Lu pranzu de li spusarizi
de ‘na orda

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario-Monachesi

Mario Monachesi

 

di Mario Monachesi

Un tempo, specialmente in campagna, I pranzi di nozze erano due. Il primo, il giovedì antecedente la cerimonia, a casa della sposa, il secondo, la domenica della celebrazione, a casa dello sposo. Fino a tutto l’Ottocento le portate non erano molte, agli ospiti venivano offerti, brodo, cappone, arrosto, crema, ciambelle e vin santo. Al termine i commensali se ne andavano portandosi a casa la “ciammella” nuziale, un’antenata della odierna bomboniera. Poi con l’inizio del Novecento le “fiamminghe” hanno inziato ad essere più numerose e ricche. I preparativi per l’evento avevano inizio almeno tre giorni prima. Le donne di casa con l’aiuto delle vicinate incominciavano “a pelà’ li puji” e, con la supervisione del cuoco addetto, a predisporre quant’altro servisse. Tipo sughi, condimenti, ecc ecc. “L’ommini”, invece, allestivano “sull’ara”, “la trasanna”, cioè una capanna fatta con pali e teloni (“cupertù” impermeabili), sotto cui, poi, gli invitati avrebbero consumato i pasti e festeggiato gli sposi. “Lu pranzu” servito da camerieri improvvisati (uomini del vicinato) iniziava con un ‘antipasto formato da prosciutto, lonza, ciauscolo, salame di fegato(tutto una fetta), 2 olive e un carciofino.

sposalizio-4-325x246A seguire, “straccetti” (stracciatella), galantina, “allesso e rugni” (gallina lessa e cicoria), tagliatelle o vincisgrassi, frittura mista (fettine, olive, striscioline di zucca, patate, carciofi, crema a dadini), “arustu” (pollo, agnello), “‘nzalata”, crema con savojardi e archèmuse” (alchèrmes) o crema semplice, frutta di stagione, caffè fatto su “grandi cuccume”, “‘mmazzacaffė”. Per il pane, i camerieri avevano precedentemente disseminato la tavola di panini. Per vino ed acqua, c’era invece una persona dedita solo a quello, “lu cantiniere”. Percorreva la tavolata e ogni bottiglia vuota che vedeva, la cambiava con una piena. In un angolo appena dietro la “trasanna”, altre donne lavavano ed asciugavano in continuazione i piatti, per fornirli sempre brillanti e profumati ad ogni cambio. Quando il vino iniziava a fare effetto, cominciavano i lanci dei confetti. I ragazzini si davano da fare a raccoglierli e farne vere e proprie “‘nsaccocciate”. C’era anche chi tirava pallottole di molliche di pane. Si scatenava una piccola e simpatica guerra. Ogni tanto, invitando i presenti ad un brindisi in onore degli sposi, si faceva sentire il poeta della zona che declamava a braccio frasi augurali per gli stessi: “Cari amici / tutti assème / aguramo a ‘sti spusitti / fiji sani e tanto vène”. Qualcuno racconta che finita la cerimonia e prima dell’inizio “de lu pranzu”, la suocera rivolgesse alla neonuora la seguente domanda: “Porti la pace o porti la guera?” La sposa: “Porto la pace”. La suocera: “La pace ce porti e la pace ce rtroi”.

sposalizio-2-325x230Finito nel tardo pomeriggio il pranzo, gli invitati mano a mano sfollavano e gli sposi, stanchi ma…non del tutto, “si preparavano per trascorrere la prima notte insieme”.  Il giorno dopo la grande festa, salvo rari casi, per loro non esisteva alcun viaggio di nozze. Gli uomini, sposo compreso, smontavano la “trasanna” e la tavolata (le lunghe tavole appoggiate sui cavalletti su cui gli invitati avevano mangiato), le donne, sposa compresa, “a rlàa tuaje, sarviette, spare, sparù”, ecc ecc. Il giorno apprèsso ancora, “spusu e spusa” a campu” come tutti.

Alcuni proverbi, così descrivevano i giorni a venire: “Dati li confetti / se scopre li difetti”; “Finito l’amore / cumincia l’amaro”. Di quelle coppie che dopo un anno non avevano ancora prole, tra i più pettegoli girava la seguente battuta: “Come mai non ci-ha ancora fiji? O è largu lu puzzu o è corta la corda!”

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