Mario Monachesi
di Mario Monachesi
Un tempo, a primavera inoltrata, era usanza preparare in campagna un dolce chiamato “lattacciolu”. Detto anche “lattaruolo, latteruolo, lattarolo, latteruola”, era un antesignano del crème caramel, a base di latte e uova, e si preparava soprattutto nel maceratese e nell’ascolano. La sua antica ricetta aveva origini medioevali. Era un dessert al cucchiaio che veniva offerto “a lu patró’ de lu terenu a mezzadria”, dai propri contadini in occasione dei loro matrimoni. Per la precisione, veniva donato otto giorni dopo le nozze. “Quistu dorge vinia fattu anche in occasció’ de le maggiori festività religiose de lu piriudu, quali l’Ascenzió’, la Pentecoste, lu Corpus Domini e la festa de San Biasciu” (San Biagio). “Per San Biasciu il mitrato, lo friddo è andato”.
Il suo periodo di preparazione, quindi, è legato alla primavera perche i pastori e i loro animali lasciavano le stalle e si portavano sui pascoli rigenerati da nuovi germogli ed erbe fresche. Il segreto della riuscita “de lu lattacciolu, statia tuttu” nella qualità del latte, rigorosamente ovino. “Anche l’oe era ‘mportanti e co’ la vèlla stajó’ anche le gajine rcuminciava a fetà'” (deporre le uova). “La robba de campagna è cojó’ chj no’ la magna”. “Quanno vinia portatu a regalà’, non potenno lascià’ anche la teja do’ statia, la vergara lu mittia dentro un gusciu fattu co’ farina e acqua, dittu pasta matta”. “A quilli tembi, le vergare o le nonne se ‘ngegnava a preparà’ cose da leccasse li vaffi con poco, co’ quello che c’iaia de casa. Anche se che orda, pe’ regalallu, non sempre quilli de casa lu putia magnà'”. “De ‘stu dorge de primavera, a base de tradizió’ contadina e pastorale, esistono ricette anche in Abruzzo e in Emilia Romagna”. Pellegrino Artusi (1820 – 1911), scrittore gastronomo, nel suo libro “La scienza della cucina e l’arte di mangiare bene” (1891) chiama questo budino “Latte brulè”. A Bologna, anticamente, veniva detto “Latte in piedi”. In Portogallo è detto “Latte alla Portoghese”. I Romani lo preparavano dolcificandolo con il miele, e fu Cristoforo Colombo a portarlo oltreoceano.
Una vecchia ricetta così ci aiuta a prepararlo. Ingredienti: latte, uova, buccia di limone grattugiata, zucchero, cannella, noce moscata. Più farina e acqua, come già detto sopra, per preparare il guscio esterno. Preparazione: con la farina “stacciata” (setacciata) e l’acqua formare un impasto sodo, farne una “sfoja” e sistemarla in una “teja”. In una casseruola a parte, fare un ripieno cremoso sbattendo uova, tuorli, zucchero, cannella, noce moscata e scorza di limone grattugiata. A composto omogeneo, fare cuocere a bagnomaria, continuando a mescolare. Mentre cuoce aggiungere il latte facendolo scendere a filo e continuare a mescolare. Raggiunta una certa consistenza, versare il tutto nella “teja” foderata di pasta matta e infornare per circa 30 minuti. A cottura, lasciare raffreddare, tagliare a fette rettangolari e servire. Il suo sapore è delicato e armonioso, con un inaspettato accento speziato che lo rende attraente e desiderabile. Quando è per regalare, va lasciato intero. Questo, un tempo, era “lu lattacciolu”, una semplice e veloce ricetta della cucina povera di campagna. “Non c’era quasci gnente, ma li profumi te ‘mbriacava lu core”.
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Grazie per questi ritorni al passato