di Marco Ribechi (foto di Fabio Falcioni)
Lo Sferisterio stracolmo osanna Neri Marcorè che canta Fabrizio De André. Più pubblico di così proprio non poteva entrare nell’arena maceratese in quello che è stato probabilmente l’appuntamento più affollato dell’intera stagione lirica. In attesa del resoconto finale del Mof 2019, con il sovrintendente Luciano Messi che con molta probabilità si appresterà ad annunciare un’altra annata dei record, è il comico originario di Porto Sant’Elpidio a farsi acclamare in una serata tutta dedicata ai capolavori di Faber che il 10 agosto del 1998, pochi mesi prima di morire, calcava il palco dello Sferisterio con il tour Mi Innamoravo di Tutto.
Il grande cantautore genovese è stato ricordato quindi per la sua vena anarchica e ribelle, per i suoi inni alla libertà, per la spinta sempre sostenuta verso l’incontro e la comprensione degli altri, spesso ultimi ed emarginati, senza la ferocia del pregiudizio. Per questo motivo Marcorè ha più volte potuto fare delle battute, sempre in tono molto scherzoso e mai troppo insistenti, sull’attuale situazione politica italiana punzecchiando Matteo Salvini ora sull’accoglienza dei migranti, ora sui famosi 49 milioni della Lega, ora sulla telefonata fatta ai figli. Anche il pezzo finale, “Il pescatore” è stato dedicato a lui visto che lo stesso Salvini l’ha definita una delle sue canzoni favorite: «Peccato che però non l’ha ancora capita», scherza Marcoré.
Una selezione di brani molto insolita che ha attinto sopratutto agli ultimi dischi di De André: L’indiano, Le Nuvole e Anime Salve hanno costituito il nucleo del concerto tralasciando completamente il più grande capolavoro di Faber La buona novella e dedicando solo due brani a Storia di un’impiegato e Non al denaro non all’amore né al cielo di cui è stato ricordato solo Un giudice. Assenti anche i grandissimi successi di La guerra di Piero, La canzone di Marinella, Carlo Martello, Via del Campo, Boccadirosa e molti altri. Forse nelle parole iniziali di Marcoré la motivazione della scelta: «Non è un’operazione nostalgica – ha detto il comico in veste di cantante – vorrei che ognuno di voi tornasse a casa con una canzone un po’ meno ascoltata di cui avrete voglia di approfondire la conoscenza».
In ogni caso i brani sono risultati tutti molto piacevoli ed emozionanti anche se il merito, più che alla voce di Neri Marcoré che non è di sicuro quella di un cantante professionista, va alla straordinaria Orchestra Artem e al favoloso GnuQuartet. Con gli arrangiamenti sopraffini curati dal bassista e violoncellista Stefano Caprera le due ensemble hanno prodotto una validissima e variopinta prova musicale che ha sorretto quella sarebbe stata una prova vocale non all’altezza del tempio della lirica. Con circa 40 musicisti alle spalle tutti di altissimo livello la chitarra di Neri Marcoré appare più una trovata scenica che una necessità strumentale ma al comico va sicuramente riconosciuto il merito di averci provato ed essere uscito vincitore poichè portare tanti spettatori paganti a un tributo e mandarli via con il sorriso in faccia non è cosa all’ordine del giorno.
Marcorè va anche ringraziato per le introduzioni ai brani e, se ce ne fosse bisogno, la loro attualizzazione. Appare chiaro anche a chi non è proprio un fan del cantautore che De André con le sue parole aveva già parlato di tutto e indagato a fondo qualsiasi argomento in termini di politica, società e anche di sentimenti più intimi dell’essere umano. Per ogni interrogativo esiste già la canzone giusta con la risposta. «Che la serata permetta di rafforzare lo spirito critico – dice Marcoré dopo il primo brano Il fiume Sand Creek – affinché possiamo distinguere le persone di buona volontà dai fanfaroni e non fermarci nei nostri giudizi alla prima impressione». Così prosegue con Se ti tagliassero a pezzetti, dedicata alla libertà e anche in ricordo della strage di Bologna, Rimini contro le limitazioni della piccola borghesia, Prinçesa, Crêuza de mä, Khorakhané dedicata al popolo rom. «E’ vero gli zingari rubano – dice Marcoré citando Faber – ma non ho mai visto uno zingaro rubare tramite una banca. Siamo così feroci in certi giudizi ma spesso usiamo due pesi e due misure, mi viene in mente non so perché il numero 49».
Dopo Don Raffaè e Hotel Supramonte si leva dagli spalti il grido “Grazie per Risorgimarche” e Marcoré risponde ripetendo gli stessi argomenti già espressi al concerto di Capossela (leggi l’articolo): «E’ un modo per voler bene a questa terra e dare una spinta in più, se qualcuno pensa ci sia ben altro da fare che lo faccia». Il concerto prosegue con la canzone contro la guerra Andrea, quella contro il consumismo Quello che non ho, Dolcenera che ricorda come l’uomo debba adattarsi alla natura e rispettarla e non viceversa. Per i bis due delle canzoni d’amore più belle di tutta la discografia italiana, Verranno a chiederti del nostro amore, cantata come nella versione originale solo pianoforte e voce, e Amore che vieni, amore che vai. “Ne mancano tante altre” gridano altri ma il concerto volge al termine con Un giudice e Il Pescatore. C’è tempo nel finale per un siparietto comico di Marcoré che in solitaria dopo l’uscita dei bravissimi musicisti imita Branduardi che canta Soldi di Mahmood. Forse come chiosa finale era meglio l’ultimo brano già eseguito ma il pubblico comunque dimostra apprezzamento e ride all’ultima nota canzonatoria della serata. Restano i tantissimi applausi a risuonare tra le mura dello Sferisterio e una grande nostalgia per Fabrizio De André, una voce che oggi avrebbe sicuramente molto da dire e tanta ispirazione per i suoi brani.
È stato bello bravissimi tutti
Superlativo!!!! Magnifica serata!!!
Davvero favoloso.. raffinato generoso e di classe!!
Ieri sera ci ha fatto impazzire tutti. E con il Pescatore ci ha mandato fuori di testa. Tutto lo sferisterio in piedi. Neri,un artista completo.raffinato,pacato,ogni parola va a segno. Una bella voce,degli arrangiamenti stupendi. Siamo impazziti per lui. Grande serata.
Quanto mi dispiace non aver preso i biglietti per la serata. Penso sia stato un concerto molto bello! Mannaggia!!
Si veste da De André, ma non si azzarda a modificare le sue creature come si fa per la lirica
Uno spettacolo emozionante!!
È stata una serata magnifica!! Bravissimi i musicisti, bravissimo Neri Marcore' nella scelta e nell'interpretazione dei testi di De André ma anche nella sensibilità ed eleganza con cui si è accennato a problematiche attuali. Grande artista, grande uomo!
Quanto mi dispiace non aver preso i biglietti per la serata. Penso sia stato un concerto molto bello! Mannaggia!!
Bravissimo in tutti i ruoli cantante attore ed altro veramente speciale è stata una serata fantastica!!!!!!!!!
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Profonda ammirazione !!
…ma l’abito, come al solito, non fa il monaco!!!! gv
Ho già sentito Marcorè cantare in televisione le canzoni di De André. Perché non lo lascia perdere?
Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre e solo un discepolo diceva un tale e questo chierichetto qui è sempre ovvio, sempre scontato, sempre desolantemente banale…
Chi non era presente può evitare di dire corbellerie non richieste.
Semplicemente FANTASTICO!
…caspita…sei pollici versi (e forse ora se ne aggiungeranno altri…); tutti grandi esperti di De André (cantato!!da Marcorè), ma forse molto più esperti di…ruffiané!! gv
Ci sono alcuni cantanti che non possono essere imitati oserei dire quasi scimmiottati. De André, Cohen, Brassens, ma anche Tenco, Califano ed altri, hanno già una loro personalità che fa testo integrale con la canzone.Di loro ma anche di qualche altro si dovrebbe scrivere: parole, musica e anima prima del nome e della canzone. Si possono rivisitare, De Andrè lo faceva ma non imitare. Ci sono cantanti più facili da imitare, come Casadei, Vasco Rossi, Giusy Ferrero, Lucio Battisti, ma non perché non sono bravi, ma perché ognuno di loro, nel proprio piccolo riescono a trasmettere le emozioni che ci si aspetta da loro, emozioni che un bravo imitatore tirerebbe fuori comunque. Se prendiamo La canzone di Marinella cantata da Mina ne possiamo apprezzare tutte le caratteristiche canore, musicale e magari emozionarsi anche di più che se la cantasse De André, ma ascoltata DA QUEST’ULTIMO pur avendo le stesse parole hanno due forze completamente diverse. Ma qui stiamo parlando di Mina. Un Marcorè, forse sarà anche un bravo cantante ma non ha alle spalle tutte le motivazioni che aveva De Andrè nel fare una canzone. Rimane un mero imitatore che vorrebbe trasmettere un’anima che non può avere e la va a cercare proprio in uno degli artisti che per tanti motivi non possono essere portati sulle piazze per tirare su quattro soldi. Già cantate dal figlio hanno molto più carattere e questo le rende già abbastabza apprezzabile, abbastanza, ma da Marcoré è solo un caso di malafede almeno che non si senta la reincarnazione del Faber da cui però riesce solo a tirare fuori noia e incomprensione per cui un persona che sicuramente si definirà un cantate o qualcosa di simile prende di mira proprio un’artista assolutamente irripetibile rendendosi fortemente ridicolo. Sentire un gruppo di ragazzi che senza pretese suonano seduti davanti alla Luna De André, da qualche emozione, Marcoré solo fastidio.
Quella sera De Andrè, Villaggio insieme a Gigi Rizzi e a due ragazze «bruttine», si recarono dal paralitico. La casa di questi aveva «una porta-finestra che dava su un giardinetto fetido». Dopo un po’ che erano lì, sentono «un raspìo alla porta-finestra in legno». Subito dopo appare un gatto nero che, alzandosi sulle zampe, vomita un grosso topo. Tra lo sconcerto dei presenti, le urla di orrore delle ragazze, De André stupisce tutti con la frase: «Questo topo, se mi date ventimila lire, me lo mangio!». Rizzi risponde: «Te li dò io!».
Detto, fatto. Sotto gli sguardi disgustati dei presenti, Fabrizio De André trattiene il fiato e poi «si abbassa, morsica la coda del topo e la succhia come uno spaghetto cinese». Ma si ferma lì, e dice «Non lo mangio tutto perché non ho appetito!». Questo bastò, e prese le ventimila lire della scommessa, invita tutti a cena – ma «in un posto poco raccomandabile, frequentato da portuali e prostitute chiamato ‘Il Ragno verde’ e ordina un piatto di fagioli con le cotiche. Vomitò. Il topo l’ha digerito, le fagiolane con le cotiche, no!».
I poeti son persone disgustose e difficilmente accuserebbero
Salvini, che all’epoca era consigliere comunale a Milano, di aver rubato i 49 milioni del rimborso elettorale del 2010.