di Gabor Bonifazi
Enrico Barboni è nato sicuramente con una grande passione: il mare. Infatti “Righetto”, così lo chiamano gli amici pescatori per via della modesta statura, all’età di appena sette anni aveva costruito la sua prima rete, un “caposfoglio”, tra l’incredulità dei familiari. A quattordici anni, il primo imbarco che l’ha portato a trascorrere una vita in mare, un po’ lungo l’Adriatico, un po’ lungo il Tirreno, da Ancona a Civitavecchia, da Porto Recanati alle coste della Sardegna a quelle più pescose dell’ex Jugoslavia. Storie di anfore, di orche, di pescecani e di balene. “Righetto” si autodefinisce il più grande esperto di reti: “Nel 1962 fui tra i primi ad abbandonare le vecchie reti di canapa per le più moderne di nylon”. All’inizio fu difficile adottare il nuovo materiale anche perché le reti di nylon andavano più lunghe, ma poi con una lima più in là e un galleggiante più in su le reti cominciarono a riempirsi. Ma oltre al pesce anche di mine. “Ne avrò pescate una mezza dozzina – ci disse Barboni -. Una volta ne trovai una tra un dentice di 12 chili e uno storione di 25. La mina più grossa “Righetto” l’ha pescata nel 1960. “Era lunga due metri. La riconobbi subito. Era una mina magnetica tedesca. Quando la portammo a terra e l’artificiere la fece brillare si levo una colonna d’acqua di oltre cinquecento metri e quasi tutti i vetri andarono in frantumi”. Comunque Enrico Barboni detto anche “Svampa”, si considera un “portolotto” d’adozione: lui è nato infatti a Civitanova. Anche se pensionato, alla bella età di settantasei anni, ripara le reti e non è eluso che dopo il cosiddetto “riposo biologico” s’imbarchi clandestinamente sul “Nevia” pur di aiutare i figli nella pesca miracolosa di triglie e palamite. E mentre c’è chi definisce il lavoro del pescatore usurante per “Righetto” la vita più bella è quella di solcare il mare per poi raccontare ai nipoti storie fantastiche di ancore e naufragi, tempeste e cieli stellati.
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