.
☆
LI TAJULÌ PILUSI”
Devono il loro nome al fatto che l’impasto senza uova, solo farina e acqua, rendeva “li tajulì” grezzi e ruvidi. La perna veniva tirata piuttosto spessa a causa della poca elasticità, quindi in cottura formava un velo esterno. Spesso la farina era di mais.
Trattasi di un piatto rurale che viene da molto lontano nel tempo, quando per le famiglie contadine le uova erano una preziosa merce di scambio. “Rindia de più portalle a venne”.
“La messa, la pulenta e li tajulì’, tre cose fatte pe’ li contadì”.
☆
“LE FRITTELLE”
Da “frictilia”, nome con cui gli antichi romani chiamavano questo dolce a base di farina e uova fritti nel grasso di maiale sott’olio.
“Per fa’ le frittelle non basta l’acqua, ce vo’ la sostanza”.
“Acqua e chjacchjere non fa frittelle”.
☆
“LI SCROCCAFUSI”
Il nome nasce dallo scrocchiare (“scrocchjà'”) del dolce sotto ai denti, dalla consistenza croccante dell’impasto.
Questo è il dolce per eccellenza del Carnevale maceratese.
☆
“LO PANCOTTO”
Deriva da “lo pa’ sicco, duro (raffermo) che veniva cotto a pezzi “dentro ‘na teja de vrodo (acqua, sale con l’aggiunta “de ‘na goccia d’ojo e ‘n po’ de pecorino). Dal pane, se c’erano, venivano tolti i segni della muffa.
Piatto della cucina povera contadina.
“Vojo pijà maritu e vojo un vecchju, mai me straccherò de faje lo pancotto, ci-aesse li quatrì’ e moresse presto”.
☆
“LI MOCCOLOTTI” (Rigatoni)
Il nome nasce dalla somiglianza con i “moccoli”, cioè la parte delle candele che rimane quando si sono consumate. Molto popolari erano un tempo “li moccolotti de lo vatte” (della trebbiatura), conditi con il sugo delle interiora “de li puji”.
☆
LO CASCIO”
Il nome deriva da cacio (formaggio), la “s” aggiunta sembra derivare da un errore di trascrizione del XVI secolo. La svista di un impiegato ministeriale trasformò il termine cacio in “cascio”. “Cascio pecorino” perché fatto con latte di pecora.
“Vi’ ballerino, pa’ canterino e cascio pizzichino”.
“Capiti come lo cascio su li maccarù” (Capitare a proposito).
☆
“LI GOBBI” (Cardi)
Il nome deriva dal tipo di coltivazione a cui sono sottoposti. Per superare le rigidità degli inverni e renderli anche più teneri e più dolci, vengono parzialmente interrati. Così posizionati le piante si curvano assumendo la caratterista forma a gobba. “Se ‘ngubbisce”.
Sono molto buoni in umido (certo per chi piace).
☆
“OU A OCCHJU DE VÒ'” (Uovo ad occhio di bue)
Il nome nasce dall’aspetto simile ad un grande occhio (dove il tuorlo ricorda la pupilla). Ottimo cotto nel tegamino.
“L’ou ci-ha ‘na forma perfetta nonostante fattu co’ lu culu”.
☆
“LO MISTRÀ”
Il nome deriva dalla città di Misithra (Mistra o Mistrà) nel Peloponneso, luogo dove anticamente ne era il maggiore centro di produzione. Tra il 1600 ed il 170p è stata Venezia ad importare questo liquore. Oggi è tipico delle Marche e serve per correggere il caffè e fare dolci.
☆
“LA SAPA” (Mosto cotto)
Il nome arriva dal latino “Sapor”. Un tempo, assieme al miele e ad altri possibili succhi di frutta ridotti tramite cottura, era il dolcificante dei nostri antenati, lo zucchero di canna o di barbabietola erano ancora sconosciuti. La sapa, già menzionata da Pluto nel 200 a.C. era conosciuta anche come “miele d’uva”.
Oggi viene soprattutto usata “per facce li sughitti”, chiamati anche “pulenta dorge”.
☆
“L’ACQUATICCIO”
Da acqua colorata. Bevanda leggermente frizzante ottenuta da uve rosse pigiate, messe in un tino con l’aggiunta di acqua e fatte fermentare per alcuni giorni.
“L’acquaticcio, du’ jorni è bono e dopo è tristo”.
☆
“LA RENGA”
Da aringa, pesce azzurro conservato, pescato nei mari del nord. Un cibo povero dei nostri avi.
“Co’ ‘na renga, quaranda jorni de Quaresema”.
“Co’ li vrocculi ce vò’ la renga”.
☆
“LU CUTICHÌ” (Insaccato)
Dalla cotenna, cotica del maiale, un componente importante del suo impasto, inserito bollito e spezzettato.
“Pa’, vi’ e cutichì, è un magnà’ divì'” (divino).
“Su portate, / su donate / pollastrelli co’ capù (capponi) / cutichì, lonza e vì’ / oe, cascio e maccarù, / robba dorge, robba vella / tanti auguri pe’ Pasquella”.
☆
“LI PURTUGALLI” (Arance)
Diverse le ipotesi su questo nome, la più accreditata sostiene derivi dalla parola greca “portokali” cioè “portuallo”, in quanto l’origine di questo frutto si dice sia ellenico.
☆
“LO CECE”
Questo nome nasce dalla parola greca “kikus”, che significa forza, potenza. Successivamente il termine si trasforma nel latino “cicer”, da cui deriva anche il famoso cognome Cicerone, in quanto un suo antenato aveva “un poru” (verruca) a forma di “cicer” (cecio) sul naso.
“La pecora su lo cece un gran dannu je fece, ‘rria lu patró’, je tira lu fargió”.
“È jitu a fa’ la tera pe’ lo cece” (è morto).
☆
Per ora ci fermiamo qui, spero in altre puntate. “Viva lo magnà’ ma duimo sapé’ anche ‘n po’ de storia de quello che mittimo dentro la vocca. C’è più gustu. A ogni teja lu cuperchju sua”.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Congratulazioni! Molto interessante.