Pd, Morgoni con i sindaci “ripudiati”:
«Il partito è fermo a 10 anni fa,
arroccato nel solito sistema di potere»

GUERRA FRATRICIDA - L'unico deputato dem della provincia interviene dopo i casi di Fiordomo a Recanati e Carancini a Macerata: «Vicende che segnalano malessere e sofferenza. Bisogna spazzare via certi comportamenti che sanno di regime tra congiure, trame e minacce». Sulla bufera nata dopo il caso quote del primo cittadino del capoluogo, imbarazzo del segretario regionale che si trincera dietro un "no comment" e bocche cucite per Di Pietro e Sciapichetti. Vitali: «Sotto l'aspetto politico siamo rimasti tutti molto toccati. Da incoscienti la fuga di notizie, andava gestita col buonsenso da entrambi le parti»

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I SINDACI CONTESTATI Francesco Fiordomo e Romano Carancini

 

di Giovanni De Franceschi

«Se metto insieme le vicende di Macerata e Recanati con quella della candidatura di Flavio Corradini, non posso che rilevare che c’è un partito che soffre, arroccato in un sistema di potere ben definito». L’analisi è di Mario Morgoni, deputato del Pd, uno dei pochi in casa dem che oggi ha voglia di parlare, dopo la vicenda dello scontro tra Romano Carancini e il partito sul caso delle quote non versate. Dal punto di vista formale, una questione che si è risolta ieri mattina con il pagamento da parte del sindaco dei circa 2.500 euro reclamati dal partito. In sostanza, una vicenda che la dice lunga sullo stato di salute del Pd almeno a Macerata e in provincia, un paziente in prognosi riservata. E’ iniziata con un’imboscata al sindaco: la diffusione della notizia della sua espulsione a giochi ancora in corso, con una decisione tutt’altro che ufficiale e fondata solo su un verbale informale della commissione di garanzia. Ed è terminata con un durissimo attacco del sindaco stesso al segretario locale Stefano Di Pietro, all’assessore regionale Angelo Sciapichetti e al tesoriere maceratese Ivo Schiaffi, accusati di aver tramato alle sue spalle per farlo fuori e di averlo umiliato.

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Mario Morgoni, unico parlamentare maceratese del Pd

Evidente l’imbarazzo del segretario regionale Giovanni Gostoli, che, pur avendo fatto da mediatore, ancora oggi si trincera dietro un “no comment”. Mentre non può nascondere la gravità di quanto accaduto il segretario provinciale Francesco Vitali. «Sotto l’aspetto politico – commenta – siamo rimasti tutti molto toccati. A breve è previsto un direttivo provinciale per affrontare la questione delle imminenti elezioni amministrative, ma servirà anche per una riflessione complessiva alla luce di quanto accaduto. E’ chiaro che la situazione è sfuggita di mano e chi ha scelto di divulgare una notizia con una fuga in avanti è stato un incosciente e non l’ha fatto per il bene del partito. Però questa è stata una prova su cui tutti hanno fatto degli errori, si sarebbe dovuta gestire diversamente, con un po’ di buonsenso da entrambi le parti». Due della parti chiamate in causa da Carancini, Di Pietro e Sciapichetti, preferiscono non replicare alle accuse. Il primo vuole evitare reazioni a caldo che potrebbero compromettere ancora di più la situazione, anche se è chiaro che d’ora in poi e fino al 2020 sarà ancora più dura per Carancini confrontarsi col gruppo Pd in Consiglio. Il secondo si limita a un vecchio adagio: «Chi ha più giudizio lo usi, diceva sempre mia nonna», le uniche parole di Sciapichetti dopo le parole del sindaco.

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Francesco Vitali, segretario provinciale del Pd

In tutta questa bufera, è Morgoni dunque a tracciare un quadro complessivo. «Come valutazione politica – sottolinea il deputato dem – non posso non valutare il fatto che i due Comuni più grandi amministrati dal Pd da 10 anni e contrassegnati complessivamente da un buon governo, cioè Macerata e Recanati, si concludano in modo così maldestro (a Recanati Pd e sindaco uscente appoggiano due liste diverse, ndr). Un partito che deve assistere a questa debacle in vista di elezioni amministrative che sono tra le più delicate, per il pericolo dell’avanzata della destra, ci segnala che c’è un malessere e una situazione non certamente ottimale. In più è sconfortante notare che ancora si usino questi strumenti di battaglia politica di profilo squallido, come il passare le veline ai giornali. Un metodo non sufficientemente e risolutamente condannato, perché è apprezzabile chi prende posizioni in maniera leale, ma non chi agisce nell’ombra con pugnalate alle spalle».

Due vicende, quella di Carancini e Fiordomo, che secondo Morgoni si sposano con quella della candidatura dell’ex rettore Unicam Flavio Corradini alle Politiche del 2018. «Era l’unica candidatura innovativa e della società civile – aggiunge – eppure il direttivo provinciale la bocciò (poi Corradini venne candidato lo stesso, ma non ce la fece ad entrare in Parlamento, ndr).  E così se la vicende di Carancini e Fiordomo danno la misura di un partito che soffre, quella di Corradini mostra un partito arroccato in un sistema di potere ben definito». Sistema di potere che per Morgoni affonda le radici molto in profondità. Ennesima dimostrazione, andando indietro nel tempo, le elezioni del presidente della Provincia del 2016, poi vinte da Antonio Pettinari. «Il Pd espresse all’unanimità la candidatura di Ornella Formica – ricorda Morgoni – ma poi nel segreto dell’urna quella stessa candidatura non venne sostenuta, per rispetto di accordi sotterranei ed equilibri di potere tra il partito e l’Udc. Sarebbe stato più onesto sostenere apertamente Pettinari, abbiamo finito invece per condannare una nostra stessa candidata». Insomma per Morgoni la conclusione è semplice: «Il Pd è rimasto fermo a 10 anni fa, a logiche di potere interne.  Bisogna invece tornare a parlare con la gente e per la gente, spazzando via certi comportamenti che ricordano partiti di regime tra congiure, trame e minacce. In questo condivido il motto di Zingaretti “Cambiare tutto, cambiare tutti”, anche qui nella nostra provincia. Non possono essere gli uomini e le donne del partito a sciupare una risorsa come il Pd».

 

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