di Stefano Donati*
In questi giorni si stanno completando le prime abitazioni provvisorie nell’entroterra ferito (leggi l’articolo). Le cosiddette Sae, a quasi un anno dal sisma permetteranno un progressivo ripopolamento dei luoghi e si spera anche un timido rilancio economico.
Certamente anche a causa delle procedure burocratiche la ricostruzione sarà lenta. Sono ancora in corso le verifiche sugli edifici ed è del tutto probabile che alla fine di questi anche molte realtà, in un primo momento apparentemente non colpite, finiranno per rivelare nuovi danni.
Tutto male? No. Molto male ma non malissimo.
La lentezza che accompagna questa vicenda e le risorse che inevitabilmente stanno per essere e saranno dispiegate debbono offrire alcuni spunti di riflessione. La lentezza stessa deve diventare un’opportunità; superate e digerite le prime fasi dovremmo sfruttare il tempo prima dell’avvio dei cantieri per ragionare, anche da un punto di vista sociologico, sulla vicenda e sul futuro di queste terre. Terre che non ci si stancherà mai di ricordarlo sono paesaggisticamente meravigliose.
Il ragionamento che vorrei condurre è prevalentemente per i centri storici. Autentiche chicche, spesso costruite in modo arroccato e minimo. Angoli, scorci, una sicurezza murata, rotta da squarci di vedute verso colline che si dipanano fino a dove l’azzurro del mare si confonde col cielo.
Tuttavia, non di rado, ci siamo chiesti in questi anni, come fronteggiare il fenomeno della “morte del centro storico”. Credo che una riflessione seria sia stata fatta e che abbia ben individuato le dinamiche economiche e sociali che hanno progressivamente portato a dense (e spesso insensate) periferie. Certamente fra i fenomeni che hanno portato all’abbandono c’è il rapporto con la nostra mobilità, pensata ormai quasi esclusivamente in funzione dell’automobile. Anche le dimensioni dei locali commerciali, se rapportate agli standard degli odierni market sono esigue. Inoltre gli edifici si prestano, spesso, poco e male ad essere caratterizzati da quella indipendenza che l’attuale modello abitativo richiede.
Ora però con la progressiva riduzione e si spera futuro azzeramento, del consumo di suolo dovremmo fare i conti con cosa fare del costruito.
Qui si capisce il perché le periferie, senza grandi valori architettonici, siano risolvibili con programmi in cui anche la parola demolizione giocherà pian piano un ruolo utile e determinante. Così come la rigenerazione urbana diventerà il tema a cui ispirare i futuri strumenti urbanistici.
Questo contesto costituisce, a mio modo di vedere, un’occasione irripetibile che la nostra politica non può ignorare ne tantomeno perdere.
Conosciamo i motivi per cui i centri storici sono in disuso, siamo consapevoli che nuovo suolo non si può più consumare. Questo è il momento di pensare a come vorremmo i centri storici, in modo che le risorse della ricostruzione non siano destinate a renderci edifici nuovi ma identicamente vuoti o poco utilizzati. Cosa ci faremo di case ristrutturate ma vuote?
Dovrebbero invece essere messe in campo norme urbanistiche tali da far si, che a cantieri ultimati, nuova vita si impossessi dei centri.
Penso a politiche che rendano obbligatorio l’adeguamento igienico e sanitario, anche liberando un pò la mano dei progettisti per quanto riguarda gli interni, rendendo di fatto più appetibili gli edifici. Politiche che favoriscano il frazionamento immobiliare dei grandi “palazzoni” vuoti e che si impegnino ad agevolare la mobilità attorno ai centri, realizzando parcheggi distribuiti con basso impatto ambientale. Magari proprio le stesse aree delle Sae potrebbero essere così pensate e realizzate in modo diffuso. Avrebbero quindi una doppia funzione, attuale e futura.
La regione ha appena varato una semplificazione di iter per gli strumenti urbanistici dei comuni. Questo è il momento di instaurare una serie di iniziative anche obbligatorie, fino anche a bonus fiscali comunali (tanto da un locale vuoto non ci si trae nulla) che siano di esempio e che siano le linee guida su cui per almeno un decennio si lavorerà in materia di governo del territorio. Immagino centri storici in cui si trovino punti vendita aziendali delle aziende locali, residenze ed in cui vi sia una contaminazione di attività e fra attività.
Insomma tutto sembra convergere, le risorse per i privati ci sono (quelle della ricostruzione), il pubblico potrebbe impegnarsi a concertare aree di emergenza da riconvertire in aree di servizio. Gli strumenti normativi ci sono e perfino il tempo per “pensare e fare”.
Ora manca solo l’impegno, molto al di la delle questioni elettorali, molto di più di questioni di piccolo interesse di casta o di partito. Qui si gioca il futuro di questa parte della regione.
*Stefano Donati, ingegnere di Montefano
Bell'articolo. Non so però quanto l'accesso ai centri storici sia mai stato un problema, in centri così piccoli.
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