di Mario Monachesi
Maggio è anche il mese mariano. Dall’insieme dei riti poetici che da sempre l’uomo ha rivolto a questo mese, è nata la dedica alla Madonna. Dal profano ha avuto inizio il sacro. Proprio così. Il primo ad attuare un connubio tra il mese del risveglio della natura e la figura della Madre Celeste è stato, verso la fine del sec. XIII, Alfonso Re di Castiglia e Leon. Una delle sue “Cantiga de Santa Maria” trovava il modo di elevare spiritualmente le tradizioni folkloristiche legate a questo mese. Nel 1549 il benedettino Wolfang Seila pubblicava a Monaco di Baviera il “Maggio spirituale”. Verso la fine del XVI secolo, San Filippo Neri insegnava ai giovani il modo di tributare ossequi alla Madonna con fiori, canti, lodi e atti di virtù.
Nel 1677 presso i domenicani di Fiesole nacque una confraternita che iniziò a dedicare il mese di maggio a Maria. Nel ‘700 si moltiplicarono a dismisura i libri devozionali per il “mese di mariano”. Dall’800 questa devozione è pienamente affermata sia in Europa che in America. Nel maceratese, fino agli inizi del ‘900 i ragazzi di paese avevano l’abitudine di tenere in un angolo della casa un “ardarì” (piccolo altare). Durante tutto il maggio lo adornavano di fiori e lumi in onore della Madonna. Sovente tra loro si instauravano vere e proprie, ma sempre nobili, gare per stabilire di chi fosse l'”ara” (piccolo altare) più ricca, più bella, più fiorita. Per tutto il mese la gente si recava nelle chiese del centro a recitare i dovuti omaggi.
Edicola restaurata a Passo Treia
In campagna erano le edicole sacre disseminate un po’ ovunque ad ospitare la devozione nei confronti della Madre di Gesù. I contadini, di sera, dopo una giornata di pesante lavoro vi si radunavano a recitare il rosario e altre preghiere e ad intonare canti inneggianti “Maria”. Queste serate già tiepide e sotto un manto di stelle diventavano anche piacevoli occasioni di incontri fra giovani e specialmente tra fidanzati. Tornando poi tutti a casa, i ragazzini trovavano ancora il modo di venir rapiti dal suggestivo spettacolo di un infinito mare di lucciole a guardia del grano e vaganti per la campagna tutta.Nel rincorrerle e tentare di acchiapparle si davano a cantare, ma più spesso a gridare: “lucciola pénda calla calla, / mitti la vrija (briglia) a la cavalla; / la cavalla de lu re, / lucciola pénda, vié co’ mme”.
Per l’intero mese non c’era edicola, anche la più sperduta, che non fosse addobbata di fiori e che qualcuno passandovi a qualsiasi ora davanti non si inchinasse con devozione e non vi lasciasse un ulteriore fiore sia pure campestre. Ai nostri tempi il mese di maggio viene celebrato nelle chiese ma non più con quei numeri di folle. Da qualche anno anche in quella parte di campagna lontana dalla chiesa parrocchiale si è ricominciato a riunirsi e recitare il rosario davanti alle tante edicole riscoperte. In tutti e due i casi sono più gli anziani a ritrovarsi che i ragazzi o i giovani in genere.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati