Redditometro: non pagano
i “finti poveri” ma i “finti ricchi”

Il provvedimento si basa sulla presunzione di infedeltà del contribuente

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di Manuel Seri*

Appena arrivato, il nuovo “redditometro” che interessa tutti i contribuenti e che dovrebbe rendere più efficace la lotta all’evasione fiscale è già ignobilmente rinnegato dagli stessi ideatori ed attuatori. Il criterio fondamentale su cui si basa è quello secondo cui il reddito non può essere mai inferiore alle spese sostenute nell’anno per beni, servizi e investimenti ricavabili dalle ben 128 banche dati disponibili per il Fisco e, in certi casi, da non meglio specificate medie Istat. Uno degli aspetti più rilevanti è la determinazione dell’ammontare delle n. 56 tipologie spese significative per i “consumi”: per n. 26 tipologie infatti (ad esempio, mobili, arredi, elettrodomestici, casalinghi, manutenzioni ordinarie, scuola e relativi sussidi, tempo libero, salute e benessere, …) viene valorizzato, alternativamente, l’importo effettivamente sostenuto sulla base dei dati estratti dalle varie banche dati o, se più elevato, quello delle medie Istat: la ratio inespressa è sempre la presunzione di infedeltà del Contribuente che, se risulta aver speso meno della media, significa che ha fatto il furbo. Il Fisco disattende perciò legalmente il dato ufficiale a favore del dato stimato più elevato in modo che il risultato della ricostruzione redditometrica sia maggiore: “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo” … anche nei rapporti col Fisco!
I Vertici rassicurano: il Fisco non potrà comunque procedere ad accertamento automatico e perciò il Contribuente avrà tutto il tempo per fornire le giustificazioni e le prove occorrenti. Vero, ma come farà a dimostrare, ad esempio, che ha realmente speso meno dell’importo ricavato dalla media Istat? Anche se avesse conservato gli scontrini e le ricevute fiscali, non potrebbe mai provare che essi rappresentano tutte e sole le spese sostenute.
Ecco dunque una anticipazione di cosa accadrà. In caso di scostamento superiore al 20% del reddito dichiarato il Contribuente verrà invitato dal Fisco a fornire giustificazioni e troverà qualcuno che comprenderà …, ma non potrà fare nulla perché mancherà il pezzo di carta adatto o perché la direttiva interna dell’Ufficio non lo consentirà o perché la circolare lo vieterà; dopo qualche giorno si troverà nella cassetta della posta un bel preavviso di accertamento tributario con l’indicazione delle corrispondenti sanzioni (il minimo è sempre pari al 100% dei tributi richiesti!), con un bel po’ di soldi da pagare all’Erario e con l’invito ad un ulteriore contraddittorio per un riesame ed una migliore personalizzazione della pretesa. Ricomincerà così un altro “teatrino” simile al precedente dove però il Malcapitato si troverà nella condizione di dover scegliere se accettare la proposta dell’Ufficio (che pure riterrà ingiusta, ma almeno ridurrà di 1/6 l’importo delle sanzioni ed eviterà di dover affrontare un futuro Giudizio comunque oneroso) oppure se impugnare il successivo accertamento davanti al Giudice accettandone tutti i rischi (magari previa definizione prudenziale delle sanzioni per ridurle ad 1/3), pagandosi il difensore chissà per quanti gradi di Giudizio e intanto versando, prima di cominciare, 1/3 dei maggiori tributi richiesti che poi, se avrà ragione, gli sarà restituito. Un bel compromesso con la coscienza che vorrebbe ribellarsi, ma che alla fine, se la pretesa non sarà esagerata, cederà al ricatto con l’amaro in bocca e con tanta rassegnata delusione.
Poiché si è stimato che almeno il 20% dei Contribuenti si trova in situazioni di anomalia e dunque a rischio di accertamento, è facile prevedere un grande esproprio di Stato (cominciando con un primo gruppo di 35.000 malcapitati) che probabilmente coinvolgerà le fasce sociali medio-basse in quanto maggiormente esposte al rischio: lo slogan è quello di far pagare i “finti poveri”, ma l’effetto sarà quello di perseguitare tanti “finti ricchi”. Chi vivrà … vedrà!

* Manuel Seri, Presidente del Movimento in Difesa dei Lavoratori Autonomi



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