L’Italia unita
è quella dei Comuni

Grandi o piccoli che siano, in essi c’è il fondamento della democrazia diffusa
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cartina_comunidi Giancarlo Liuti

Ancora non sappiamo come precisamente sarà questa benedetta manovra che l’Europa ci impone e che in un confuso saliscendi  di emendamenti e controemendamenti pressoché quotidiani si sta faticosissimamente avviando ad assumere forza di legge. Ma una cosa sappiamo. Ed è che nel testo iniziale essa conteneva l’idea di “cancellare” o “sopprimere” i 1.970 comuni con meno di mille abitanti, 17 dei quali si trovano nella provincia di Macerata, alcuni – Acquacanina, Bolognola, Castelsantangelo sul Nera, Fiordimonte, Montecavallo, Poggio San Vicino e Sefro – non arrivano neanche a cinquecento anime. Vero è che adesso cominciano a venir fuori parole meno devastanti: “accorpamento”, “fusione”, “consorzi di servizi”. Ma, sotto sotto, quell’idea sopravvive. E resiste per ragioni esclusivamente finanziarie. Se occorre tagliare la spesa pubblica, si dice, aboliamo queste costose, inutili e parassitarie realtà amministrative e l’Italia tirerà un sospiro di sollievo. In generale, del resto, l’opinione pubblica nazionale non è affatto contraria a un così draconiano colpo di forbici, tant’è vero che anche da noi capita di udire giudizi perentori come i seguenti: la presenza di tali comuni è una “follia che trova giustificazione solo in una clientelare prosopopea retorica” e la resistenza opposta dai loro sindaci è una “sfilata assai poco dignitosa in difesa di interessi particolari e di localismi fastidiosi e arretrati” per “preservare una immensa quota di funzionari e poltrone da assegnare, distribuire e regalare”. Opinioni rispettabili, ovviamente. Ma  allora ci sarebbe da chiedersi il perché della demoniaca pervicacia grazie alla quale i nostri comunelli hanno resistito per secoli senza che nessuno si accorgesse delle truffaldine manovre che li tenevano in vita.

  Stavolta, però, c’è di mezzo l’economia. E l’economia non ammette obiezioni. Ah, l’economia, l’economia! Non c’è niente, oggigiorno, che conti non dico di più, ma almeno alla pari. Non la storia, la fede, la cultura, la bellezza, l’anima, il sangue. Basta una sola parola di Moody’s o di Standard  & Poors e cadono stati, nazioni, interi continenti. Ah, il mercato, il mercato! E amen.. Anche se, a giudicare da certi calcoli, la soppressione dei piccoli comuni garantirebbe un risparmio annuale pari a quello che si otterrebbe riducendo di appena ventisette unità il numero dei deputati o sopprimendo le mense, ora quasi gratuite, di deputati e senatori. Calcoli in mala fede, fatti dai protagonisti di quella “sfilata in difesa di interessi particolari”? Può darsi.

Ma non è questo il punto. Pur rendendomi conto di recitare la parte magari risibile della “vox clamantis in deserto”, io mi ostino a non cedere al dominio assoluto dell’economia e continuo a sostenere la bandiera di quegli altri valori che, assieme all’economia, hanno consentito all’umanità di progredire, sia pure con tanti passi indietro e tante tragiche ricadute, nell’aspro cammino verso la realizzazione di un mondo via via un po’ migliore. Vogliamo dire la libertà, l’eguaglianza, la solidarietà, lo spirito comunitario, la memoria dei sacrifici dei padri, il senso della storia, delle cosiddette radici e di un futuro che sarebbe cieco se non fosse alimentato dalla coscienza del passato?.Diciamolo. Roba superata, obsoleta, da cassonetti della raccolta differenziata? Roba che deve soggiacere alla tirannide dell’economia? Forse, oggi. Ma tornerà a farsi sentire, perché ciò che è durato millenni non sarà certo Moody’s a cancellarlo togliendogli qualche “A” dalla pagella. Anche l’Italia, del resto, costa molto. E che facciamo? Aboliamo l’Italia?
L’altro giorno mi ha reso felice che da posizioni politiche diverse il consigliere provinciale Daniele Salvi del Pd e l’ex presidente della provincia Franco Capponi assieme al capogruppo provinciale Nazareno Agostini, entrambi del centrodestra, si sono schierati a difesa dei piccoli comuni, sostenendo il primo il dovere di mantenere “identità, cultura e rappresentanza di comunità secolari” e gli altri due definendo “semplicistica e deleteria” la cancellazione di tali realtà. Ecco un salto di qualità della nostra politica, uno dei pochi,  purtroppo, ma lo saluto con grande favore.

Il nome di Acquacanina – forse con riferimento a una sorgente paludosa – è citato in un documento dell’anno 977. E fu nel 1400 che il suo minuscolo popolo si riunì in assemblea per affrancarsi in libero comune dalle strutture feudali. Il nome di Bolognola non significherebbe “piccola Bologna”, per indicare il luogo dove nel 1300 avrebbero trovato rifugio le famiglie Pepoli, Malvezzi e Bentivoglio perseguitate dai guelfi emiliani, ma risale ad almeno un secolo prima e deriva dal latino “bononia” (terra di cose buone). Poi, nel quindicesimo secolo, libero comune divenne anche Bolognola, sia pure sotto l’influenza dei Da Varano. Ussita, il cui  nome deriva dal latino “exitus” (porta, valico, uscita), era la più importante delle cinque “guaite” vissane che nel Duecento si svincolarono dai feudatari. Poggio San Vicino, avamposto della colonia romana “Tufficanum”, stette a lungo sotto il dominio di Apiro, ma la sua gente si ribellò e sul finire del 1300 riuscì a conquistare una sua autonomia sotto l’influenza degli Smeducci, signori di San Severino. E Montecavallo, Fiordimonte, Castelsantangelo, Sefro? Storie analoghe, di lotte, rivolte, eroismi, riscatti, conquiste. E importanti testimonianze – castelli, torri, chiese, affreschi, sculture – che incantano per imponenza e bellezza. E il sentimento alto di un’appartenenza che significa dignità, fierezza, genuina volontà popolare.

  Abbiamo celebrato il centocinquantesimo dell’Unità d’Italia: tricolori ovunque, dalla Sicilia alle Alpi, una grande manifestazione di orgoglio patriottico. Ma questa fu – ed è – l’Italia dei Comuni. L’Italia che a partire da mille anni fa seppe compiere un passo decisivo – nella modernità? – per il superamento della cappa feudale. E tributare un omaggio così profondo e sentito all’Italia Unita significa anche tributarlo all’Italia dei Comuni. Ridurre i costi? Porre un freno alla spesa pubblica? D’accordo. Anche nelle strutture municipali? D’accordo, accorpando servizi, unificando uffici, realizzando risparmi di gestione, riducendo, dove si può, il già modestissimo personale. Ma guardiamoci dalla demagogia delle concessioni agli istinti peggiori dell’antipolitica. Qui la politica non c’entra affatto. Se andiamo a vedere, nell’aula consiliare della Provincia, gli stemmi antichi dei nostri 57 comuni, sono certo che qualcosa di più importante dell’economia si accenderà nell’animo nostro. Insomma, io mi auguro che i sindaci eletti dalla gente dei diciassette piccoli comuni maceratesi continuino ad esserci e a indossare la fascia tricolore tenendo alto il loro gonfalone.



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