Congiure, prove di forza e divisioni:
Natale amaro per il Pd
succube del governatore Ceriscioli

IL COMMENTO - Per la politica regionale il 2018 finisce nel peggiore dei modi e il responsabile unico è sempre e solo lui. Con la classificazione a Dea dell'ospedale Marche-Nord, in appena quindici giorni, è riuscito a spaccare la sua maggioranza e il partito. E a dar luogo a un conflitto istituzionale mai visto prima, almeno nella nostra regione

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di Fabrizio Cambriani

Finisce nel peggiore dei modi il 2018, mentre l’anno nuovo si annuncia già carico di tensioni e di vendette. Sarà il 2019, almeno per la politica regionale, l’anno delle congiure e dei tradimenti? Ma, soprattutto: sarà proprio l’anno in cui evaporerà per sempre un’intera classe dirigente politica che per venticinque, ininterrotti anni, ha governato la regione Marche? Le risposte le avremo a breve, ma i segnali indicano tutti quella direzione. Il responsabile unico di tutte queste fibrillazioni, manco a dirlo, è sempre e solo lui: il presidente della giunta regionale, Luca Ceriscioli. In appena quindici giorni, è riuscito a spaccare, la sua maggioranza e il suo partito, sia trasversalmente che per territori di appartenenza. In più, è riuscito a dar luogo a un conflitto istituzionale mai visto prima, almeno nella nostra regione.

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La Giunta regionale guidata da Luca Ceriscioli

I fatti: con delibera 1623 del 27 novembre scorso la giunta regionale trasforma l’azienda ospedaliera di Marche nord in ospedale di secondo livello. Con ciò calpestando le prerogative del Consiglio regionale (leggi l’anticipazione). Immediatamente, si attiva la diplomazia sotterranea che tenta di comporre la situazione, così da evitare qualsiasi conflitto. Soprattutto per scongiurare uno scontro tra Giunta e Consiglio che non si sa dove porterebbe. La risposta del governatore Ceriscioli è una granata, sotto forma di intervista, lanciata contro gli interlocutori del suo stesso partito. Non tanto nel contenuto, quanto nella forma. Mai si era visto un presidente di giunta, rivolgersi al suo stesso partito invitando i dirigenti che vogliono le primarie a rassegnarsi. Sostituendosi così a organismi (peraltro ancora da eleggere) e rendendoli, di fatto, già inutili e superati. Oppure sfidando come qualsiasi un bulletto di periferia, il rettore di Univpm, invece che iscriverlo d’ufficio nei naturali ranghi del centrosinistra. Così come normalmente si fa in queste circostanze. Soprattutto se la voce di una sua candidatura in quota Movimento 5 Stelle è frutto solo di una infondata indiscrezione giornalistica.

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Antonio Mastrovincenzo, presidente del Consiglio regionale

Con questa pessima intervista la misura è evidentemente colma e non c’è più spazio per nessuna mediazione. Si va allo scontro. Alcuni consiglieri della provincia di Ancona depositano una mozione in cui si chiede il ritiro della delibera 1623. Nelle motivazioni si legge infatti che si tratta di problematiche che sono di competenza del Consiglio, le cui decisioni non possono essere assunte con una delibera di giunta. Uno dei firmatari della mozione è Antonio Mastrovincenzo che è proprio il presidente dell’Assemblea Legislativa. La firma di Mastrovincenzo a supporto della mozione, certamente non ha avuto il riscontro che meritava, poiché è stata liquidata dalla stampa come quella di un semplice anconetano. Se il presidente dell’Assemblea Legislativa firma una mozione contro un atto di giunta, perché ritiene siano state lese le prerogative del Consiglio regionale, questo diventa uno scontro istituzionale a tutti gli effetti. E questa, da un punto di vista giornalistico, è una notizia-bomba. Credo che per la prima volta, nella storia della regione Marche, ci si trovi di fronte a un conflitto istituzionale del genere. E soprattutto, come nel mondo dei partiti politici locali, si abbia poca contezza della gravità della situazione in cui ci si è cacciati. La risposta del segretario regionale del Pd è, a dir poco, imbarazzante. Gostoli ha chiesto ai firmatari il ritiro della mozione. Come se fosse nella sua disponibilità comporre un conflitto tra istituzioni. Senza alcun dibattito in aula. Senza nessuna determinazione formale in capo ai due organismi coinvolti nella battaglia. Un imbarazzante silenzio proviene, invece dalle file delle opposizioni. Temo che non si siano nemmeno accorti di quanto di grave sia accaduto sotto i loro occhi. E questo la dice lunga sulla loro vitalità e affidabilità per il futuro.

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Francesco Comi e Giovanni Gostoli

I consiglieri regionali si sono divisi per territori, tifando ora pro, ora contro l’atto di giunta. Qualcuno, come i maceratesi, ha bertoldescamente invitato la giunta, con un altro atto a classificare pure il costruendo ospedale di Macerata di secondo livello. Come se concedere il Dea di secondo livello, fosse la stessa cosa che costruire una stazione di servizio sulla statale 77. Una straordinaria occasione persa per tacere, ma una lampante dimostrazione pubblica di essere del tutto ignari – a dispetto del cospicuo gettone di presenza intascato mensilmente – anche dei rudimentali fondamenti in materia di sanità. L’amara verità è che purtroppo, in questa legislatura non c’è un solo consigliere in grado di conoscere le semplici nozioni in materia sanitaria. L’ultimo capace di maneggiarla con padronanza e disinvoltura è stato il maceratese Francesco Comi. E prima di lui l’anconetano Marco Luchetti. Poi il buio più totale. Tanto è vero che se la giunta si permette di prendere provvedimenti in materia di sanità, scavalcando il Consiglio regionale, è perché lì alberga una ignoranza siderale. E stiamo parlando di una materia che copre, sia detto a titolo di cronaca, ben l’80% della spesa regionale.

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L’aula del Consiglio regionale

Con questa imbarazzante situazione ci si avvia verso le festività natalizie. Tra una fetta di panettone e qualche partita di tombola, la diplomazia tenterà di porre rimedio alle tante fratture causate, con scienza e coscienza, dal governatore Ceriscioli. Perché lui, in verità, può tirare la corda a suo piacimento. Nel caso dovesse perdere le prossime elezioni, in Consiglio regionale entrerebbe lo stesso. Per gli altri sono invece a disposizione solo quattro o cinque posti al massimo. Contro i sedici attuali. Nella logica del primum vivere, Ceriscioli ha infatti capito che anche le residue possibilità di una sempre più improbabile vittoria passano solo attraverso la sua persona. E che piuttosto di andare a casa, i consiglieri dovrebbero ingoiare qualsiasi scorrettezza lui faccia. Muti e rassegnati. Anche perché dalle opposizioni – dopo quattro anni di assordante silenzio – è oramai constatato che si chiudono tutti e due gli occhi. Il mio augurio di buone feste, oltre a tutti gli affezionati lettori, va anche a quanti avranno il coraggio di affrontare questa situazione, pagando anche un caro prezzo. Ma a schiena dritta e a testa alta.

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