Mafia nigeriana a Macerata?
Tra bufale e visioni distinte
sulle organizzazioni criminali

IL COMMENTO - L’associazione mafiosa richiede, per essere qualificata giuridicamente come tale, una forte violenza intimidatrice, l’assoggettamento e l’omertà delle vittime. Per il momento gli inquirenti locali parlano di associazioni, ma senza quei requisiti. Nel nostro Paese ci sono però sodalizi violenti che gestiscono droga e prostituzione. Il caso Pamela può aiutare a capire come stanno le cose in provincia. In Italia, a fronte di situazioni abbastanza analoghe, gli orientamenti sono difformi. Falso che la Dia abbia inserito il nostro capoluogo nel dossier del 2017

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Giuseppe Bommarito

 

di Giuseppe Bommarito*

Esiste davvero in provincia di Macerata la mafia nigeriana, come qualche settimana fa riferito da alcuni giornali, che addirittura hanno scritto che la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) avrebbe incluso Macerata tra le nove città assoggettate al ferreo monopolio di questa associazione mafiosa?
Va intanto precisato che la notizia concernente la Dia è del tutto inventata. Nell’ultima relazione pubblicata, quella riguardante il secondo semestre 2017, non c’è infatti alcun cenno riferito a Macerata, e bisognerà quindi attendere la prossima relazione (relativa al primo semestre 2018) per capire se qualcosa al riguardo è cambiato nelle valutazioni del massimo organismo investigativo interforze italiano. Peraltro, allo stato attuale la Dia, sia pure parlando in termini generali, non si è limitata a definire quella nigeriana come la mafia straniera più feroce e più strutturata in Italia, nonché la più dedita alla commissione di reati, quale risultante da diverse sentenze della magistratura penale ormai definitive. Andando ancora oltre, la Dia ha aggiunto che questa mafia a struttura verticistica proveniente dalla Nigeria si è ormai strutturata e radicata nel nostro Paese ed è divenuta persino dominante in alcune zone territoriali, monopolizzando in una decina di città italiane – tra le quali, come sopra detto, non figura Macerata, il paese nostro che dorme tranquillo sulla collina – i più importanti e redditizi settori criminali: lo spaccio e il traffico di droga, la prostituzione, l’usura, il gioco d’azzardo e le scommesse, il racket dell’accattonaggio, le truffe telematiche, la tratta dei migranti dall’Africa.

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Da sinistra: il colonnello Michele Roberti, il procuratore Giovanni Giorgio, il questore Antonio Pignataro durante la conferenza stampa dopo gli arresti

Gli inquirenti maceratesi per adesso escludono che sussista in loco una vera e propria associazione mafiosa nigeriana, tant’è che l’eccezionale operazione delle settimane scorse, quella che dopo lunghe indagini si è concretizzata nell’arresto di 27 persone, di cui ben 24 di nazionalità nigeriana, portata brillantemente avanti da parte della polizia e dei carabinieri, è stata coordinata dal Procuratore della Repubblica di Macerata e non dalla Procura Distrettuale Antimafia di Ancona. Lo stesso procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona, Sergio Sottani, ha pure di recente affermato, su Cronache Maceratesi, che per adesso non ci sono elementi per parlare in termini giuridici di mafia nigeriana nelle Marche, precisando che “…un conto sono associazioni criminali nigeriane, un conto organizzazioni mafiose nigeriane”. Come a dire che, sia per la delinquenza di matrice straniera che per quella italiana, vi possono pure essere nelle Marche – e indubbiamente vi sono e sono state più volte individuate e perseguite – organizzazioni criminali composte da soggetti legati tra di loro da un vincolo associativo (la generica associazione per delinquere disciplinata dall’art. 416 del codice penale), ma ciò non significa che tali organizzazioni siano necessariamente caratterizzate dalla mafiosità e quindi tali da ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 416-bis del codice penale, norma che prevede pene ben più gravi, approvata solo nel 1982 dal legislatore, con colpevole ritardo, dopo le drammatiche morti di Carlo Alberto Dalla Chiesa e di Pio La Torre.

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Operazione antidroga a Fontescodella

Per assurgere al rango di organizzazione di tipo mafioso occorre qualcosa di più. Occorre in primo luogo che le persone (almeno tre) unite dal vincolo associativo finalizzato alla commissione di più reati si avvalgano apertamente o anche implicitamente della forza di intimidazione scaturente dalla pluralità di soggetti facenti parte del gruppo criminale e dalla carica di violenza potenziale che essi possono mettere in campo nell’ipotesi di resistenza attiva o passiva da parte delle vittime. Inoltre devono sussistere una condizione di assoggettamento e una condizione di omertà derivanti da tale forza intimidatrice, tali da potersi riflettere sia all’esterno che all’interno dell’associazione stessa. Piegati dall’alone di intimidazione diffusa e dal rischio di rappresaglie, e pertanto assoggettati e omertosi, possono essere quindi sia le vittime dei vari reati che gli stessi componenti dell’associazione.

Detto questo, va però evidenziato che non è difficile, anche in base alle semplici notizie fornite dai media, riscontrare come e quanto i criminali nigeriani siano addentro, dalle parti nostre, nei settori di attività illecita sopra evidenziati, soprattutto per quanto riguarda la droga, il giro della prostituzione, l’accattonaggio e la tratta dei migranti. Per la droga e il narcotraffico parlano eloquentemente tutte le ultime operazioni compiute dalle forze dell’ordine, compresa quella prima riferita, ove sono stati riscontrati decine di soggetti dediti all’importazione, al traffico e allo spaccio minuto nonché numerosi corrieri-ovulatori, migliaia e migliaia di cessioni di sostanze nell’arco di parecchi mesi, capacità di reperire qualsiasi sostanza in brevissimo tempo, rifornimenti costanti provenienti anche dalla madrepatria, collegamenti e ramificazioni pure in altre regioni, tecniche sofisticate di preparazione e occultamento delle sostanze e di invio dei profitti illeciti in Nigeria o verso altre destinazioni. Il tutto con un controllo del territorio stringente e senza falle, almeno di quello specificamente utilizzato per lo spaccio, da piazza Garibaldi sino al parco di Fontescodella, passando per i Giardini Diaz. Ciò almeno sino a quando le forze dell’ordine, dopo il gennaio 2018, hanno impresso un’accelerazione fortissima in termini di impegno sul campo, di risorse utilizzate e di modalità investigative più accurate.

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Quanto al giro della prostituzione di strada, è risaputo da anni che esiste nelle Marche un fiorentissimo giro di prostitute di colore che “lavorano” nel sud, nel centro e nel nord delle Marche, con frequenti spostamenti da una piazza all’altra (ed anche, dopo un po’ di tempo, fuori regione), a dimostrazione di una o più strutture di elevata caratura criminale, collegate con soggetti di vertice in Nigeria, ferreamente organizzate e in grado di gestire tutti i vari passaggi che vanno dal reclutamento e dall’assoggettamento nel Paese d’origine sino all’arrivo nelle Marche e all’avvio di uno sfruttamento feroce e inflessibile, caratterizzato da una costante violenza fisica e psicologica.
La tratta di queste povere donne, sfruttate sino all’inverosimile con modalità di tipo schiavistico, si intreccia strettamente con la capacità delle organizzazioni criminali nigeriane di utilizzare, per il loro arrivo in Italia (nonché per gli uomini da utilizzare nell’attività di spaccio al minuto), tutte le normative esistenti, soprattutto – almeno sino alla recentissima modifica legislativa che lo ha abolito – il permesso di soggiorno per motivi umanitari che richiedeva un lungo lasso di tempo per l’esame della domanda e il relativo responso da parte delle apposite commissioni. A tal fine, come è risultato evidente anche a Macerata nello scorso anno, l’annus horribilis di Pamela e di Traini, le esigenze delle organizzazioni criminali nigeriane sono riuscite anche in qualche caso a sposarsi alla miopia politica di alcune amministrazioni locali e alla voglia smisurata di profitto di associazioni pseudosolidaristiche fintamente dedite al volontariato e alla tutela degli “ultimi”. Per finire questa breve rassegna criminale, restano solo da citare le varie recenti operazioni della Questura di Macerata contro l’accattonaggio organizzato, gestito sempre da organizzazioni nigeriane con modalità di tipo militaresco (i cosiddetti “baseball cap” che, per elemosinare dinanzi alle chiese e ai supermercati, avevano persino scacciato gli zingari che prima vi stazionavano perennemente).

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Pamela Mastropietro

I campi di attività delle organizzazioni criminali nigeriane operanti su larga scala sia nella provincia maceratese che in regione sono quindi quelli tipici della criminalità mafiosa individuata dalla Dia. Ed è altresì evidente la capacità intimidatrice (requisito principale della cosiddetta mafiosità) di tali sodalizi, nel cui ambito proprio il ricorso massiccio alla violenza costituisce il tratto distintivo. Una violenza che a volte arriva a livelli difficili persino da immaginare. Basti pensare al colloquio avvenuto qualche mese fa in carcere tra Lucky Desmond e Awelima Lucky, entrambi all’epoca ancora indagati per l’omicidio di Pamela e poi condannati solo per un’imponente attività di spaccio. In tale occasione il primo, senza sapere di essere intercettato, arriva a dire con nonchalance, quasi vantandosene, che quanto avvenuto alla povera ragazza romana costituisce “cose da bambini …abbiamo già fatto cose terribili”.

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Innocent Oseghale

Per poi aggiungere, senza il benchè minimo rispetto sia per la vita che per la morte e con l’aria di chi la sa lunga, che l’Oseghale avrebbe potuto far sparire il cadavere della vittima semplicemente “tagliandone parte a pezzettini e gettandolo nel gabinetto e mangiando nel contempo il restante, dopo averlo congelato”.  Ma sussiste, nei confronti delle organizzazioni criminali nigeriane operanti in zona, il requisito dell’omertà, anch’esso necessario per la qualificazione di mafiosità? Pure a tal proposito la terribile vicenda di Pamela offre utili elementi di riflessione. Come è noto, l’unico attuale imputato per l’omicidio e le terrificanti attività successive di smembramento del cadavere è Innocent Oseghale, ma da sempre la convinzione più che fondata degli inquirenti è che lo stesso non possa in alcun modo aver fatto tutto da solo. Per mesi la Procura è stata infatti convinta che avessero partecipato all’omicidio anche Lucky Desmond e Awelima Lucky, indagando sul loro conto a 360 gradi, senza però riuscire a trovare le prove a tal riguardo. Ma ciò non toglie che la ricerca dei complici di Oseghale continua, perché la logica e il buon senso portano necessariamente a dire che una sola persona non può essersi resa responsabile in totale autonomia, in un arco di tempo relativamente breve, della disumana mostruosità accaduta a Macerata nel gennaio 2018.

Eppure Oseghale non parla, tace ostinatamente, non confessa l’omicidio e tantomeno il nome dei suoi complici, nonostante ciò possa indubbiamente giovargli in termini di quantificazione della futura pena, dando così mostra – e qui torniamo al punto – di un comportamento tipicamente omertoso, di chi ha il terrore di reazioni violente da parte dell’organizzazione criminale di cui era partecipe nei riguardi dei suoi familiari, sia quelli residenti in Italia che quelli che tuttora vivono nella sua madrepatria nigeriana. Insomma, pare difficile negare, relativamente alla criminalità nigeriana, che Macerata sia una delle città dove è presente in tutto e per tutto il modello strutturale di una forte e spietata organizzazione mafiosa, capace peraltro, dopo i durissimi colpi inferti nell’ultimo anno dalle forze dell’ordine, anche di riciclarsi e di risorgere dalle ceneri, recuperando in città piazze e zone di spaccio, come purtroppo sta avvenendo grazie ad una nuova leva di pusher, arruolati per la maggior parte tra immigrati di altre nazionalità africane.

La questione, che non è solo terminologica e si riflette sia sulla competenza degli organi giudiziari che sulle pene erogabili, è comunque controversa. A Torino, ad esempio, per fattispecie di reato del tutto identiche, una ventina di criminali nigeriani sono stati arrestati su richiesta Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo piemontese (si tratta dell’inchiesta che ha visto polemizzare, per una presunta fuga di notizie, il procuratore di Torino Armando Spataro e il ministro dell’Interno Matteo Salvini). Mentre invece un’altra del tutto analoga maxi-operazione contro 25 criminali di nazionalità prevalentemente nigeriana, che ha avuto luogo a Firenze proprio pochi giorni fa, è stata portata avanti dalla locale Procura, e non dalla Procura Distrettuale Antimafia.

*Avvocato, presidente dell’associazione “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”



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