La stagione della jia e dell’ojo

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario Monachesi

 

di Mario Monachesi

Novembre e dicembre sono i mesi della raccolta delle olive e, conseguentemente, dell’apertura dei frantoi. La “raccorda” avviene ancora quasi interamente fatta a mano, salvo l’affacciarsi di qualche attrezzo elettrico che scuote i rami e fa cadere gli acini sopra un telo disteso a terra. La tipicità delle olive maceratesi deriva dall’unicità del territorio. La caratteristica geografica produce un olio eccellente e di bassa acidità. Questo anche grazie “a li frisculi” (frantoi) che utilizzano un metodo di estrazione a freddo, cioè per la sola spremitura. Diverse sono le varietà degli ulivi presenti nel maceratese. Tra questi il leccino, il maurino, la mignola, l’orbetana, l’ascolana, il pendolino, il moraiolo, il piantone di Mogliano, il piantone di Falerone, il sargano (presente per lo più nel fermano) e la coroncina presente tra Caldarola, Serrapetrona, Belforte del Chienti.

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Giacomo Leopardi

L’alta qualità del nostro olio e il suo inconfondibile sapore veniva citato anche da Giacomo Leopardi in una lettera scritta alla sorella da Bologna e datata 17 marzo 1826: “Ringrazia tanto e poi tanto babbo e mamma dei nuovi regali che mi mandano, i quali serviranno ad accrescere l’onore che mi son fatto qui coi fichi e coll’olio”. Oltre al suo uso in cucina (vedi la sana dieta mediterranea), in cosmesi e, fino a qualche decennio fa, nell’illuminazione, all’olio un tempo venivano assegnati molti pregiudizi. Era ed è ancora un presagio di sventura far cadere a terra il recipiente che lo contiene. Sempre “co’ l’ojo” si procedeva alla pratica de “lo scanzà’ ll’occhju cattiu” (malocchio). Ad esso venivano attribuite capacità terapeutiche quali il lenire alcune forme infiammatorie: in caso di mal d’orecchi si versava nel padiglione un po’ d’olio riscaldato sul cucchiaio. Più anticamente per questo scopo si usava l’olio che si sottraeva dal lumino posto “sul’ardarì'” di casa.

campi-di-olio-uliveti-2-400x400L’olivo, o ulivo, nodoso e argenteo è un albero o arbusto sempreverde i cui fiori di color bianco, odorosi, formano infiorescenze a grappolo che fanno la loro comparsa verso aprile-maggio. I frutti di forma ovale dapprima si presentano verdi, poi violacei e infine neri. Alcune qualità rimangono verdi. Tracce fossili di questa pianta, nella zona mediterranea, portano la data di milioni di anni fa, prima cioè della comparsa dell’uomo. L’apparizione dell’ulivo sulla Terra conta diverse leggende. Quella più nota narra che il possesso di Atene sarebbe stato aggiudicato al Dio che avrebbe fornito il dono più utile. Alla fine a restare in gara furono Atena e Poseidone. Quest’ultimo fa sbucare dalla foresta un meraviglioso cavallo mentre Atena fa nascere dalle viscere della terra un nuovo albero: l’olivo. Zeus giudica vincitrice la dea sua figlia, sostenendo che il cavallo è per la guerra mentre l’olivo è per la pace. Sarà infatti proprio un ramoscello d’ulivo, portato nel becco da una colomba, ad annunciare a Noè la fine del diluvio universale. A questo punto non può mancare una gustosa ricetta: “la jia su la padella”. Procedimento: sistemare in padella qualche manciata di oliva nera, versare, senza coprirla del tutto, del vino bianco; aggiungere qualche spicchio d’aglio, rosmarino, sale e un goccettino di olio. A consumazione del vino servire a tavola. Da non dimenticare (ne abbiamo parlato nell’articolo di domenica scorsa), la jia strinata e la jia sotto fortore.



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