Chi non sa cosa dire è meglio che non parli, per cui, e non da oggi, preferisco non esprimere giudizi sulla situazione politica maceratese e limitarmi a trattare argomenti più alla mia portata come la veggente Pasqualina, gli pseudonimi di Cm e l’arte degli ex libris. I fatti, del resto, sono noti. Il centrosinistra, che dovrebbe sostenere la giunta comunale (e dal quale la giunta comunale dovrebbe meritare il sostegno), è diviso fra ex democristiani, ex comunisti, ex repubblicani, ex socialisti, ex dipietrini, neo comunisti, neo antidipietrini e nuovissimi renziani, mentre l’opposizione di centrodestra, che ora rischia di perdere gli ex democristiani dell’Udc , vivacchia sulla sponda del fiume in attesa che passi il cadavere degli avversari suicidi. E su tutto incombe la presenza dei grillini. Nessun giudizio, ripeto. Addentrarsi nella giungla delle ragioni e dei torti è un’impresa troppo ardua e la lascio a chi ha antenne più sensibili delle mie.
Ciò non toglie però che l’andamento di una delle scorse sedute consiliari è stato a tal punto singolare da esigere, stavolta sì, un giudizio. Non politico, intendiamoci, ma estetico. E non mi riferisco alle risatine di scherno, alle interruzioni, alle uscite dall’aula ed ai precipitosi rientri quando c’è da votare, con gli spettatori che si chiedono se tutto questo serva davvero a qualcosa (ma forse serve a qualcuno, non a caso i momenti più tesi riguardano sempre l’urbanistica, ossia il cemento, materia assai sostanziosa). Molto di più, infatti, m’interessa la tematica parasessuale o parasessista dello scontro tra Ivano Tacconi (Udc) e Deborah Pantana (Pdl) , con la Pantana che ironizza sull’intervento oratorio del consigliere Pizzichini (Udc), Tacconi che inopinatamente le grida “tu non sei una donna!” (alla Pantana non manca una vis polemica per così dire virile, ma sul fatto che sia una donna non c’erano mai stati dubbi) e lei che se ne va in lacrime sorretta da provvidenziali soccorritori. Il tutto trasmesso in diretta da un’emittente televisiva locale cui è stata concessa l’esclusiva delle riprese coi soldi del Comune (strano: le esclusive dovrebbero esser pagate da chi le ottiene e non da chi le offre, ma questo è un altro discorso).
Ora passo alla pubblicità televisiva in generale. Tramontata l’epoca, negli spot, del “tette-culismo” con decine di ragazze seminude a far da “testimonial” di automobili, polizze assicurative, aspirapolvere, detersivi , dentifrici e prosciutti cotti, adesso si sta facendo largo un genere diverso, quello di utilizzare come traino promozionale autentici frammenti di storia. Primo caso: nell’agosto del 1963 il pastore protestante Martin Luther King pronunciò a New York il famoso discorso con l’ancor più famoso slogan “I have a dream” – io ho un sogno – per il riscatto civile del popolo nero. Fu un fatto epocale. Risvegliò coscienze – non solo negli Usa – da troppo tempo sopite. Ebbene, quel discorso, e lui che lo fece, e la folla che a lui fece eco, son diventati “testimonial” di uno spot di Telecom. Ecco il messaggio: passate a Telecom, fate come Martin Luther King! Secondo caso: nell’agosto del 1969, in una località dell’Ulster, si tenne il celebre festival di Woodstock al quale parteciparono un milione di ragazzi appartenenti al movimento “hippie” che negli anni sessanta s’era diffuso in Occidente dando spinta alla contestazione giovanile – il Sessantotto, in Italia – e incidendo profondamente nei costumi. Ebbene, il festival di Woodstock (quella folla sterminata, quell’entusiasmo, quella passione) è diventato “testimonial” del Conto Arancio di una banca olandese. Il messaggio: zero spese e 2,40 d’interesse, depositate i risparmi da noi, fate come i contestatori di Woodstock! Nessun rapporto né politico né etico – anzi, il contrario – può esserci sia fra la figura di Luther King e le tariffe telefoniche sia fra gli slanci pacifisti e anticonsumistici di Woodstock e il fatturato di una banca. Scandaloso? Sì, ma tutto è lecito, oggigiorno, grazie all’ideologia iperliberista del “vietato vietare”. Per cui mi rassegno.
Ma allora, tornando ai problemi del Comune di Macerata e conoscendo le difficoltà finanziarie in cui si dibatte, mi permetto di suggerire una soluzione che consentirebbe di alleggerirne il pesante bilancio: cedere le riprese di quell’episodio – piccolo, se vogliamo, ma autentico e forse destinato a passare alla storia – a una qualunque multinazionale e ricavarne un congruo compenso. La scenata fra Tacconi e la Pantana, ad esempio, farebbe gola, per impressionante contrasto, a una clinica internazionale specializzata nella chirurgia transessuale o ancor meglio a un’azienda farmaceutica che produce sostanze contro gli accessi d’ira, i conati di vomito, gli attacchi di panico e i pruriti intimi. Tacconi e la Pantana, insomma, diverrebbero plausibili “testimonial” di prodotti sanitari come, immagino, un ipotetico “Decenzal” o “Equilibril” o “Dignital”. Fateveli prescrivere – direbbe lo spot – e la vostra vita sarà rasserenata. E quanto incasserebbe il Comune? Dollari a palate, il che consentirebbe financo la riduzione dell’Imu.
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