Spazio pubblicitario elettorale

Lega senza classe dirigente,
Pd senza speranze con Ceriscioli

IL COMMENTO - Nelle Marche Lega travolgente alle Europee. Con Fdi è oltre al 43% e in teoria non dovrebbe esserci partita per le regionali. Ma il dato da analizzare in profondità è l’incapacità della destra di penetrare,nelle amministrazioni comunali. Un unico punto debole su cui potrebbe far leva l’intero centrosinistra. Due le condizioni per poter capovolgere i pronostici: lo sfratto esecutivo al presidente della Regione e l' operosa ricerca di idee, uomini e donne completamente nuovi

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Paolo Arrigoni e Luca Ceriscioli

di Fabrizio Cambriani

“Primavera non bussa, lei entra sicura” cantava Fabrizio De André, nel 1971. E a distanza di poco più di un anno appena, la penisola italica cambia colore. Passa dal giallo autunnale del Movimento 5 Stelle al verde primaverile della Lega.

Barnum-Fabrizio-CambrianiUna vittoria annunciata da tutti i sondaggi che capovolge i rapporti di forza nel governo nazionale. Ma che, molto probabilmente, metterà pure la parola fine al movimento politico di Beppe Grillo. A Luigi di Maio, che si intesta da solo tutta la disfatta, l’onere di posarvi sopra la pietra tombale. In un anno è riuscito a farsi fottere mezzo partito dal bulimico Salvini che lo ha cannibalizzato mese dopo mese. Una condotta indecifrabile che lascia sul campo pentastellato, cioè sui territori, morti e feriti. Nessun sindaco in nessuna città di rilievo e un risultato elettorale che dimezza i voti delle politiche. In quello che un tempo era un movimento – ma che Di Maio ha trasformato di fatto in partito politico – c’è subbuglio. Il nervosismo interno che già alla vigilia lasciava intendere aria di tempesta, sta diventando dovunque rivolta. E tutto lascia presagire defezioni e fughe.

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Giuliano Pazzaglini, Paolo Arrigoni e Tullio Patassini

Le Marche si allineano al dato nazionale. Anzi, se possibile, danno ancora più forza a Salvini. Con un 38% la Lega si attesta primo partito e tiene a distanza di ben 16 punti un Partito Democratico ridotto male in arnese. Quello che fino a poco tempo fa era l’indiscutibile caposaldo del centrosinistra, registra in una (ex) regione rossa un misero 22%. Troppo poco per affrontare la sfida elettorale delle regionali che partirà tra praticamente tra sei mesi appena. Ad oggi l’alleanza Lega- Fratelli d’Italia sta oltre il 43% e dà un intero giro di distanza al Pd. In teoria non dovrebbe esserci partita. I numeri stanno dalla parte della destra che sarebbe autosufficiente da sola. Cioè senza l’apporto di una Forza Italia, ormai ridotta a formato mignon che non arriva nemmeno al 6%.

Ma, come ha giustamente osservato Giovanni De Franceschi (leggi l’articolo), il dato interessante tutto da analizzare in profondità è l’incapacità della destra di penetrare, attraverso il consenso, nelle amministrazioni comunali. Se nel macrocosmo della politica nazionale viaggia a gonfie vele, altrettante difficoltà incontra nel piccolo mondo degli enti locali quali i Comuni. Ad Ascoli, per l’incapacità di trovare una sintesi vanno al ballottaggio due centrodestra distinti e distanti. Con tanto di paradosso che il candidato ufficiale di FdI, Fioravanti, poteva fregiarsi del simbolo di Forza Italia. Mentre al candidato Celani iscritto e consigliere regionale berlusconiano, il suo simbolo è stato precluso. Roba da manicomio.

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Carlo Ciccioli e Elena Leonardi di Fratelli d’Italia

Ma anche nella provincia di Macerata basta dare un’occhiata a Cingoli e Treia per rendersi conto che quelli della destra locale sanno solo rivelarsi causidici e pasticcioni. E davanti a due navigati marpioni – lo dico in senso buono – come Saltamartini e Capponi sono destinati a soccombere. Il punto determinante su cui riflettere è che questa destra manca decisamente di classe dirigente. Anzi, diciamola meglio: a questa improvvisata classe dirigente manca del tutto la capacità di fare politica. Cioè di interpretare al meglio le situazioni: ascoltare, confrontarsi, mediare e infine prendere delle decisioni il più possibile condivise. L’attitudine all’ascolto e al confronto è per loro materia sconosciuta. L’obbiettivo non è una sintesi condivisa, ma la prevaricazione fine a sé stessa. Soprattutto per affermare, quasi bestialmente, la propria identità.

Paradigmatico l’episodio che, in questa campagna elettorale, ha visto protagonista il consigliere regionale della Lega, Sandro Zaffiri in provincia di Ancona. In un pubblico comizio, egli ha è espresso la necessità di «impiccare, legarli assieme e far loro altre cose» sia il sindaco di Sassoferrato che quello della vicina Genga. Ecco, questo Zaffiri qui, che già nel 2015 aveva apostrofato l’attuale capo della polizia Franco Gabrielli, dandogli del «porco comunista che meriterebbe l’olio di ricino» è il capogruppo della Lega nell’Assemblea legislativa delle Marche. Il fior fiore della sua classe dirigente.

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L’ultima assemblea provinciale di Forza Italia

Ma a parte questi episodi da antologia degli orrori, che sono la punta dell’iceberg ci sarebbe tutto un sommerso da analizzare con attenzione. Molto all’ingrosso e con le dovute eccezioni, quello che sembrerebbe il fattore che accosta molte di queste situazioni di rigidità estrema è la comune provenienza dal partito di Alleanza Nazionale. Molti attuali dirigenti, almeno qui nelle Marche, sia di Lega, ma anche di Forza Italia, provengono dall’ex partito di Fini. L’esplosione di Alleanza Nazionale ha catapultato i suoi quadri nelle file di tutto il centrodestra. Per altro verso, con la progressiva disgregazione di Forza Italia, è andato perduto quel patrimonio umano – che per semplificare radicalmente definisco impropriamente ex democristiano ed ex socialista – capace di mediazioni e compromessi finalizzati alla gestione della cosa pubblica. Senza queste indispensabili caratteristiche, quello che resta è solo uno scontro tra arieti che produce solo molta polvere. Ma anche ferite e dolori. Un unico punto debole su cui potrebbe far leva l’intero centrosinistra per tentare di ribaltare la partita delle regionali del 2020. A due condizioni: la prima che già da domani dia lo sfratto esecutivo a Ceriscioli e a tutta la sua pessima giunta; la seconda che si metta in operosa ricerca di idee, ma anche di uomini e donne completamente nuovi che, come la sorpresa in campo nazionale del medico dei disperati, Pietro Bartolo, siano esempi rappresentativi e significativi nelle loro professioni, mestieri o anche solo azioni quotidiane. Di politicanti da dover mantenere non se ne può davvero più.

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