Il tribunale di Macerata
«Aveva già avuto rapporti, dunque era in condizione di immaginarsi i possibili sviluppi della situazione». È la motivazione con cui i giudici del Tribunale di Macerata hanno assolto (la sentenza è del novembre 2022) un uomo di 31 anni accusato di violenza sessuale su una ragazza di origine straniera. Una sentenza che fa discutere e che rischia di finire in Parlamento.
Irene Manzi, deputata maceratese del Pd
Nel giorno in cui è prevista un’udienza ad Ancona per il giudizio d’appello sulla vicenda, a intervenire è infatti la deputata maceratese del Pd, Irene Manzi: «La recente sentenza del Tribunale di Macerata, che ha assolto un giovane imputato di violenza sessuale, desta preoccupazione e merita una riflessione pubblica, giuridica e culturale – dice -. È dovere delle istituzioni interrogarsi con serietà sul modo in cui il nostro ordinamento interpreta e protegge il consenso nei rapporti sessuali. Di fronte a vicende che coinvolgono ragazze giovanissime la risposta delle istituzioni deve essere chiara: nessuna disponibilità presunta, nessun contesto, nessuna ambiguità può sostituire il consenso esplicito. Come legislatori – aggiunge -, dobbiamo assumerci la responsabilità di colmare un vuoto normativo che troppo spesso lascia spazio a interpretazioni che rischiano di mettere in discussione il diritto fondamentale delle donne, e di ogni persona, a decidere liberamente del proprio corpo.
Accolgo quindi con favore il dibattito in corso sulla necessità di una legge che introduca esplicitamente il concetto di consenso nel nostro Codice penale. Una norma chiara non è solo un adeguamento agli standard europei e internazionali, come richiesto dalla Convenzione di Istanbul, ma un passo necessario per garantire tutela, dignità e giustizia. Mi auguro che, su questo tema, non ci siano divisioni politiche: la battaglia per i diritti e l’autodeterminazione delle donne deve essere trasversale».
In merito alla vicenda giudiziaria, l’uomo al momento dei fatti aveva 25 anni e la ragazza era 17enne. Quella sera i due erano usciti in auto insieme ad un’altra coppia, rimanendo poi da soli: in quei momenti si sarebbe consumato lo stupro. Secondo la ragazza, l’uomo l’avrebbe bloccata e avrebbe abusato di lei. La difesa ha però sostenuto che si fosse trattato di un rapporto consenziente. Scrivono i giudici: «la giovane non aveva opposto resistenza né chiesto aiuto». Versione diversa da quella della ragazza che aveva ribadito di non aver voluto il rapporto con l’imputato e che «aveva provato a respingerlo con un pugno ma non si poteva muovere».
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Ritengo che il Partito Democratico dovrebbe concentrare la propria attenzione sui problemi realmente rilevanti del Paese, invece di soffermarsi su questioni marginali o di scarsa importanza, che finiscono per banalizzare temi seri. Oggi molte persone faticano ad arrivare a fine mese, numerose partite IVA sono costrette a chiudere quotidianamente, eppure il dibattito politico sembra ruotare intorno a questioni di consenso in ambito sessuale, un argomento che, nei termini in cui viene proposto, appare francamente improponibile. È comprensibile, quindi, che una parte crescente dell’opinione pubblica percepisca un progressivo distacco e perda fiducia in una classe politica sempre più lontana dalle reali difficoltà del Paese.
Ode all’impossibilità della giustizia umana
Oh giustizia, fragile ombra d’equilibrio,
sospesa tra le pieghe del vero e l’abisso,
sei un sogno che si frantuma al primo soffio,
un cristallo che il peso della voce spezza.
Dove cerchi rifugio, quando le prove svaniscono?
Quando il dito alzato di lei, il grido soffocato,
si scontra col verbo di lui, altrettanto fermo,
e la bilancia trema, cieca, senza appiglio?
Nel tuo tempio, oh giustizia, le parole danzano,
parole di femmina, parole di maschio,
ciascuna un’eco che pretende ascolto,
ciascuna un taglio nella carne del dubbio.
Ma chi può pesarle, se il cuore dell’uomo
è un groviglio di ombre, un labirinto cieco?
La verità, quel raggio che cerchi,
si piega al racconto, si spegne nel silenzio.
Tu, che vorresti essere spada e scudo,
sei solo un filo teso sopra il baratro:
la prova, quel sigillo che sancisce il giusto,
sfuma come nebbia tra le dita dei giudici.
Senza il suo peso, senza il suo contorno netto,
la tua voce si perde in un coro di ipotesi,
e la vittima, sola, si guarda nello specchio
di un mondo che non sa darle un nome.
Oh, come è fragile il tuo altare, giustizia!
La parola di lei, un urlo strozzato,
si scontra con la parola di lui, un muro eretto,
e tu, impotente, cerchi un segno che non c’è.
Il passato di lei, un’arma che la ferisce,
il silenzio di lui, un’armatura che lo protegge.
E tu, che vorresti essere luce…