Un consiglio ai politici:
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La domenica del villaggio

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di Giancarlo Liuti

M’incontro con uno dei tanti esponenti della politica maceratese che non tollerano i commenti dei lettori pubblicati da Cronache Maceratesi in calce agli articoli. Dice: “Oggi ne ho letto uno. C’è scritto, figuriamoci, che io penso solo alle poltrone. E chi è questo calunniatore che si nasconde dietro uno pseudonimo? E come si permette? Un mio collega, tempo fa, è stato accusato di avere interessi in faccende societarie e professionali. Veri, intendiamoci, ma onesti, puliti. Eppure, sotto sotto, quante pesanti allusioni! E già immagino cosa accadrà da adesso fino alle elezioni provinciali. Fango, gogna mediatica! Dov’è finito, vivaddio, il rispetto per le cariche istituzionali e per chi le rappresenta?”

E’ arrabbiatissimo, cerco di calmarlo: “Vede, signore, sono anni ormai che la carta stampata dedica intere pagine alle lettere dei lettori, molto spesso firmate con nomi di fantasia. E quasi ogni giorno compaiono i risultati di sondaggi d’opinione che esprimono anch’essi tendenze, orientamenti e giudizi di persone senza volto. E non si contano, nei telegiornali e nei talk show, le interviste a passanti presi a caso, senza chiedergli la carta d’identità. E grazie alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie dell’informazione, i quotidiani online danno sfogo in tempo reale ai pareri della gente su qualsiasi vicenda. E i social network – pensi a “Facebook”, coi suoi cinquecento milioni di aderenti in tutto il mondo – portano insistentemente alla luce quel grande fiume di idee, sentimenti ed emozioni che prima scorreva sotto terra alimentato dai mugugni e dalle chiacchiere da bar. Per non dire, infine della rivoluzione di “Wikileaks”, che sta mettendo in crisi il dogma plurisecolare del Segreto di Stato”.

Lui: “E con questo?”

Io: “Cronache Maceratesi è per l’appunto un giornale che si propone, anche nei commenti, di favorire un rapporto sempre più diretto, spontaneo e immediato fra chi è governato e chi governa”.

Lui: “Sarà, ma io non sono affatto d’accordo con questa smania di mettere tutto in piazza. Come nella vita in generale, anche nel dibattito politico ci vuole riflessione, decoro, senso della misura, buona creanza. Su, non prendiamoci in giro. In questo giornale mi è capitato di leggere commenti da brivido”.

Io: “Da brivido? Non esageri, signore. Asprezza nei toni? Eccessi polemici? Inesattezze? Può darsi, ma intanto va detto che non ci sono espressioni a rischio di codice penale, perché esse, se arrivano, vengono cestinate alla fonte. Una precauzione che invece manca, per esempio, nelle risse politiche di alcuni programmi televisivi, con urli, insulti e oltraggi, quelli sì da brivido, che non di rado finiscono in querele per diffamazione. Se questo è il linguaggio dei politici, perché lamentarsi del linguaggio, fra l’altro meno incivile, di coloro che politici non sono?”

Lui: “Ma in noi c’è la passione, c’è la foga di un’appartenenza, di un’ideologia, di una fede.. Dall’altra parte, invece, solo una valanga di sgangherati pettegolezzi da comari”.

Io: “Dall’altra parte, lei dice. E quale sarebbe?”

Lui: “Il volgo, la plebe. Intendiamoci, io non ce l’ho col popolo. Anzi, è stato proprio il popolo a farmi salire dove sono. E gliene sono grato. Ma, insomma, a ognuno il suo mestiere. Ci sarà pure una logica se nei cantieri si espone un cartello che dice ‘vietato l’ingresso ai non addetti ai lavori’. E allora, se la politica è un lavoro, forse il più difficile di tutti, non vedo perché dovrebbero entrarci anche i non addetti, il cui unico scopo è di far confusione e seminare sospetti”.

Io: “Ho capito. La politica, secondo lei, è roba dei politici, è il loro mestiere. E quale sarebbe, invece, il mestiere del cosiddetto uomo della strada, ossia della stragrande maggioranza dei cittadini? Solo andare a votare? O anche sapere ciò che fanno gli eletti, giudicarne le scelte e i comportamenti, schierarsi, discutere, prendere posizione? Cioè, in una parola, partecipare?”.

Lui: “Per questo ci sono i partiti, i congressi, le assemblee, le associazioni”.

Io: “C’erano, una volta. Ma adesso? Vattelappesca. Le cause? Tante, inutile discuterne qui. Sta di fatto che la forza coesiva di quelle sedi e di quelle occasioni è venuta meno. Provi a convocare una qualsiasi riunione, se ci vengono in venti è già un successo. Del resto è pure colpa vostra, che vi siete rinchiusi nelle vostre stanze e quel che combinate non lo fate sapere se non quando è fatto e, dopo, neanche vi prendete la briga di spiegarne le ragioni. Adesso, signore, questo mestiere o, meglio, questo diritto l’uomo della strada lo esercita in modo individuale, in prima persona, alzando, in pubblico, la sua voce al singolare. Fino a qualche tempo fa gli mancavano i mezzi, gli strumenti. Oggi ci sono, basta un computer. E Cronache Maceratesi li mette a disposizione”.

Lui: “Complimenti! Se tutti parlano a ruota libera, se tutti dicono quel che gli pare, se tutti mettono bocca, se tutti sputano sentenze perfino su argomenti che non conoscono, lo sa lei come si chiama questo bel sistema? L’ha detto chiaro e tondo il presidente del consiglio, si chiama casino!”

Io: “Ecco una brutta parola, lei che si lamenta delle brutte parole altrui. Sia serio, la cambi, la sostituisca con una parola migliore: democrazia. Non crede che quanto più si moltiplicano le occasioni di partecipazione popolare tanto più cresce e si afferma lo spirito della democrazia?”

Lui: “Se la democrazia sarebbe che tutti comandano e nessuno ubbidisce, sa qual è il risultato? Una totale anarchia”.

Io: “Posso capire che voi politici siate sorpresi dalla novità di questo più libero rapporto con la gente. Essendo un cambiamento di vecchie e condivise abitudini, è naturale che provochi nostalgie, arroccamenti nel passato, istinti di conservazione, reazioni animose. Ma la risposta giusta non è, mi creda, auspicare censure, minacciare vendette, mettere il chiavistello alle porte oltre le quali si affaccia il futuro”.

Lui: “Cosa dovremmo fare noi politici? Rassegnarci? Sottoporci di buon grado a questo sgangherato stillicidio di accuse?”

Io: “No, signore. Dovreste accettare le regole del gioco, raccogliere la sfida, diventare gente fra la gente”.

Lui: “Ma come?”

Io: “Semplice: commentare i commenti. Cronache Maceratesi non aspetta altro”.

Lui: “Lei mi chiede troppo. E, poi, farli commentare da chi?”

Io: “Da voi stessi, dai vostri sostenitori, dai vostri simpatizzanti. Avrete pure le vostre ragioni, no?”

Lui: “Se è per questo, ne abbiamo a bizzeffe”.

Io: “Lo vede?”

Lui: “Accidenti, me lo dovevo immaginare. Discutere con lei è come fare a cappellate coi passeri. E va bene, dai e dai mi ha quasi convinto. D’accordo, ci penseremo”.



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