Ugo Bellesi
di Ugo Bellesi
Sul fronte dell’emergenza terremoto la Regione da un lato e il Consorzio Arcale dall’altro per giorni si sono scambiati accuse per i ritardi nella costruzione delle Sae (Soluzioni abitative d’emergenza). Ritardi veramente assurdi essendo arrivati al secondo anno successivo al sisma. La Regione ha denunciato l’insufficienza e l’inadeguatezza degli operai impiegati dalla Arcale, minacciando di far pagare al Consorzio «tutti i danni che è possibile richiedere, oltre alla penale che scatta per legge». Dal canto suo Arcale ha respinto al mittente tutte le accuse dicendo: «L’individuazione delle aree da parte dei Comuni ha richiesto un sacco di tempo e poi c’è quel periodo imprevedibile in cui le ditte incaricate dalla Regione fanno l’urbanizzazione. Quella fase non ci compete, né dipende da noi». E poi ha rincarato la dose: «I ritardi dipendono anche dalla burocrazia che deve rispettare dei passaggi formali. Le urbanizzazioni infatti vengono realizzate con il codice degli appalti in regime ordinario e non di emergenza».
Questo rimpallo di responsabilità non è piaciuto a nessuno e tanto meno agli sfollati che fino ad oggi sono quelli che hanno pagato sulla propria pelle la “penale più gravosa”: quella di rimanere fuori casa per oltre un anno se erano ospitati negli alberghi della costa, e quella di vivere al freddo d’inverno e al caldo terribile dell’estate scorsa nei camper o in soluzioni emergenziali. Ma a loro nessuno ha chiesto neppure scusa e non spetterà, purtroppo, alcun risarcimento.
Non compete certo a noi giornalisti stabilire chi abbia ragione tra la Regione e il Consorzio Arcale. Tuttavia vista l’autorevolezza dei due soggetti in competizione è da ritenere che entrambi abbiano detto la verità. E cioè che tutti e due siano corresponsabili nei ritardi della messa a disposizione dei terremotati delle casette. Potrebbe sorgere il sospetto che entrambi i soggetti si siano messi d’accordo e la polemica sia stata soltanto un gioco delle parti. Ma lo escludiamo. Resta il fatto però innegabile che Regione e Arcale abbiano ottenuto il risultato di tenere intere famiglie e intere comunità ancora lontane dalle loro cittadine, dove sono i loro interessi, dove sono i loro punti di riferimento, dove erano le loro amicizie.
Da tutta questa vicenda si è avuta comunque la conferma che la scelta di allontanare le famiglie dai luoghi di residenza in attesa delle casette di legno non è stata certo felice. Innanzitutto perché la individuazione delle aree ha comportato grande perdita di tempo dal momento che le scelte dei Comuni non facilmente venivano accettate ed erano quasi sempre messe in discussione. «Sembrava – ci dice un terremotato – come se fosse stato chiesto ad un condannato di scegliere l’albero su cui impiccarlo… E tra l’altro, spesso le zone individuate per costruire le casette erano le migliori, cioè quelle che si sarebbero dovute salvaguardare come aree di eventuale espansione abitativa nel caso in cui il vecchio incasato, o parte di esso, non potesse essere ricostruito là dove era prima del terremoto». C’è stato poi il problema degli sbancamenti per procedere alla costruzione dei basamenti. Intere aree sono state sconvolte, spesso modificando e deturpando il paesaggio in maniera irrimediabile. «Hanno scavato – ci spiega un sindaco – come se sopra avessero dovuto costruirci un fabbricato di tre piani e non delle casette di legno». Consegnata l’area urbanizzata al consorzio Arcale c’era la fase della costruzione delle casette che è andata sempre per le lunghe. Terminate le casette trascorreva un altro mese per completare le opere di urbanizzazione riguardanti ad esempio i marciapiedi. «Se avessero dovuto costruire un villaggio turistico per qualche Multinazionale – ha esclamato una madre di famiglia di Castelsantangelo in attesa della casetta – sicuramente non ci avrebbero messo tanto tempo». Infatti per le casette è stato messo in piedi un meccanismo complesso che prevede l’intervento di ditte diverse, con appalti diversi, con criteri e tempi di lavorazione diversi. Ma quello che manca alle famiglie rimaste senza casa, senza lavoro e con pochi risparmi, è proprio il tempo. Non si può rimanere per oltre un anno in attesa di un tetto senza avere un futuro preciso. La polemica tra Regione Consorzio Arcale non ha fatto altro che aumentare l’angoscia degli sfollati che vivono lontani dalle loro cittadine e si stanno convincendo che anche per la ricostruzione (leggera o pesante che sia) trascorreranno troppi anni e che quindi è preferibile trovare un lavoro e una sistemazione là dove si trovano attualmente.
Da sinistra Giorgio Gervasi insieme al governatore Luca Ceriscioli nell’area Le piane di Pieve Torina
E guarda caso, proprio per favorire queste soluzioni lontane dall’area del sisma e quindi incentivare la desertificazione dell’entroterra, sia la Regione che la Protezione civile (che pure si era schierata in favore del Consorzio Arcale sostenendo che i ritardi per le casette erano per colpa della Regione) si sono trovate perfettamente d’accordo nell’acquisto di 366 immobili (con una spesa di 60 milioni) da assegnare ai terremotati al posto delle Sae (soluzioni abitative d’emergenza). Si tratta di appartamenti rimasti invenduti per le conseguenze della crisi economica iniziata nel 2007/2008 perché negli anni precedenti c’era stata un’ondata di costruzioni a tutto spiano, favorite anche da mutui concessi troppo a cuor leggero dalle banche che poi nei mesi scorsi sono fallite. Quelle case che a partire dal febbraio 2018 verranno messe a disposizione dei terremotati non saranno certo in grado di ricreare quelle comunità che sono state disperse per ogni dove nei giorni successivi al sisma. Infatti solo i 19 appartamenti disponibili sia a Camerino che a Castelraimondo consentiranno ai rispettivi sfollati di rientrare nelle proprie città. Per tutti gli altri sarà dura. Pieve Torina infatti dispone soltanto di tre abitazioni. Quindi coloro che usufruiranno di questi alloggi (a meno che non siano pensionati o senza famiglia) dovranno continuare a macinare chilometri e chilometri tutti i giorni per portare i figli a scuola a Visso o per recarsi al lavoro dove hanno un’azienda artigiana o una attività commerciale.
E tutto questo “ambaradam” perché non si riesce a costruire le casette nei tempi utili? Ma anche questi appartamenti – è stato sottolineato – non saranno disponibili prima di febbraio/marzo 2018. Quindi significa che gli sfollati dovranno rimanere dove si trovano almeno fino alla prossima primavera e quindi con un’altra dura invernata sulle spalle? Ma allora tanto vale attendere la costruzione delle casette… Ma forse la logica è un’altra, quella che molti sindaci dei Comuni nell’area dell’epicentro del sisma temono grandemente: la volontà di allontanare la gente dalla zona terremotata e favorire l’insediamento delle famiglie in altre aree. E il motivo quale potrebbe essere? Quello di far sì che molti terremotati rinunceranno a ricostruire le loro case danneggiate a ridosso dei Sibillini e far vivere i loro figli in zone in cui ci siano tutte le scuole, ospedali più vicini, tutti i servizi e via elencando…Ma le case messe a loro disposizione non saranno di loro proprietà. Certamente, ma è facile che fra qualche anno, con mutui agevolati, potranno entrarne in possesso.
Quindi lo Stato anziché finanziare la ricostruzione acquisterà tanti immobili abbandonati perché invenduti a causa della crisi economica e di una cementificazione selvaggia mai vista. Tanto è vero che questa di 366 abitazioni disponibili è quanto risulta da una prima ricognizione ma la Regione ha già una disponibilità complessiva di 962 immobili. Se aumenterà il fabbisogno ci sarà un’altra assegnazione di alloggi. Si realizzerebbe così “il più imponente piano abitativo delle Marche”. Si potrebbe dire che tale scelta è stata fatta per dare agli sfollati una abitazione vera e non una casetta di legno e in città meglio dotate di tutti i servizi. Ma ovviamente il favore sarà per i proprietari di quegli appartamenti rimasti invenduti a causa di una scellerata politica che negli anni bui ha puntato tutto sull’edilizia. Mentre per le zone terremotate resterà solo la prospettiva di creare un deserto, o quasi. E giustamente il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha dichiarato: «I territori colpiti dal sisma meritano un’azione di forte stimolo per ricreare le normali condizioni di sviluppo economico e sociale ed evitare lo spopolamento e la desertificazione economica, dove già aveva duramente colpito la crisi e dove ha pesato il default di Banca Marche».
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Se lo stato anziché ricostruire acquisterebbe l invenduto e lo assegnasse ai terremotati, d un colpo salverebbe i costruttori messi male e le banche messe peggio. Sarebbe un colpo di genio…. i terremotati? Le loro case? La loro dignità? Ma che importa …. infine vorrei rendere onore a Guido Bertolaso, unico manager competente e preparato, con una squadra alle spalle preparata e capace. Team smantellato, deriso e sempre attaccato trasversalmente. Perché ? Non ho una risposta e nemmeno la cerco.