In un mondo ormai globalizzato, riappropriarsi della propria cultura popolare come già accade in altre realtà nazionali e internazionali, equivale a riappropriarsi del proprio territorio sia in senso letterale, sia mentalmente. Perché territorio equivale a identità ed è l’unica cosa veramente nostra.Il territorio non è solo la terra sotto i nostri piedi ma anche e soprattutto la complessa, antica cultura popolare alla quale tutti noi apparteniamo da sempre. Riappropriarsi di tutto questo non significa tornare ad aggrapparsi a inutili campanilismi di vecchio stampo ma vuol dire prendere coscienza di essere comunità all’interno di una comunità, agire localmente e pensare globalmente. Tutto questo nel luogo che ha dato i natali all’immenso Giovanni Ginobili (24 gennaio 1892 – 17 ottobre 1973), poeta vernacolare e padre nobile dell’etno-musicologia moderna nelle Marche, che con amore ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca e alla conservazione della cultura della nostra terra. Cultura della quale parte fondamentale è il saltarello.
Il saltarello non è una canzone, ma è una espressione della secolare cultura popolare della nostra terra, un codice articolato che faceva e fa parte di un patrimonio comune di una cultura condivisa, un codice col quale è possibile esprimere i diversi sentimenti dell’animo umano. Non è limitato soltanto al divertimento fine a sé stesso, non è solo una prova di destrezza o un semplice rituale di corteggiamento, ma è tutto questo insieme e soprattutto “omaggio alla bellezza, alla forza creativa della natura, alla Grande Madre, ovvero alla divinità femminile primordiale qui sempre trionfante anche in epoca cristiana (come testimoniano le innumerevoli pinturette, cioè le edicole sacre dedicate spesso alla Madonna nera di Loreto, sparse in tutta la campagna marchigiana)” [Cit. Roberto Lucanero, “Il ballo delle fate. Divagazioni sul motivo del Saltarello Marchigiano”]. Il saltarello è musica popolare, non è mai uguale, non è una macchia su una cartina geografica: ogni luogo aveva il suo. Ma moltissimi saltarelli sono scomparsi. Il saltarello alla petriolese, che grazie a Domenico Ciccioli e allo storico gruppo di autentici portatori delle tradizioni popolari maceratesi Pitrió’ mmia ancora oggi possiamo gustare incontaminato così come veniva danzato e suonato un secolo fa, è detto il Principe dei Saltarelli perché risulta essere il più articolato, sia musicalmente che coreuticamente: mentre gli altri saltarelli hanno due o tre parti, quello di Petriolo si articola in ben 5 parti. Non è un saltarello parzialmente inventato o ricostruito usando pezzi di altri saltarelli, come frequentemente si ascolta in giro. È l’espressione genuina della antica tradizione della Marca centrale, è quello che siamo stati, quello che siamo tuttora, le nostre radici. E le radici vanno curate con amore, perché senza radici la pianta cade. Poi un giorno non lontano, davanti a quell’albero morto, qualcuno verrà da fuori a insegnarci la sua versione della nostra cultura popolare o, peggio, a proporcene una totalmente inventata, e noi non sapremo riconoscere il vero dal falso. Il ciclo di incontri è presentato dalla Pro Loco di Petriolo , dal Gruppo delle tradizioni popolari maceratesi Pitrió’ mmia e dall’Associazione L’Orastrana con il patrocinio del Comune di Petriolo.
Il primo appuntamento è previsto per domani (mercoledì 27 marzo) al Teatro Comunale di Petriolo con inizio ore 21.30. La partecipazione è gratuita
INFO: propetriolo2000@alice.itFacebook: https://www.facebook.com/ilsaltarellodipetriolo
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Complimenti! Si potrebbe fare un gruppo composto dai volontari della Croce Rossa di Petriolo con Graziano e famiglia! Sicuramente Ginobili sarebbe orgoglioso dell’iniziativa!
Il maceratese Giovanni Ginobili (Petriolo 1892 – Macerata 1973), nonostante una settantina di pubblicazioni stampate a spese proprie pur di tramandarci il dialetto, usi, costumi e leggende, è ormai caduto completamente nel dimenticatoio di una Provincia molto attenta al recupero di personaggi, sovente usati per autocelebrazioni.
Eppure è curioso che ai nostri amministratori, presidenti di enti, associazioni e compagnie di ventura, sia sfuggito che Guido Piovene nel “Viaggio in Italia”, spesso citato dagli stessi a sproposito, dedichi un’intera pagina al nostro antropologo: “Uno studioso locale, Giovanni Ginobili, vide nella sua infanzia liti furiose di comari che si denudavano in piazza perché le loro membra, non si sa come, dimostrassero a tutti, con il loro semplice aspetto, la fedeltà al marito, forse credendo che il peccato le avrebbe fatte dimagrire o annerire; oppure s’insultavano senza parole, mostrandosi in successione oggetti d’uso casalingo, che nel linguaggio muto della convenzione significavano oltraggio, sino a comporre tutto un lungo discorso”.
Piovene ci offre inoltre una rara ed efficace descrizione del personaggio: “Giovanni Ginobili, maestro elementare, e studioso superstite del folclore marchigiano, abita a Macerata; è piccolo, con i capelli bianchi ritti a fiamma, che quasi ne raddoppiano la statura; ha raccolto canti, proverbi, musiche, costumanze, in una dozzina di libri e d’opuscoli”. E ancora “Una volta si portò a casa una mendicante decrepita di 92 anni per un accenno a una leggenda che gli era parso di cogliere nei suoi balbettii”. Insomma ritengo che il nostro Ginobili meriti una laurea ad honorem, una via cittadina o almeno una lapide fuori la casa di Macerata, quella casa in via Emanuele Filiberto dove ha abitato tanti anni con la sua numerosa famiglia. Comunque Giovanni era un gran burlone che aveva previsto l’ingratitudine del popolo bue maceratese, tanto che nell’ultimo chiostro del cimitero di Macerata ha lasciato a futura memoria un epitaffio che consiglio di leggere.