“Centro storico?
Il farmaco salvavita
è la residenzialità”

MACERATA - Nel quartiere, mutato geneticamente nello spazio di vent’anni, alloggi moltiplicati. Stranieri (botteghe antiche che passano la ‘mano’ affidandosi a messaggi in cinese) e soprattutto studenti hanno sostituito la comunità locale. “Si vive solo da lunedì da venerdì e le attività scompaiono” dice l’ingegner Cesare Spuri “Un male che risale ad oltre venti anni, giunto adesso allo stadio terminale”. La città cambia anche nel nome del nuovo ‘eroe’ sportivo: Daniel Kouko

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residenzialità(foto MS)di Maurizio Verdenelli

(foto di Massimo Scoponi)

Nello spazio di vent’anni la mutazione ‘genetica’ del centro storico di Macerata si è compiuta. Non più ‘quartiere’ antico, identità profonda del capoluogo, ma ‘altro’. In strade, viuzze, piazze e piazzette non si respira più aria e cadenza ‘del posto’: al ‘maceratese’ si sono sostituiti inflessioni di altre regioni e lingue straniere, quasi gridate. Quelle belle ragazze con i troller, che si srotolano rumorosamente sul pavè sconnesso, l’assenza ormai di anziani e di abitudinarie conventicole di amici: in una parola la sparizione della comunità ‘residente’, il proliferare dei cartelli ‘affittasi’ (a studenti, meglio a studentesse) è il segno della mutazione. Un cambiamento radicale, storico pari solo a quello degli anni ’70 quando Macerata raggiunse più o meno una densità demografica pari a quella attuale, le campagne (dove viveva chi produceva allora il 68% del reddito complessivo della provincia) si svuotarono riempiendo anche e soprattutto gli alloggi del centro storico, soprattutto quelli dell’ultimo piano perché all’aria e alla luce i nuovi ‘maceratesi’, abituati alla libertà campestre, non se la sentivano di rinunciare nell’intrico abitatissimo sul cucuzzolo del colle più alto.

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Il centro storico maceratese cominciò a ‘mutare’ gradualmente negli anni ’90 allorché il rito tradizionale dello ‘struscio’ lungo il corso venne abbandonato e i ‘vecchi’ maceratesi non sentirono più l’attrattiva dei negozi, dell’aperitivo al ‘Venanzetti’ (non ci furono più i quattro amici al bar) prima del cinema il sabato sera, la messa la domenica mattina in cattedrale o a San Giovanni. A causa, si disse, dell’isola pedonale degli anni 70 che aveva reso sin da allora difficile l’avvicinamento. In ogni caso una malattia silenziosa. Un ‘cancro segreto’ che prese possesso, divorandolo, di un corpo macilento, già provato. Un male che prese sempre più distintamente il nome di avidità, speculazione: mali acuti ed ormai cronici di questi tempi difficili anche a Macerata, Civitas Mariae. ‘Espulse’, la malattia, una dopo l’altra le famiglie che vivevano e facevano vivere il quartiere, sempre più abbandonato dalla popolazione pre-esistente, anche e soprattutto per la grande difficoltà nel viverci, lasciando spazio a nuclei stranieri e soprattutto agli studenti. L’Università avrebbe salvato il centro storico, si disse, speranzosi. Non è andata esattamente così, seppure la ‘ricetta’ abbia indubbiamente funzionato per i proprietari di case ed operatori immobiliari. Che indubbiamente hanno prosperato. Eppure i sintomi c’erano tutti sin dall’ora, sin dagli anni 90. Le parrocchie ‘storiche’ che chiudevano una dietro l’altra, i negozi d’alimentari, i grandi magazzini, i negozi legati alla vita di tutti i giorni. Uno dietro l’altro. Al loro posto atelier più o meno a buon prezzo. E c’è chi ritenendo di dover passare la pano alla guida di un negozio famoso per le sue primizie, rende noto le proprio intenzioni con un cartello bilingue: la seconda è in cinese. Anche le scuole stanno subendo un’evidente mutazione a cominciare dalla composizione stessa delle classi. Chiusa la Montessori, nuove folte popolazioni scolastiche si iscrivono: sono i figli dello ius soli, nati per lo più a Macerata da genitori immigrati. «Con le lacrime agli occhi – dice il giornalista Carlo Cambi – ho assistito da nonno alla esibizione di danza a conclusione dell’anno di studi alle “Giuseppine”. E con sofddisfazione ho appreso della volontà dell’istituto di aprire il corso di scuola media… per chi non volesse imparare il mandarino».

residenzialità9(foto MS)Al posto di appartamenti dalle sufficienti metrature, secondo la tradizione dei vecchi palazzi, unità abitative spezzettate. All’infinito. Può succedere come in un minuscolo palazzetto dell’800 di via Crescimbeni (l’antico corso cittadino che ricorda ora più Macao e Chinatown che l’illustre maceratese ‘padre’ dell’Arcadia) che di un singolo appartamento vengano ricavati quattro alloggi. Ospitando una ‘folla’ al posto delle originarie tre famiglie: da condominio a resort/pensionato che vive, preferibilmente di notte, cinque giorni su sette. Un formicaio al posto di un condominio. Niente stupore: ‘così fan tutti’ dice a buona ragione un giovane amministratore condominale, Michele Del Bianco ‘erede’ di una lunga e stimata professione familiare.

residenzialità10(foto MS)Tuttavia cosa hanno da guadagnare i proprietari affittacamere o imprese immobiliari che hanno fatto un legittimo investimento col supporto di ditte specializzate in questi recuperi dove si ottimizzano anche pochissimi metri quadrati considerando che questi ‘moduli’ sono oggetto di un flusso e riflusso abbastanza costante soprattutto da parte di ospiti stranieri? Molto, giustamente. E’ lavoro. Cosa ha da guadagnare il quartiere già privo di servizi? A parte gli affitti riscossi dai privati, niente. Dal punto di vista ambientale, tanto: basta pensare al moltiplicarsi delle emissioni dai tanti nuovi  ‘comignoli’ in un’atmosfera già inquinata dal traffico. E la ‘movida’, dal punto di vista della tranquillità, non aiuta: quella che si scatena, incontrollata, il mercoledì e il giovedì quando la ‘Civitas Mariae’ diventa una delle città più incivili del Centro Italia dove si orina in mezzo a strade e piazze, si aggrediscono verbalmente i residenti che rientrano in ore notturne e si suonano provocatoriamente i campanelli delle abitazioni -a Senigallia, ad un studente camerinese disorientato dall’alcol ed in semplice ricerca di informazioni, questo costò l’immediato fermo di polizia la notte di Halloween. “Macerata è davvero un caso, peggiore anche di Roma. Aa Trastevere, zona caldissima, cala in ogni caso il silenzio dopo le 2 di notte. Qui invece si va avanti fino alle 4 ed oltre”: è perplessa Rosanna che, dalla capitale, ha scelto di vivere ‘controtendenza’ nel centro del capoluogo marchigiano.

Esultanza Kouko_Foto LB

Daniel Kouko

Che però domenica scorsa ha vissuto una giornata di riappacificazione con se stessa, una giornata gloriosa ed insieme significativa. Nel nome, guarda caso, di un giovane ‘nero’: Daniel Kouko, ivoriano con sangue jamaicano ed ivoriano, dall’inflessione toscana, da dove proviene calcisticamente. E’ lui che ha scritto una pagina indimenticabile nella storia dello sport locale, sempre prima scritto soprattutto da maceratesi  e se non lo erano, lo sarebbero diventati a cominciare da Turchetto, Rega, Ferretti, Sentimenti e via elencando: perché dove meglio di qui? E allo stadio e in piazza, è stato giustamente il beniamino: abbracciato, complimentato, toccato come un totem.

Cesare Spuri

Cesare Spuri

Dice l’ingegner Cesare Spuri: “Già all’inizio del suo mandato, negli anni 90, ci eravamo posti con il sindaco Gian Mario Maulo il problema. Era chiaro che se esisteva una massiccia richiesta, poniamo, per suddividere in tre unità abitative, altrettanti piani dove prima poteva vivere una famiglia intera, quello stava a significare che si voleva ricavare per ciascuno piano almeno due posti letto per studenti. E significava ancora che il quartiere ‘tendeva’ – con il progredire dell’esercito degli affittacamere/ristrutturatori- a vivere di meno. Non più dunque l’intera settimana, ma da lunedì a venerdì, seguendo l’orario delle lezioni all’Università”.

Dunque?

«E’ stato alla fine un colpo mortale per l’intero centro storico, per tutte le sue attività, per i negozi, i commercianti che ormai hanno forzatamente un target unico: il giovane. Lo studente, spesso di un’altra regione, non ha interesse a comperare dal negozietto ‘di sotto’ perché ha la mensa universitaria e le sue ‘cose’ se le porta da casa. Non mette naturalmente radici. Vuole un esempio?».

residenzialità11(foto MS)Si, certo…

«Ha visto i bar? Sono spesso privi di tavolini, perché tutto si svolge al banco, a differenza di quando il locale diventava ‘una casa’ per l’avventore nello spirito del ’vecchio caffè’. Ormai intorno ai tavolini rimasti siedono e fanno conversazione solo gruppi di stranieri o di nati da famiglie straniere residenti in città. E’ la ‘popolazione’ omogenea che si sta sovrapponendo a quella precedente, maceratese»

Vero. Tanto che gli unici che sembrano seguire le regole del bar ritirando lo scontrino fiscale alla cassa, sono loro, i giovani stranieri. Speriamo comunque, ingegnere, in queste nuove famiglie che stanno riempiendo i vuoti delle classi scolastiche ormai a corto d’iscrizioni (cfr caso Montessori). E che non si faranno sfrattare facilmente dagli affittacamere venuti fuori città ad investire. Anche se il business avanza stando alla testimonianza di un amministratore condominale: “Così fan tutti”…

«La città non ha bisogno di nuovi ghetti, seppure perfettamente restaurati: ha necessità invece di recuperare l’anima, magari una nuova, diversa, ma non solo in prestito e per cinque giorni la settimana. Ha necessità il centro storico di residenzialità, di gente che la viva, dando e prendendo: non consumandola soltanto».

residenzialità7(foto MS)Lei, ingegnere, ha vissuto, se non ricordo male, in centro…Adesso?

«Sono andato in periferia per esigenze familiari che cambiano. Ma conosco bene le problematiche, sin dai tempi di Maulo».

Già, quando all’albo degli affittacamere risultavano non più di quattro mentre a settembre ogni casa ‘libera’ metteva fuori il fatidico “Affittasi a studenti” con l’indicazione dei post/letto. Adesso, a chi telefona, si chiede anche di più: “Scusi, lei è italiano o straniero?”. Per carità, non si preoccupi, sono italiano, italianissimo, le dirò di più: vengo da Pievetorina…

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