La Pasquella de Natale

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario Monachesi

 

di Mario Monachesi

La Pasquella è un canto rituale dalle origini antichissime, tipico dell’Epifania. I suonatori questuanti portavano di casa in casa l’annuncio della nascita del Bambin Gesù, augurando la fortuna per l’anno entrante e chiedendo in cambio cibo e vino.  Prima di iniziare a cantare e suonare chiedevano il permesso (veniva negato solo nelle case col lutto). Mentre la famiglia al completo ascoltava, la vergara si preoccupava di preparare i doni, sempre in natura, da offrire. Spesso, quando se ne presentava l’occasione, i canterini aggiungevano a braccio nuove strofe, relative al luogo dove si trovavano e a fatti memorabili in quei pressi accaduti.

“Bona sera bona jende,
che noi siamo tutti amici;
vi portiamo la novella,
l’anno nuovo e la Pasquella.

 

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Il Gruppo della Pasquella della Pro Loco di Piediripa

La Pasquella de Natale,
da principiu a Carnevale;
Carnevale e l’alligria,
viva Pasqua e Bifania.
(ritornello)

La vergara stamatina,
c’hia prumisto ‘na gajina;
e o vero ‘na pollastrella,
l’annu nou e la Pasquella.

La Pasquella de Natale, ecc

Se la gajina no’ l’avete,
un cappone ci darete;
un pochino de Pimbinella,
l’annu nou e la Pasquella.

Lu porcu che sci ‘mmazzato,
cinquecento t’ha pesato;
co’ , lu fetucu e la coratella,
l’annu nou e la Pasquella.

Se ce dai ‘na sargiccetta,
non ce ‘mporta se cenetta;
pe’ stongare la padella,
l’annu nou e la Pasquella.

Se ce dai ‘na forma de cascio,
ce facimo li maccheroni;
co’ lo pepe e la cannella,
l’annu nou e la Pasquella.

La votte vicino a lu muru,
c’è lu zippu ce va duru;
ce mittimo la cannella,
l’annu nou e la Pasquella.

Se ce dai un bicchiere de vino,
pe’ lavà’ Gesú Bambino;
pe’ lavaje la faccia vella,
l’annu nou e la Pasquella.

Lu bove jó la stalla,
Sant’Antognu ve lu guarda;
speciarmente la vitella,
l’annu nou e la Pasquella.

Questa moje che tu c’hai,
cento fiji te pozza fare;
pozza fare ‘na fijia vella,
l’annu nou e la Pasquella.

Quessa fijia che c’iavete,
ma perché non ce la date;
è ‘na fijia tanto vella,
l’annu nou e la Pasquella.

Fate presto e non tardate,
che dal cielo casca la vrina;
fa venire la tremarella,
l’annu nou e la Pasquella.

Oe oe oe’ o vergara o vergara dacce a be’;
oe oe oe’ o vergara o vergara dacce a be’…

Manifesta un gran Splendore
quale a noi spiegar non lice:
con il canto e sinfonia
viva Pasqua e Pifania.

Nella grotta di Betlemme
nascer vole il Re del Cielo
fra i rigori del freddo e gelo
non si cura d’oro e gemme
ma di rozza Cappannella
viva viva la Pasquella…

Un singolare rito, chiamato “la pratica delle Pasquelle” era in usanza nelle nostre campagne. Tra capodanno e l’Epifania gli innamorati, pronunciando alcune frasi precise, solevano gettare sul focolare ben riscaldato, una manciata di foglie d’olivo benedetto. (Pasquelle, appunto). Se le Pasquelle saltavano e si giravano e rigiravano era segno propizio, un buon pronostico per l’anno entrante, se invece bruciavano subito significava malaugurio. Le foglie per questo esercizio dovevano essere raccolte di notte da persone nude.



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