Ancora non sappiamo come precisamente sarà questa benedetta manovra che l’Europa ci impone e che in un confuso saliscendi di emendamenti e controemendamenti pressoché quotidiani si sta faticosissimamente avviando ad assumere forza di legge. Ma una cosa sappiamo. Ed è che nel testo iniziale essa conteneva l’idea di “cancellare” o “sopprimere” i 1.970 comuni con meno di mille abitanti, 17 dei quali si trovano nella provincia di Macerata, alcuni – Acquacanina, Bolognola, Castelsantangelo sul Nera, Fiordimonte, Montecavallo, Poggio San Vicino e Sefro – non arrivano neanche a cinquecento anime. Vero è che adesso cominciano a venir fuori parole meno devastanti: “accorpamento”, “fusione”, “consorzi di servizi”. Ma, sotto sotto, quell’idea sopravvive. E resiste per ragioni esclusivamente finanziarie. Se occorre tagliare la spesa pubblica, si dice, aboliamo queste costose, inutili e parassitarie realtà amministrative e l’Italia tirerà un sospiro di sollievo. In generale, del resto, l’opinione pubblica nazionale non è affatto contraria a un così draconiano colpo di forbici, tant’è vero che anche da noi capita di udire giudizi perentori come i seguenti: la presenza di tali comuni è una “follia che trova giustificazione solo in una clientelare prosopopea retorica” e la resistenza opposta dai loro sindaci è una “sfilata assai poco dignitosa in difesa di interessi particolari e di localismi fastidiosi e arretrati” per “preservare una immensa quota di funzionari e poltrone da assegnare, distribuire e regalare”. Opinioni rispettabili, ovviamente. Ma allora ci sarebbe da chiedersi il perché della demoniaca pervicacia grazie alla quale i nostri comunelli hanno resistito per secoli senza che nessuno si accorgesse delle truffaldine manovre che li tenevano in vita.
Stavolta, però, c’è di mezzo l’economia. E l’economia non ammette obiezioni. Ah, l’economia, l’economia! Non c’è niente, oggigiorno, che conti non dico di più, ma almeno alla pari. Non la storia, la fede, la cultura, la bellezza, l’anima, il sangue. Basta una sola parola di Moody’s o di Standard & Poors e cadono stati, nazioni, interi continenti. Ah, il mercato, il mercato! E amen.. Anche se, a giudicare da certi calcoli, la soppressione dei piccoli comuni garantirebbe un risparmio annuale pari a quello che si otterrebbe riducendo di appena ventisette unità il numero dei deputati o sopprimendo le mense, ora quasi gratuite, di deputati e senatori. Calcoli in mala fede, fatti dai protagonisti di quella “sfilata in difesa di interessi particolari”? Può darsi.
Ma non è questo il punto. Pur rendendomi conto di recitare la parte magari risibile della “vox clamantis in deserto”, io mi ostino a non cedere al dominio assoluto dell’economia e continuo a sostenere la bandiera di quegli altri valori che, assieme all’economia, hanno consentito all’umanità di progredire, sia pure con tanti passi indietro e tante tragiche ricadute, nell’aspro cammino verso la realizzazione di un mondo via via un po’ migliore. Vogliamo dire la libertà, l’eguaglianza, la solidarietà, lo spirito comunitario, la memoria dei sacrifici dei padri, il senso della storia, delle cosiddette radici e di un futuro che sarebbe cieco se non fosse alimentato dalla coscienza del passato?.Diciamolo. Roba superata, obsoleta, da cassonetti della raccolta differenziata? Roba che deve soggiacere alla tirannide dell’economia? Forse, oggi. Ma tornerà a farsi sentire, perché ciò che è durato millenni non sarà certo Moody’s a cancellarlo togliendogli qualche “A” dalla pagella. Anche l’Italia, del resto, costa molto. E che facciamo? Aboliamo l’Italia?
L’altro giorno mi ha reso felice che da posizioni politiche diverse il consigliere provinciale Daniele Salvi del Pd e l’ex presidente della provincia Franco Capponi assieme al capogruppo provinciale Nazareno Agostini, entrambi del centrodestra, si sono schierati a difesa dei piccoli comuni, sostenendo il primo il dovere di mantenere “identità, cultura e rappresentanza di comunità secolari” e gli altri due definendo “semplicistica e deleteria” la cancellazione di tali realtà. Ecco un salto di qualità della nostra politica, uno dei pochi, purtroppo, ma lo saluto con grande favore.
Il nome di Acquacanina – forse con riferimento a una sorgente paludosa – è citato in un documento dell’anno 977. E fu nel 1400 che il suo minuscolo popolo si riunì in assemblea per affrancarsi in libero comune dalle strutture feudali. Il nome di Bolognola non significherebbe “piccola Bologna”, per indicare il luogo dove nel 1300 avrebbero trovato rifugio le famiglie Pepoli, Malvezzi e Bentivoglio perseguitate dai guelfi emiliani, ma risale ad almeno un secolo prima e deriva dal latino “bononia” (terra di cose buone). Poi, nel quindicesimo secolo, libero comune divenne anche Bolognola, sia pure sotto l’influenza dei Da Varano. Ussita, il cui nome deriva dal latino “exitus” (porta, valico, uscita), era la più importante delle cinque “guaite” vissane che nel Duecento si svincolarono dai feudatari. Poggio San Vicino, avamposto della colonia romana “Tufficanum”, stette a lungo sotto il dominio di Apiro, ma la sua gente si ribellò e sul finire del 1300 riuscì a conquistare una sua autonomia sotto l’influenza degli Smeducci, signori di San Severino. E Montecavallo, Fiordimonte, Castelsantangelo, Sefro? Storie analoghe, di lotte, rivolte, eroismi, riscatti, conquiste. E importanti testimonianze – castelli, torri, chiese, affreschi, sculture – che incantano per imponenza e bellezza. E il sentimento alto di un’appartenenza che significa dignità, fierezza, genuina volontà popolare.
Abbiamo celebrato il centocinquantesimo dell’Unità d’Italia: tricolori ovunque, dalla Sicilia alle Alpi, una grande manifestazione di orgoglio patriottico. Ma questa fu – ed è – l’Italia dei Comuni. L’Italia che a partire da mille anni fa seppe compiere un passo decisivo – nella modernità? – per il superamento della cappa feudale. E tributare un omaggio così profondo e sentito all’Italia Unita significa anche tributarlo all’Italia dei Comuni. Ridurre i costi? Porre un freno alla spesa pubblica? D’accordo. Anche nelle strutture municipali? D’accordo, accorpando servizi, unificando uffici, realizzando risparmi di gestione, riducendo, dove si può, il già modestissimo personale. Ma guardiamoci dalla demagogia delle concessioni agli istinti peggiori dell’antipolitica. Qui la politica non c’entra affatto. Se andiamo a vedere, nell’aula consiliare della Provincia, gli stemmi antichi dei nostri 57 comuni, sono certo che qualcosa di più importante dell’economia si accenderà nell’animo nostro. Insomma, io mi auguro che i sindaci eletti dalla gente dei diciassette piccoli comuni maceratesi continuino ad esserci e a indossare la fascia tricolore tenendo alto il loro gonfalone.
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Caro Dott. Liuti, grazie per il garbo, l’eleganza e lo stile col quale espone il suo pensiero, informando senza mai dare l’impressione di insegnare.
Condivido quel che dice in modo quasi imbarazzante.
Vorrei aggiungere una riflessione sullo strapotere dell’economia, cui lei giustamente fa cenno. L’economia mi sembra (insieme al sesso ed al potere, ma di questi, qui, non è il caso di parlare) uno di quei mezzi che una bizzarra evoluzione della nostra società ha trasformato in fini. Tutto, in Italia ma non solo in Italia, sembra soggiacere a questo rovesciamento di prospettiva, tanto che se qualcosa “costa troppo”, si tratti di scuola pubblica, di teatro lirico o di prosa, e perfino di assistenza ai meno fortunati, va tagliato, ridotto, limitato. Dimenticando che l’economia dovrebbe essere al servizio della società, e non viceversa.
Prima o poi, qualcuno noterà che i vecchi costano e non producono, e quindi vanno eliminati; ehi, ma anche i bambini sono un costo! Smettiamo dunque di farli (mi pare che già stia succedendo…) Le pensioni alle vedove? Ma non hanno mai lavorato! tagliare! (e lo si sta proponendo).
Finirà che ci si accorgerà che ognuno di noi, tirate le somme, costa molto più di quanto non produca, e si proporrà di eliminarci tutti: allora sì, che i conti quadreranno!
Gentilissimi lettori di Cronache Maceratesi………….In tema di riordino degli Enti Locali la nostra posizione e’ la linea del Centrodestra Maceratese e per i piccoli comuni diciamo che sono migliori le unioni che la loro soppressione. Questo sì, riduce drasticamente i costi della Politica e rafforza l’efficenza e l’economicità dei servizi.
Ci sono altre riforme da fare..e la nostra Regione e’ assurdamente in ritardo (nella soppressione delle Comunità Montane o loro riorganizzazione in nuove forme di associazione tra Enti Locali) e in questo articolo ne indichiamo altre. Alcune gia’ inviate al partito Nazionale ed altre proposte con le iniziative Legislative in Regione (in quanto ne ha la competenza)…ma qui la maggioranza di Centrosinistra e’ latitante. Ci sembra inoltre una vera e propria baraonda la posizione delle opposizioni Nazionale……….PD, UDC, Di Pietristi, SEL, ecc …dove sono le vostre proposte coordinate??
Certamente questi sono giorni caldi in Italia, in tutti i sensi: per le gravi problematiche da affrontare nel Paese legate ai nodi dell’Economia, alla necessità di ridurre la spesa pubblica e alle necessarie riforme e manovre correttive da mettere subito in campo e per le fose condizioni meteorologiche di questi giorni che non aiutano probabilmente a rendere chiari tutti i percorsi.
In un Paese dove tutti parlano e succede sempre poco, dove la logica del rinvio prevale e il concetto di “partecipazione democratica” alle scelte sembrano essere parole vuote, due novita’ ci autorizzano ad osare proposte, anche a chi come noi operano sul territorio, ed sono normalmente inascoltati.
Per questo noi presidenti dei gruppi consiliari di opposizione in Consiglio Provinciale del PPE – Modello Macerata e del gruppo PDL- PPE approfittiamo del dibattito in corso, anche perche’ stimolati dall’apertura del governo al confronto sulle misure economico-strutturali piu’ giuste da mettere in campo, e coincidente, per la prima volta, con la disponibilità dell’opposizione a voler collaborare in un momento in cui si gioca il destino del nostro Paese.
Sottolineamo che il fatto piu’ importante accaduto in questi giorni e’ stato senza dubbio l’accensione della miccia della responsabilità fatta dal Presidente della Repubblica Napolitano che intervenendo simbolicamente ma significativamente al Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini ha richiamato in sostanza tutti ad abbandonare interessi di parte per fare le riforme che servono e poter garantire un futuro di crescita, di buona occupazione per i nostri giovani e di rilancio di una politica economica in senso europeista che responsabilizzi sempre piu’ le parti (giusta l’introduzione in Costituzione dell’obbligo del pareggio di bilancio) e non consenta piu’ a nessuna forza politica di fare speculazione politica puntando sull’aumento del debito.
I temi in campo sono molti ma noi ci vorremmo soffermare soprattutto sull’aspetto della prevista riorganizzazione ( la proposta di legge parla di soppressione) dei piccoli Comuni, ed inoltre delle Provincie e in modo poco comprensibile di riorganizzazione degli Enti intermedi tra Regione ed Enti locali.
La nostra esperienza ci porta a dire che, come individuava anche la L. 142/90, e’ troppo semplicistico e deleterio parlare di cancellazione dei 17 Comuni in Provincia di Macerata e similarmente per in resto d’Italia. Questi sono i nostri Comuni in procinto di sparire: (Muccia 930 abitanti; Gualdo 906; Pievebovigliana 877; Ripe San Ginesio 872; Monte San Martino 783; Gagliole 647; Camporotondo di Fiastrone 598; Fiastra 577; Cessapalombo 533; Sefro 446; Ussita436; Castelsantangelo sul Nera318; Poggio San Vicino314; Fiordimonte214; Bolognola164; Monte Cavallo155; Acquacanina).
Non si puo’ contrabbandare tutto questo come taglio virtuoso ai costi della politica ed alla casta. Gli amministratori di questi Comuni, con distinti ruoli di consiglieri comunali che percepiscono 17 euro lorde a seduta per 2-4 consigli all’anno e di assessori (normalmente 2) che nei comuni sotto i mille abitanti percepiscono un’indennità di 130 euro lorde al mese non incidono minimamente sui costi della cosiddetta politica.
Come apparso su tante note stampa in questo mese ci si e’ resi conto che in altri Stati Europei il numero dei Comuni sia ancora piu’ consistente che in Italia (circa 8.092); In Austria sono circa 2.300; in Germania 12.100; in Francia 36.680; in Svizzera 2.596; e in Spagna piu’ di 8.100.
I Comuni italiani inoltre sono l’unica parte della pubblica amministrazione che in questi anni ha contribuito a ridurre il debito pubblico. E’ assolutamente vero inoltre che i consiglieri, gli assessori e i sindaci dei piccoli comuni, con quelle indennità, senza rimborsi spese, sono in realtà dei volontari della partecipazione democratica e dell’impegno civile e sociale di questo Paese. Il loro ufficio spesso è la piazza, se si ammala l’autista degli scuolabus si mettono loro alla guida degli automezzi, fanno le guide turistiche e sono loro che risolvono molti dei problemi che non hanno soluzioni codificate con le migliaia di Leggi dello Stato.
Quelle della manovra sono misure che non producono risparmi e tra l’altro ledono il completamento dei positivi processi di gestione associata dei servizi gia’ avviata.
Inoltre il solo accorpamento dei piccolissimi Comuni non risolve la necessità che abbiamo di coinvolgere per discreti livelli di organizzazione dei servizi anche dei comuni medi e medio piccoli (va infatti sottolineato che sono piccoli anche i comuni sotto ai 10.000 abitanti e i numeri ci dicono che in questa provincia sono ben 40 i comuni con meno di 5000 abitanti) che hanno bisogno di associare i servizi per renderli economicamente sostenibili).
E’ interesse di noi tutti farle vivere dignitosamente queste, non solo per gli amministratori di questi piccoli comuni ma perche’ dalla loro sopravvivenza dipende la vita delle piccole comunità e dell’intero nostro Paese.
‘E’ evidente –che il tema non sta nel numero in sé, ma in come e’ organizzato e funziona l’intero sistema istituzionale, centrale e locale di un Paese. Ed e’ esattamente di questo che dovremmo discutere a livello regionale. Le Marche sono fortemente in ritardo nel superamento o consolidamento dei modelli gestionali alternativi alle Comunità Montane. Anzi , il continuo rinvio della riorganizzazione e della definizione di modelli ottimale di gestione dei servizi oggi danno ragione ad un’opinione pubblica deviata da tanti oratori e politicanti disinformati. Tutti siamo pronti a ragionare di norme che portino ad un serio processo di riordino istituzionale-territoriale del nostro Paese, evitando duplicazioni e sovrapposizioni nell’esercizio delle funzioni, semplificando la rete delle istituzioni locali, garantendo alle comunita’ locali l’adeguatezza dei teritori Comunali associati nel gestire le funzioni fondamentali, attraverso l’obbligatorietà delle
Unioni di Comuni ed anche processi volontari ed incentivati di fusione, laddove cio’ sia piu’ utile e valido per quei territori.
Questo Paese ha bisogno di fare risparmi ed efficienza ma ha anche la necessita’ di presidiare e governare territori spesso vasti e complessi, quanto scarsamente abitati e serviti, come avviene nei i territori di montagna, nei quali il processo di riforma e di semplificazione deve ulteriormente procedere al fine di giungere ad un modello piu’ moderno e forte di governance nel quale al Comune associato spettano tutte le attribuzioni connesse alla migliore amministrazione del territorio.
Molte altre considerazioni invece debbono esser fatte in ottica di riforma e possiamo solo accennarne alcune:
• il superamento e la trasformazione della figura dei segretari comunali;
• la dismissione del patrimonio ERAP (Edilizia Residenziale Pubblica) che ha perso la propria funzione sociale con cessione agevolata agli attuali inquilini nelle forme le Regioni potranno prevedere;
• la cessione dei beni immobili disponibili di proprietà degli Enti (Comuni e Provincie) alla Cassa Depositi e Prestiti in cambio della riduzione della loro esposizione finanziaria, funzionale alla riduzione dell’indebitamento pubblico;
• riduzione dei costi della politica in ogni dove ( Revisione ruolo delle Camere Commercio, Abolizione AATTOO Idrico, Rifiuti, Gas, dismissione delle Società pubbliche e ridimensionamento degli emolumenti e numero componenti CDA) ;
• Riduzione del 50 % del n° dei Parlamentari (eletti pero’ direttamente dal popolo);
• Riduzione del n° dei Consiglieri e dei componenti delle Giunte Comunali, Provinciali (sino a che esisteranno) e Regionali e contestuale riduzione (almeno – 40%) delle indennità compresi parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali.
• No riduzione spese sanita’ ma riorganizzazione ed esclusione della gestione politica della stessa ( i dirigenti amministrativi e medici – primari – non potranno essere nominati dai partiti attraverso i Presidenti e gli Assessori delle Regioni come oggi);
• No riduzione spesa sociale ma riforma ISEE e controlli sulle dichiarazioni mendaci,
• si al Ticket con esenzione per i redditi minori di tre pensioni minime con una franchigia per un congruo numero di esami, a scopo prevenzione, esente per tutti o per malattie croniche;
• No ai tagli ai costi dell’istruzione ma accentuazione del merito e qualità di tutti i sistemi di istruzione ma prioritariamente dei sistemi Universitari (riorganizzazione Università, organizzazione manageriale della gestione economica, riqualificazione della formazione e della ricerca, ecc.);
I nostri suggerimenti sono stati inoltrati, attraverso gli organi di Partito (Coordinatori Lattanzi e Pistarelli del PDL Provinciale), ai responsabili nazionali e crediamo che possano contribuire a migliorare e rendere piu’ reale questa parte della manovra.
Franco Capponi (ex Sindaco di Treia ed ex Presidente della Provincia)
Capogruppo PPE – Modello Macerata e portavoce del Centrodestra in Provincia
Nazareno Agostini (ex Sindaco di Montelupone ed ex Assessore Provinciale)
Capogruppo gruppo PDL – PPE
Io sono d’ accordo con l ‘ eliminazione dei comuni ma il provvedimento doveva riguardare i comuni con almeno meno di 5000 abitanti. Cosi come dovrebbero essere abolite tutte le provincie e sostituite da uffici regionali questo si che comporterebbe un gran risparmio nella spesa pubblica ! Capisco che questo non faccia comodo ne’ alla destra ne’ alla sinistra visto i tanti presidenti e assessori impiegati dai vari schieramenti , stesso discorso vale per la riduzione del numero dei parlamentari ! Ma questo avrebbe fatto si che la manovra economica non pesasse in modo cosi evidente sui ceti medio bassi che sono i soliti piu’ tartassati da sempre !!!!
La riduzione del numero delle provincie, e aggiungo delle provincie stesse, è auspicabile se non altro perché istituzionalmente rappresentano solo se stesse e possono tranquillamente essere soppiantante da Regione e Comuni. La voce grossa la fanno i piccoli comuni. Economicamente parlando la loro riduzione ha un senso, ma e ci sono dei ma! La storia fa sentire il suo peso in un Italia che tutto sommato non ha mai superato l’epoca dei comuni stato. I comuni in Italia, una nazione che per il 150° anniversario della sua unità si sforza ancora a rappresentarsi unita, sono una realtà storica e sociale che pongono in evidenza delle differenze mai superate. Ed è su questo aspetto che vorrei porre l’attenzione, perché l’Italia è stata unita da un cosiddetto risorgimento di elite che non ha mai rappresentato la volontà ed il sentire popolare ed i comuni, il sentirsi cioè appartenere ad un territorio diverso dagli altri per storia e costumi, hanno da sempre rappresentato una discontinuità in seno alla nazione stessa ponendosi in alternativa rispetto alla retorica dell’unità nazionale e facendo valere sovente con orgoglio e anche con fanatismo le peculiarità dei propri territori. Ecco perché ritengo che l’accorpamento dei piccoli comuni non possa trovare giustificazioni economiche e potrebbe avere delle conseguenze non certo piacevoli.
ci costa cara questa “unità”
Perchè cominciare a tagliare proprio dai Comuni?
Cominciamo da dove conviene di piu’ per le casse dello stato:
http://www.businesspeople.it/Business/Economia/Stipendi-d-oro-a-Palazzo-Chigi-spesa-di-131-milioni-l-anno-_19933
Complimenti dr.Liuti
Prima di fare una cosa giusta bisogna farne un’altra che e’ ancora più giusta e per farla occorre la riforma costituzionale non una leggina. Oggi si festeggia il 50^ dell’immobilismo!
In un momento in cui non si può più attendere, le decisioni finalmente vengono prese, sono dure, sono impopolari, forse inique, ma vengono prese.
Un governo che si e’ retto per il rotto della cuffia di Scilipoti, dopo la spettacolare implosione dei finiani, dimostra che se si voleva, le decisioni salvapaese si potevano prendere al tempo debito, anni addietro, quando le riforme ci avrebbero consentito di rimanere al passo di Francia e Germania. Destra, centro e sinistra hanno fallito l’appuntamento e con loro i sindacati che oggi non trovano di meglio da fare che dividersi su tutto.
La legge nuova non necessariamente e’ migliore della vecchia ed il politico giovane non e’ detto che sia meglio del navigato, ma se continuiamo ad approvare le leggi salvarisparmiatori dopo i crack delle quotate e avvicendare i marpioni della politica solo dopo che ne e’ stata sigillata la cassa, ci aspetta un altro cinquantennio di immobilismo.
Per mio conto le amministrazioni delle Province e dei piccoli comuni possono essere abolite o accorpate anche con una leggina perché e’ quello che gli italiani chiedono da tempo…ci siamo fatti una gran risata quando la candidata sindaco ha battuto suo marito per cinquantaquattro voti ed ora…! Delocalizzare l’amministrazione municipale di un borgo non significa cancellare la sua storia secolare.
Ora e’ il momento di salvare il Paese anche con il contributo di solidarietà dei poveri calciatori; fatto questo occorre rinnovare la classe politica e gli strumenti legislativi. Non ci servono più 20 partiti che dicono le stesse cose e 30 quotidiani, di cui 28 politicamente orientati, che sopravvivono grazie al contributo statale…per rifare l’Italia servono persone che ragionano in modo semplice, onesto e razionale e che magari si confrontano su un quotidiano on line che costa poco ma si fa sentire, eccome.
ne sei certo?io no ;pensa a quanto ci costano i Ministeri e altro…..
@ Capponi
OK salviamoi piccoli Comuni, allorà però aboliamo SUBITO le Province, tutte.
Poichè negli esempi che lei cità degli altri Stati Europei tutti questi Stati hanno 3 scalini: Comuni-Province-Stato oppure Comuni-Regioni-Stato.
Solo noi di scalini ne abbiamo 4 Comuni-Province-Regione-Stato.
Non a caso in Italia per far sopravviere le Province (dopo la nascita delle Regioni) si sono trasferiti incarichi e comptetenze a questo Ente che non aveva ragione di esistere….
Abolizione di comuni e province.
è l’argomento del giorno, propinato con sapiente tempismo nel momento di crisi economica.
Qualcuno si è accorto che forse alla fine il bilancio non raggiungerà nemmeno lontanamente gli obiettivi che, con le analisi affrettate e banali, la politica ha cercato di evidenziare.
Cosa c’entri il dimagrimento della casta con la soppressione degli enti è qualcosa che ancora non ci viene spiegato.
Come dire: vogliamo eliminare il fenomeno delle corna? Si? Bene, allora sopprimiamo il matrimonio.
Una cosa è fissare un semplice principio: l’attività politica non deve essere remunerata come fosse un lavoro.
Altra è quella di eliminare sprechi e duplicazioni nell’assetto strutturale e funzionale dello Stato.
Ed in questo caso è quanto mai opportuno informarsi bene, prima di propagandare ricette che non curano, anzi aggravano la malattia.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/28/l%E2%80%99altra-casta-quella-che-spendesette-miliardi-di-euro-l%E2%80%99anno/153919/
Se è vero quanto riportato nell’articolo, sarebbe il caso di interrogarci sulla opportunità di riportare nell’ambito degli enti territoriali una pletora di funzioni e compiti distribuiti selvaggiamente tra enti e agenzie varie, di cui pochi conoscono in realtà spese e, soprattutto, ragioni di necessità.
In fondo, l’ente territoriale mantiene un funzionamento basato sulla rappresentanza politica e quindi (in via di principio) dovrebb garantire il controllo sullo svolgimento di queste funzioni e sul modo in cui si spendono fondi pubblici.
Questo, secondo me, il primo passo concreto per risolvere la confusione e gli sprechi nell’organizzazione dello stato e delle autonomie locali.
Dopo, a ragion più avveduta, si potrà pure intervenire sui comuni e sulle province.
IL GRILLO E L’ELEFANTE
Le mejo teste dell’Itala nazione
se stanno a scervellà se ‘l comunello
ce possa ancor avè quarche raggione
pé mantené ‘l vessillo sur castello.
Se guardi appena appena un pò più avante
t’accorgi che il dilemma è assai mal posto.
E’ come confrontar un elefante
col grillo canterino, ad ogni costo.
Il primo c’ha da stà perch’ adè grosso
e pòle strascinare senza fretta
tutti li pesi che gli metti addosso.
Ma quant’è bello il grillo tra l’erbetta
quanno che fà crì crì con tenerezza!
Te ‘rporta in mente ogni passato amore,
te mette in core un brivido d’ebbrezza,
te fa strinà tra angoscia e buon umore.
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L’INCHIESTA – LA SPESA PUBBLICA
Quei super dirigenti statali pagati con un doppio stipendio
Lo scandalo dei «fuori ruolo». Solo i magistrati sono trecento
Il governatore Formigoni dice che i cittadini chiedono un segnale: vendere le Poste, la Rai, il patrimonio immobiliare. L’esperienza ha purtroppo insegnato che finora vendere significa svendere, o meglio, profitti privati e perdite pubbliche. Il ministro è sempre lo stesso, quello della cartolarizzazione più grande del mondo, ovvero la vendita degli immobili degli enti previdenziali, attraverso società di diritto lussemburghese, Scip 1, 2 e 3. Un fallimento pagato da noi e che qualcuno ha definito «romanzo criminale». Forse il cittadino avrebbe maggiore fiducia se a vendere fosse una nuova generazione politica. Certo è che il primo segnale che il cittadino, quello che deve continuare a tirarsi il collo, oggi chiede, è di farla finita almeno con privilegi che gridano vendetta e che si continua ad escludere dalla cura dimagrante.
Era l’inizio di dicembre 2010, era appena stata varata una manovra di correzione dei conti pubblici con i soliti tagli lineari, quando invitammo, senza essere degnati di cortese risposta, la presidenza del Consiglio e il ministro Tremonti a provvedere all’eliminazione di una norma che non ci risulta applicata in nessun altro paese civile: l’incasso di uno stipendio per un mestiere che non fai ( http://www.report.rai.it ). Quando un dipendente pubblico viene chiamato a svolgere un incarico presso un ministero, una commissione parlamentare, un’authority o un organismo internazionale, va in «fuori ruolo». Trattandosi di incarico temporaneo, conserva ovviamente il posto, l’anomalia è che conserva anche lo stipendio, a cui si aggiunge l’indennità per il nuovo incarico. In sostanza due stipendi per un periodo di tempo spesso illimitato. Nel 1994 il Csm lanciava l’allarme, segnalando «il numero crescente dei magistrati collocati fuori ruolo, la durata inaccettabile di alcune situazioni, alcune superano il ventennio, quando non il trentennio… la reiterazione degli incarichi… con la creazione di vere e proprie carriere parallele».
Domanda: è ammissibile che un soggetto che non lavora per un’amministrazione, ma lavora per un’altra, venga pagato anche dall’amministrazione per la quale non lavora? Sono bravi dirigenti dello Stato, sicuramente i migliori, visto che sono sempre gli stessi a passare cronicamente da un fuori ruolo ad un altro, lasciando sguarnito il posto d’origine perché non possono essere sostituiti, e i loro colleghi che restano in servizio si devono far carico anche del loro lavoro. E poi c’è il danno, il magistrato fuori ruolo percepisce anche l’indennità di malattia, mentre quelli in servizio la perdono. Per arrivare alla beffa, e cioè possono essere promossi, ovvero avanzare di carriera mentre sono fuori ruolo. Ad esempio Antonio Catricalà è fuori ruolo dal Consiglio di Stato da sempre, è stato capo gabinetto di vari ministri di schieramenti opposti, poi all’Agcom, fino al 2005 segretario della presidenza del Consiglio con Berlusconi, quindi nominato presidente dell’Antitrust. Non ricopre la carica in Consiglio di Stato, ma ciononostante nel 2006 da consigliere diventa presidente di sezione, e senza ricoprire quel ruolo incassa uno stipendio di 9.000 euro netti al mese che si aggiungono ai 528.492,67 annui dell’Antitrust.
A fare carriera senza ricoprire la carica è anche Salvatore Sechi, distaccato alla presidenza del Consiglio con un’indennità di 232.413,18, e Franco Frattini, nominato presidente di sezione del Consiglio di Stato il 7 ottobre del 2009 mentre è ministro della Repubblica (che però risulta in aspettativa per mandato parlamentare). Consigliere di Stato è anche Donato Marra: percepisce 189.926,38, più un’indennità di funzione di 352.513,23 perché è alla presidenza della Repubblica. Il dottor Paolo Maria Napolitano oltre allo stipendio di consigliere di Stato in fuori ruolo, prende 440.410,49 come giudice della Corte costituzionale. Anche Lamberto Cardia, magistrato della Corte dei conti fuori ruolo, è stato 13 anni alla Consob, ma il 16 ottobre del 2002 è stato nominato presidente di sezione, «durante il periodo in cui è stato collocato fuori ruolo», specifica l’ufficio stampa della Corte dei conti, «ha percepito il trattamento economico di magistrato, avendo l’emolumento di 430.000 euro corrisposto dalla Consob, natura di indennità».
Tra Consiglio di Stato, Tar, Corte dei conti, Avvocatura dello Stato e magistratura ordinaria, sono fuori ruolo circa 300 magistrati che mantengono il loro trattamento economico percependo un’indennità di funzione che a volte supera lo stipendio. Il commissario dell’Agcom Nicola D’Angelo ha sentito la necessità di rinunciare all’assegno e mettersi in aspettativa. Dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni riceve un’indennità di 440.410,49 annui, dall’agosto del 2010, dopo la manovra che tagliava gli insegnanti di sostegno nelle scuole per i disabili e gli stipendi dei dirigenti pubblici del 10%, ha rinunciato ai 7.000 euro al mese che prendeva da consigliere del Tar fuori ruolo. Una scelta personale, visto che non ci ha pensato Tremonti. D’Angelo dice di essere l’unico a porsi un problema etico, in effetti gli altri, ad esempio Alessandro Botto, consigliere di Stato fuori ruolo e componente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con doppio stipendio, ha dichiarato di non sapere che si potesse rinunciare al doppio assegno. La giustificazione è che lo stipendio da magistrato serve ad integrare quello per la carica da dirigente perché non abbastanza remunerata.
È proprio vero che all’ingordigia non c’è fine: il presidente della Consob spagnola prende 162.000 euro l’anno, quello delle telecomunicazioni 146.000, non un euro in più, e nessun magistrato prestato ad altre funzioni mantiene il posto e tantomeno lo stipendio. Le nostre associazioni dei magistrati hanno chiesto più volte di limitare l’uso dei magistrati fuori ruolo ai casi strettamente necessari, perché si può creare una pericolosa commistione tra ordine giudiziario e potere politico, oltre a quello di sottrarre centinaia di magistrati al lavoro di giudici per svolgere il quale sono stati selezionati e vengono pagati. Ma sicuramente alla politica che sceglie, dai capi gabinetto ai membri delle Authority, fa sempre comodo «valorizzare» i magistrati, sia penali che amministrativi, perché in atti dove si deve forzare un po’ la mano, possono dare utili consigli. Allora, visto che in questi giorni ai cittadini verranno imposte lacrime e sangue, cominciamo ad eliminare elargizioni e benefici il cui accumulo rende impossibile perfino la quantificazione. Non sono questi i numeri che porteranno al pareggio di bilancio, ma certamente hanno contribuito a far sballare i conti e alla formazione di una cultura arraffona e irresponsabile. Una classe politica che non sa essere «giusta» incattivisce i suoi cittadini, e alla fine verrà condannata dalla storia.
Milena Gabanelli e Bernardo Iovene