Un frangente di Stuck
di Marco Ribechi (foto di Fabio Falcioni)
Tutto perfetto eppure la magia non scocca. Stuck, lo spettacolo andato in scena ieri sera allo Sferisterio di Macerata purtroppo non riesce a regalare emozioni se non per qualche isolato frangente, pur avendo tutte le carte in regola per essere considerato un ottimo prodotto.
Una delle danzatrici di Stuck
Un risultato difficile da spiegare perché, se lo si scompone nelle sue varie parti, sono pochi i difetti che si possono imputare ai suoi realizzatori. Un evento multimediale e trasversale a vari settori che però, tutti insieme, non funzionano come dovrebbero. Sul colossale muro dello Sferisterio a fare da padrone sono dei sorprendenti video mapping che in continuazione trasformano l’ambiente proiettando lo spettatore in luoghi remoti nel tempo e nello spazio. Forme geometriche che richiamano le metropoli, reticolati di luce alla space invaders, elementi naturali davvero impressionanti e avvincenti.
I due musicisti
Le musiche intervengono ad aggiungere fascino alle ambientazioni con richiami ad elementi della natura: vento, pioggia, atmosfere da deserto alternate a ritmiche elettro rigorosamente suonate dal vivo da due musicisti molto dotati, Marco Castelli al sax e live electronics e Marco Vattovani alle percussioni. Insieme sono in grado di creare un sound elettronico che spazia tra i generi richiamando di volta in volta i ritmi ambientali, industriali fino all’elettro tango stile Gotan Project oppure ad una sorta di drum’n bass tribale. Veramente validi. L’effetto scenico è affidato poi a sette danzatori che, invece di calcare come di consueto il palco, si trovano appesi al muro dell’arena facendo evoluzioni aeree acrobatiche degne dei circensi ma con la grazia di ballerini. Sembra quindi essere tutto perfetto ma allora che cosa non ha funzionato?
Un momento dello spettacolo
Se nella psicologia della Gestalt si affermava che “il tutto è maggiore della somma delle parti” nel caso di Stuck è avvenuto, purtroppo, proprio il contrario, tante singole eccellenze che però insieme non danno il prodotto sperato. A partire dai danzatori che per oltre un’ora si impegnano profondamente in evoluzioni aeree che però, dalla platea, appaiono quasi invisibili. Un grande sforzo per un piccolo risultato. La danza appare scollegata dalle immagini e dalla musica e quindi viene da chiedersi quale sia il valore aggiunto che questi sette atleti, appesi al muro, infondono alla complessità dello spettacolo. Inoltre gli abiti, a volte troppo lunghi, ne coprono le movenze rendendoli di fatto dei semplici corpi appesi e oscillanti. La musica e le immagini invece, seppure di notevole qualità, giocano a chi sovrasta di più la scena con un suono veramente troppo potente ad accompagnare immagini a volte troppo astruse, incollocabili e stranianti.
Il muro si trasforma in una sorta di prato
Se da un lato questo straniamento può rappresentare uno dei risultati che si voleva ottenere, dall’altro viene da chiedersi perché tenere appesi nel mezzo della scena quei danzatori che con la scena interagiscono pochissimo. “Per mostrare l’isolamento dell’essere umano nei contesti spaziali in cui si trova a vivere, un essere umano bloccato (stuck) in un luogo dal quale viene sempre più escluso e di conseguenza recuperare il suo rapporto con l’ambiente naturale” si potrà forse rispondere. E’ possibile, questa risposta però può solo emergere da un discorso linguistico e non da una reale fruizione dello spettacolo che, a onor del vero, coinvolge poco e non offre un filone narrativo a cui lo spettatore possa far appiglio. Gli artisti in ogni caso, almeno per l’impegno dimostrato, strappano un caloroso applauso al termine della loro performance a un pubblico notevolmente ridotto rispetto all’usuale. Stuck resta uno spettacolo difficile, complesso, senza un suo preciso pubblico di riferimento. I complimenti sono per il coraggio e per l’impegno nell’esecuzione ma, da un punto di vista emozionale, qualcosa è forse da rivedere.
Il problema è il pubblico arido e poco generoso
Concordo... mi aspettavo di più...
Wow
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A volte la semplicità e messaggi non troppo ermetici sono la carta vincente per appassionare il pubblico.