Eccessivo “buonismo” dei giudici
nella lotta contro la delinquenza?

Le precisazioni del procuratore Giorgio su quanto gli è stato attribuito dai giornali. Caso chiuso? Speriamo di sì, soprattutto per la fiducia dei cittadini nell’amministrazione della giustizia.

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

La notte dello scorso 19 ottobre il rumeno Giorgian Grecea, un imbianchino ventisettenne residente a Fermo, transitava con la propria macchina in piazza Oberdan di Macerata quando venne bloccato dai carabinieri per un controllo. Lui finse di fermarsi ma all’improvviso accelerò e travolse un vicebrigadiere procurandogli lesioni guaribili in un mese. Il giorno dopo, risalendo dalla targa dell’auto, il Grecea fu rintracciato a Fermo e tratto in arresto per resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. Nel processo di primo grado, svoltosi al tribunale di Macerata, la procura ne ha chiesto la condanna a quattro anni di reclusione ma la sentenza è stata assai meno severa: un anno e nove mesi con la sospensione condizionale della pena. La procura ricorrerà in appello. Questi i fatti.
Ma negli ultimi giorni tale vicenda ha avuto un seguito che dalla cronaca nera l’ha trasferita di colpo nella cronaca giudiziaria. E mi riferisco alle considerazioni con le quali il capo della procura Giovanni Giorgio “avrebbe” commentato (poi vedremo il perché dell’ipotetico “avrebbe”) quella sentenza, che per eccessiva mitezza esprimerebbe un “buonismo” inadeguato ad affrontare il progressivo aggravarsi della questione “sicurezza” in città e nell’intera provincia, come fra l’altro dimostra il recente episodio di Civitanova, con un albanese – Kurti Legion, venticinquenne – che al volante di un’auto rubata ha investito e ferito un poliziotto e un ignaro passante.

Il procuratore Giovanni Giorgio

Il procuratore Giovanni Giorgio

Affermazioni, quelle attribuite al dottor Giorgio, che hanno avuto grande spazio negli organi d’informazione e hanno suscitato un’altrettanto grande condivisione da parte della gente. Ne riporto alcune, traendole da “Cronache Maceratesi”: “Per rendere effettivo e concreto il concetto di legalità non si può dare il minimo della pena a tutti”. E ancora: “Mi sta bene che sia stata data una pena più bassa di quella richiesta, ma per dimostrare l’effettività della legge penale il giudice poteva almeno subordinare la sospensione della pena al risarcimento del militare ferito. Quel carabiniere, invece, non avrà niente e dovrà anche pagarsi l’avvocato”. E ancora: “Bonarietà e tolleranza sono valori positivi, ma se vengono usati in modo non pertinente finiscono per dare la stura ad atteggiamenti di illegalità”. E ancora: “Il mio ufficio si sforza di fare le impugnazioni quando non è convinto delle scelte bonarie dei giudici, ma c’è da riflettere sulla situazione”. E infine, visto che i protagonisti di tali episodi sono spesso stranieri: “Si può dare ospitalità a chiunque ma non indiscriminatamente: per i reati gravi si può ricorrere anche all’espulsione dall’Italia”.
E ora vengo al condizionale “avrebbe detto” invece dell’indicativo “ha detto”. Il procuratore Giorgio, infatti, ha rettificato ciò che gli è stato messo in bocca dai quotidiani locali, “frutto solo di un’esclusiva rielaborazione da parte di una giornalista di quanto ci eravamo detti non in un’intervista con domande e risposte ma in un occasionale contatto telefonico e con l’impegno della giornalista di riferirmi quanto da lei rielaborato sì da ottenere da me l’assenso alla pubblicazione, impegno che non è stato rispettato”. Sta di fatto che ne è uscito un articolo con tanto di frasi virgolettate, la qual cosa dovrebbe essere garanzia di autenticità, e quelle frasi sono state passate anche agli altri quotidiani locali. Delle precisazioni del dottor Giorgio debbo, ovviamente, prendere atto, anche perché esse rettificano ma nella sostanza non smentiscono il suo legittimo e condivisibile pensiero di parte d’accusa nel processo. Nel comunicato finale, infatti, il procuratore afferma: “Le aggressioni subite dapprima da un carabiniere ad opera di un rumeno e poi, a Civitanova, ad opera di un albanese in danno di due poliziotti e di un’altra persona meriterebbero a mio parere un trattamento cautelare e sanzionatorio proporzionato alla loro significativa gravità sussistendo l’opportunità di tutelare efficacemente gli esponenti delle forze dell’ordine che lavorano su strada e – come tali – sono esposti a rischi per la propria incolumità nell’esclusivo interesse della collettività”. Quella sentenza, insomma, non gli è piaciuta. E non è detto che abbia torto. Mi limito semmai ad osservare che esternazioni pubbliche di tale importanza andrebbero fatte in conferenze stampa aperte a tutti gli operatori dell’informazione e non a uno solo. Ma pare che questo non sia logisticamente possibile.
Conclude il procuratore: “Sono molto dispiaciuto per quanto è stato scritto, essendo stata anche prospettata una situazione di una mia generalizzata contrapposizione istituzionale di ‘attacco’ – inesistente e irrituale – rispetto a tutta la magistratura giudicante del tribunale di Macerata, verso cui, rispettosamente, esprimo invece il mio più profondo rammarico per l’infelice situazione che si è determinata”.
E adesso, nel mio opinabilissimo piccolo, oso concludere anch’io. Sono meritevoli di plauso la serietà, il rigore, l’impegno e l’inflessibilità di Giovanni Giorgio, virtù delle quali, prima del suo arrivo, Macerata aveva un grande bisogno. E per quanto riguarda la sostanza, su quella sentenza mi schiero dalla sua parte. Ma “est modus in rebus”, come saggiamente ammonivano i nostri antichi progenitori: in ogni cosa dev’esserci un “modo” di affrontarla, a seconda dei tempi e dei luoghi. Se lo stesso pensiero fosse stato espresso nell’aula del futuro processo d’appello nessuno avrebbe avuto motivo di risentirsi e, invece, comparso anzitempo sui giornali (ancorché forzato e in parte, a suo dire, travisato) ha rischiato di riproporre anche a Macerata quell’aspra contrapposizione paraideologica e parapolitica fra “garantismo” e “giustizialismo” che tanti danni ha creato in Italia – le leggi “ad personam”, il dilatarsi dei tempi di prescrizione – a un’equa e serena amministrazione della giustizia. Il “garantismo”, del resto, non dovrebbe valere anche per le vittime dei reati?
Vi sono state reazioni? Non dai giudici, che hanno scelto il silenzio, ma dagli avvocati penalisti, il cui presidente Renato Coltorti si è schierato a loro sostegno: “Non si deve sminuire ingiustamente la professionalità dei magistrati giudicanti col rischio che un’ opinione pubblica superficiale li individui come concausa del percepito aumento dei fenomeni delinquenziali e che venga meno la necessaria serenità nella quale i processi debbono essere celebrati e con la quale ogni singola vicenda e ogni singolo imputato debbono essere giudicati”. Una posizione, questa, che ora lo stesso procuratore definisce “pacata e meditata”. Il caso, quindi, potrebbe ritenersi risolto o, comunque, avviato a soluzione.
Gli organi del terzo potere costituzionale dello Stato, fra cui le procure, dovrebbero chiudersi in una torre d’avorio senza entrare in contatto con la realtà viva della società e senza farsi “contaminare” dai fermenti, dai bisogni e dalle tendenze che emergono dal cosiddetto “popolo sovrano”? Un tempo lo si credeva, oggi non è più da auspicare. Per ampiezza e profondità le moderne tecnologie – la Rete, Internet, i Social Network , i giornali On Line – hanno rivoluzionato l’universo della comunicazione e non si può negare che ad ogni livello e per ogni soggetto anche istituzionale le aperture mediatiche nei confronti della società civile siano un passo avanti nella partecipazione popolare alla democrazia. Purché non si aprano “crepe” nella fiducia che noi comuni cittadini dovremmo nutrire nell’amministrazione della giustizia. E allora ripeto: “Est modus in rebus”.



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