di Federica Nardi
L’abbraccio di una città intera, centinaia di persone per l’ultimo saluto a Roberto Salvatori. Il luogo scelto non è casuale: lo stadio della Robur a Macerata, quella squadra a cui il 50enne, morto giovedì a causa di un infarto che lo ha strappato all’affetto dei suoi cari mentre si trovava a lavoro nella sede Bper in centro, aveva davvero dedicato anima e corpo da vicepresidente. Una mattina di sole che ha accompagnato l’enorme commozione dei partecipanti, stretti intorno al ricordo di «un uomo nato per essere padre».
Roberto Salvatori
Così lo ha ricordato don Flaviano D’Ercoli, ex direttore dei Salesiani a cui è stata affidata l’omelia e che conosceva benissimo Salvatori. «Lo abbiamo amato tutti. Chi ha conosciuto Roberto sa che sempre gli si è affiancato come fosse un fratello maggiore. Anche quando eravamo giovani aveva un ruolo paterno, anche nei confronti dei suoi coetanei. Come ha scritto la Robur nell’annunciare la morte di Roberto “era una roccia su cui tutti potevano aggrapparsi. Era un uomo affidabile, ti diceva sempre quello che pensava anche se faceva male”. Queste sono le caratteristiche di un padre».
L’omelia di don Flaviano D’Ercoli
«A 20 anni – continua don Flaviano – mentre noi andavamo all’università lui lavorava. Ricordo la notte in cui mi annunciò che si era fidanzato con Francesca (la moglie, ndr). Già lo sentivo parlare come un uomo che ama una donna. La sua famiglia l’ha preparato alla vita e la vita l’ha colpito. Ha perso una sorella ma ha visto i genitori affrontare questa situazione e ha imparato cosa vuol dire essere un padre di famiglia. L’ho rincontrato qualche anno fa pronto a essere padre oltre delle sue tre figlie anche di molti ragazzi. Conosceva per nome quasi tutto i ragazzi della Robur. Delle persone conosceva la storia. Sapeva di cosa eri preoccupato perché è cresciuto preoccupato. Sapeva di cosa eri contento perché si è goduto le gioie della vita. Ci hai preceduto mille volte, hai aperto strade che noi non avremmo aperto. Guarda quanti siamo oggi a salutarti. Tu Roberto con i tuoi occhi celesti portaci con te in cielo. Noi compiremo la strada che dobbiamo compiere perché il cuore smette di battere quando lo decide lui. Finché siamo su questa terra camminiamo cercando di vivere come hai vissuto tu. Ma tu assicuraci il cielo. Insegnaci a giocare a calcio per andare in paradiso, non per fare carriera. A essere padri per andare in paradiso».
Salvatori mercoledì aveva anche ricevuto un premio per aver donato il sangue 100 volte. Una persona generosa, un “gigante buono” che lascia un vuoto immenso in chi lo ha conosciuto come testimoniano anche i saluti che sono seguiti all’omelia. Ma accanto al dolore resta l’esempio. “Le parole insegnano, gli esempi trascinano. Buon viaggio Roby”, recita lo striscione posizionato accanto alla porta dal lato dove è stato celebrato il funerale. «Oggi Roberto, continua a prenderci per mano e continua a insegnarci qual è la partita vera, quella della vita – ha detto don Francesco Galante -. Vivere davvero significa guardare al cielo fino in fondo come lui ha sempre fatto, il cielo ce lo aveva stampato negli occhi».
Tra i presenti anche il sindaco Sandro Parcaroli e l’assessore Andrea Marchiori. Alla fine della messa sono stati fatti volare in cielo decine di palloncini colorati e ad accompagnare l’ultimo viaggio di Salvatori è stata una delle sue canzoni preferite: “La leva calcistica del ’68” di Francesco De Gregori.
R.i.p
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