Finale di partito

IL COMMENTO - L'umiliazione al governo regionale arrivata dalla Leopolda è di una gravità sbalorditiva. Una vendetta che scaturisce da un atto politico dopo che Ceriscioli, fino a ieri renziano di ferro, si precipitato sul carro di Zingaretti. Una sbandierata corsa al riposizionamento che evidenzia mancanza di autorevolezza di un'intera e improvvisata classe dirigente

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di Fabrizio Cambriani 

Non è passata inosservata l’ultima prodezza di Ceriscioli. Al contrario, ha addirittura trovato risalto nazionale – con un riscontro tutto negativo – dal palco dell’ultima Leopolda di Firenze. I fatti in un telegramma: durante la Leopolda, kermesse annuale di Matteo Renzi, la Regione Marche è stata presa come esempio di malgoverno dal famoso medico pro-vaccini, Roberto Burioni. Ciò in quanto – secondo lo stesso Burioni – Ceriscioli ha sostituito nel ruolo di consigliere delegato alla sanità il medico Volpini (assiduo sostenitore delle vaccinazioni) con il geometra Talè. Il quale, sempre ai suoi occhi, apparirebbe molto più tollerante in proposito. È finita che Renzi ha pubblicamente condannato la condotta di Ceriscioli. L’episodio è stato fedelmente riportato da Martina Marinangeli, in maniera più completa su questo giornale.

Noi ci ridiamo e scherziamo, ma il fatto è di una gravità sbalorditiva. Non bastava il declassamento in serie B per i fondi europei. Non bastavano gli allarmanti arretramenti in tutti gli indici economici e produttivi. Non bastava la retrocessione a prima regione del sud, quando fino a pochi anni fa, eravamo addirittura in competizione con il lombardo-veneto. Stavolta lo sgarbo non dipende da fattori di crisi esterna o da eventi imprevedibili. Si è trattato di una vera e propria umiliazione che scaturisce solo ed esclusivamente da un atto politico. Anzi da una serie di atti politici di cui è responsabile unico il governatore Ceriscioli. Non tanto per il fatto in sé che, tra l’altro così come è stato presentato, non risponde nemmeno al vero. Lungi da me prendere le difese di Ceriscioli, tuttavia per dovere di correttezza, va segnalato che le cose non sono andate esattamente come raccontate da Burioni: a Volpini non è stata ritirata nessuna delega, è stato lui dimettersi. Per verificarlo basterebbe scorrere, solo di qualche giorno, le pagine di cronaca.

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Matteo Renzi e Luca Ceriscioli

Il punto nodale di tutta la questione è la totale assenza di guida politica nell’istituzione regione. Una latitanza che si protrae da lunghissimo tempo. Così come manca pure un serio progetto amministrativo. In queste condizioni di debolezza, si è impreparati ad affrontare qualsiasi pur minimo attacco. Da dovunque esso provenga. Soprattutto se questo colpo micidiale all’immagine – si badi bene – non proviene dalle file dell’opposizione, ma dal fuoco amico. E di fuoco amico, in politica, spesso si muore. Infatti, arriva da Renzi in persona che prende le distanze e biasima la nomina di Talè a consigliere delegato alla sanità. Esplode come una granata alla vigilia del congresso del Partito Democratico. Assume i contorni torbidi di una velenosa vendetta. Poiché lo stesso Ceriscioli, fino a ieri renziano di ferro, oggi si precipita sul carro di Zingaretti. Con ciò esponendo l’intera regione da lui pessimamente governata, al pubblico ludibrio. Una sbandierata, quanto puerile corsa al riposizionamento che un presidente di giunta regionale si doveva assolutamente risparmiare. Se lo avesse fatto, avrebbe dimostrato forza e autorevolezza assieme. Doti che evidentemente non ha mai posseduto. Non a caso, ogni volta, si trova costretto a ripararsi dietro lo scudo del presunto vincitore. Se si fosse prudentemente astenuto dal fare il tifoso da curva nord – così come gli era stato saggiamente consigliato – ci avrebbe risparmiato le prime pagine dei giornali quale termine di paragone di una pessima amministrazione. E si sarebbe risparmiato lui l’ennesimo, prolisso spiegone di stucchevoli spiegazioni.

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Luca Ceriscioli con Nicola Zingaretti

Tuttavia, è l’episodio rivelatore in cui si disvela che il re è nudo. Negletto e reietto dai suoi stessi compari di partito. Che lo iscrivono d’ufficio e con procedura di somma urgenza tra i “compagni che sbagliano”. Un naufrago alla deriva che si aggrappa per sopravvivere a qualsiasi relitto. Assieme a lui, raminga per la tempesta, arranca tutta la maggioranza consiliare, già frammentata, in cerca di un più solido approdo. Un quadro che, partendo da una vicenda degna della miglior commedia all’italiana, finisce per assumere i contorni di una cupa drammaticità. Contiene i germi tossici di una pericolosa infezione, pronta a propagarsi in tutto il corpo. È presagio di altrettante, verosimili reazioni scomposte. L’annale e pressoché totale assenza di politica diventa terreno fertile per rese dei conti sanguinose. Una perfetta alchimia per la definitiva implosione.
Se Ceriscioli che è il pilota e ne è il primo responsabile, non si possono tacere le gravissime responsabilità di tutta l’intera classe dirigente del Pd. A partire sin dalla sua origine. Prima tra tutte l’odiosa superbia di poter campare sempre di rendita. L’accontentarsi di voler sopravvivere senza dover mai lavorare. La presunzione di pensare che nelle Marche rosse, bene o male, si potesse vincere ogni volta. L’odiosa autosufficienza nel non trattare con nessun altro che non sia sé stesso. La pervicace cecità e sordità anche in presenza di evidenti e paurosi segnali d’allarme che, nel corso del tempo, giungevano. Le supponenti e stizzite reazioni nei confronti di quelli – pochi invero – che indicavano come il barometro segnalasse tempesta. Le disarmanti argomentazioni di quanti, ancora oggi, pensano di poter risolvere questo tracollo epocale semplicemente attraverso le primarie. Manco fosse un lavacro salvifico dal quale, come in un sacrificio tribale, ci si possa rifare una verginità ormai perduta per sempre. Lo ripeto per l’ennesima volta: senza un disegno politico non si va da nessuna parte. E al Partito Democratico manca del tutto un progetto. Diversamente dalla Lega e dal M5S che combattono – o danno soltanto l’impressione di farlo – per cambiare lo stato delle cose, il Pd si dimostra rassegnato agli eventi. Li subisce senza reagire. E Ceriscioli è ormai percepito come l’icona vivente di questa lunga inerzia. L’epigono di una abulia che tende sempre più all’estinzione. Viceversa, tutta la vitalità, la determinazione, la grinta necessaria, la classe dirigente attuale la utilizza per combattersi all’interno. Per dividersi in fazioni. Ora alleandosi e ora dividendosi, ma sempre per una inutile e stucchevole belligeranza che è tutta racchiusa nel partito stesso. Agli occhi degli elettori, il Pd, non solo non suscita più speranze, ma provoca profonda repulsione.

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Alcuni delegati del Pd Marche all’assemblea nazionale

Sono tutti colpevoli. Nessuno escluso. Nemmeno quelli che, oramai fuori tempo massimo, prendono le distanze. Effettuano distinguo. Invocano dibattiti. Chiedono condivisione. Farebbero più bella figura, non fosse altro che per dignità, a tacere. Quando potevano e dovevano parlare hanno colpevolmente taciuto. Dall’alto del fortilizio dei numeri che a loro sorridevano (mentre oggi sono collassati) hanno rinunciato ad affrontare le sfide dei tempi nuovi. Più che il progetto hanno privilegiato il bastone del comando. Trascurando la programmazione si sono solo concentrati solo sull’ordinaria amministrazione. Occupando posti di potere reale, distribuendo benefici, elargendo, esclusiavamente ai più fedeli e servizievoli, stipendi e prebende. Tutto, beninteso, a carico della collettività. Alla politica con la P maiuscola, hanno preferito le avide sicurezze delle laute e immeritate indennità di carica. Un tardivo quanto inoperoso ravvedimento che, comunque lo si voglia guardare, lascia sul campo problemi non affrontati e nodi mai sciolti.
Questo è quanto è stata capace di consegnare alle cronache una improvvisata classe dirigente, nella quale molti marchigiani avevano riposto speranze e aspettative per un territorio e un futuro migliore. Il resto sarà un congresso in cui si tenterà scientificamente di avvelenare i pozzi su tutte le regioni, come è già accaduto in questo caso. In cui, come diceva Rino Formica, volerà sangue e merda. Il tutto per dividersi il torsolo di mela di qualche posto. Stavolta però, a pane e acqua, nei banchi dell’opposizione. Un finale di partita che – temo – diventerà anche finale di partito.

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