Guido Raparo davanti a una delle sue opere
di Francesca Marsili
«Vivo chiuso in casa, un tumore mi ha preso il viso cambiando i miei connotati non facendomi più riconoscere allo specchio. Per noi malati di cancro al tempo del Covid-19 è più difficile che mai. Ora che le misure si stanno allentando, fate attenzione, attenetevi alle disposizioni, abbiamo bisogno anche del vostro aiuto». Guido Raparo ha 67 anni ed è un malato oncologico per la seconda volta in un anno e mezzo. Ora che le sue mani non possono più dipingere le adorate tele dove per anni stati d’animo si sono trasformati in opere d’arte, è alle parole che l’uomo, originario di Macerata ma residente a Urbisaglia, affida i suoi pensieri, i timori legati alla sua malattia, lanciando un monito alla coesione sociale in rispetto delle fasce più deboli che in questo delicato momento sono particolarmente a rischio. «La mascherina preme sul naso dove ho il tumore, acutizzando il dolore, non riesco neanche ad indossarla. Proprio oggi ho saputo che dovrò operarmi a Padova, ma a causa dell’emergenza sanitaria, non prima di un mese – racconta a fatica Raparo a Cronache maceratesi, invitando a riflettere -. Se ci sono ancora delle restrizioni, se non è ancora possibile tornare alla totale vecchia normalità, se non potete ancora andare al mare, non disperatevi.
Guido Raparo disegna in poltrona
E’ difficile lo so, nessuno meglio di chi, come me, vive la condizione di malato oncologico lo può comprendere, ma ora più che mai è importante usare il cervello e non essere egoisti». Per trent’anni dipendente del Comune di Tolentino ora in pensione, Guido Raparo è un pittore, un musicista ed uno scrittore. E proprio come un giovane pellerossa -come ama definirsi – simbolo di resistenza umana e comunitaria, scocca una freccia puntando dritto alle coscienze, scuotendole, quelle di chi ignora che in questa seconda fase da Covid-19, c’è un mondo fatto di uomini fragili che continua a lottare con tenacia la propria malattia e non può essere negligentemente ignorato ma merita bensì ancor più attenzioni. Descrive con dispiacere gli sguardi di, chi senza mascherina tra le corsie dell’ospedale dove si reca per le visite, lo vede come un fastidio. «Ho paura per me, per ciò che mi ha colpito, per il rischio che corro, per mia moglie e per mia figlia, che non voglio lasciar sole, non ora, non è il momento, ho ancora tanto da dare. Come ho combattuto io per anni, e sto facendo tutt’ora, vi chiedo di stringere i denti, lottare, di supportarvi moralmente e psicologicamente dobbiamo essere consapevoli che solo essendo uniti, comprensivi ed empatici può farci sconfiggere la malattia. Ciò che più affligge il cuore di Guido in questo momento, è l’aver dovuto abbandonare la sua più grande passione: la pittura.
Una delle sue opere
Due gravi malattie oncologiche, l’una dopo l’altra, hanno strappato dalle sue mani tele e pennelli, ora appoggiati ad un cavalletto. Le sue opere, centinaia, si configurano nella corrente dell’espressionismo astratto, una pittura non figurativa dove l’individualità dell’artista svolge un ruolo centrale nell’opera. Create attraverso tecniche particolari come il dripping painting, gocciolature di colore puro su una tela posta sul pavimento apparentemente casuali, le tele del pittore maceratese sono portatrici di una espressività forte e sanguigna dove scenari concitati grondano di colore. Affascinato dalla pittura sin da quando era un ragazzino, negli anni ‘70 a Roma l’artista maceratese, ha appreso tecniche pittoriche da avanguardia dal maestro Mario Schifano, padre della pop art italiana. Da circa un anno, quando cioè un primo tumore lo ha colpito, le note vellutate del grande trombettista jazz Chet Baker, altra sua grande passione, non guidano più i pennelli di Raparo nelle notti insonni trascorse a dipingere. Quelle stesse note ora, fanno da malinconico sottofondo alle sue giornate: ora accompagnandolo nella stesura quotidiana di un diario della sua malattia nel quale sfogandosi traduce in versi i suoi dolori fisici, ora nei disegni che raccontano la sua Urbisaglia tratteggiata a pastello. In attesa di sconfiggere la malattia, gettare la mascherina e tornare ad indossare uno dei suoi amati cappelli pork pie tipici dei jazzisti, Guido Raparo chiude così il suo messaggio di speranza: «Ho sempre amato e difeso per me, per i miei compagni e per la mia famiglia, perché ho sempre creduto che un mondo migliore fosse possibile, e credo tutt’ora che possa esserlo. E a tutti i malati come me dico: tranquilli, vinceremo».
Guido Raparo con il suo cane
Un altro dei dipinti di Raparo
Un grande e sincero in bocca al lupo
Ciao Guido. Forza e speranza. Tuo cugino Franco
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Avanti caro Guido, un abbraccio da Guido Garufi
Finalmente un articolo vero, diretto, senza fronzoli ed impossibile da non capire.
Forza Guido! In bocca al lupo!
Forza Guido! Tornerai a dipingere!
”Colui che è incapace d’amare, colui che è incapace di creare la comunione dell’amore, per uscire dall’isolamento deve salvarsi nella bellezza e il titillamento crudele a cui è sottoposto lo spinge a cercare la bellezza, a idolatrare la bellezza, non mai ad amare, ma ad osservare la bellezza nell’amore. Così diventa un uomo che vuole creare l’amore attraverso la bellezza, in quanto scambia la creatura generata con la forza generatrice, in quanto anche nell’amore ha il segreto presentimento dell’ebbrezza, dell’ebbrezza della morte, della bellezza e dell’oblio, in quanto nel crepuscolare abisso del gioco della bellezza e della morte si procura il piacere di questo oblio, dimenticando di proposito che l’amore, anche se ha avuto in dono la grazia di creare il bello, non si indirizza mai alla bellezza ma soltanto al più umano di tutti i compiti che si chiama prendere il destino su di sé.”
Il destino necessario e naturale di noi sessantasettenni è morire, non è giusto che i giovani si sacrifichino per i vecchi…
Daje Guido,
Un grande affettuoso abbraccio.
Caro Guido, ho letto ciò che hai affermato e lo condivido. Ho ri-visto le tue opere, anche nuove, e ho avuto un senso di emozione, perchè mi ha riportato al passato. Va bene, andiamo avanti…