di Mario Monachesi
La Quaresima, dal latino “quadragèsimus”, quarantesimo, è il periodo di 40 (o 46) giorni che va dal mercoledì delle Ceneri alla mezzanotte del Sabato Santo, dedicato all’astinenza e al digiuno in preparazione della Pasqua e in memoria dei 40 giorni di digiuno osservati da Gesù. Per tutto il periodo i sacerdoti usano paramenti viola, nelle funzioni vengono omessi il Gloria e l’Alleluja, non si celebrano matrimoni se non eccezionalmente. Non si poteva far uso dell’organo e nella società civile non si organizzavano feste danzanti o altre baldorie. Nelle chiese ogni venerdi sera si teneva la Via Crucis. Nella quarta domenica di Quaresima, ma anche nei suoi primi nove giorni, era consuetudine ascoltare per bocca di due canterini, più una terza persona all’organetto, “La Passione delle Anime Sante”. Le tre domeniche che precedevano la Pasqua venivano chiamate “de le tre pi: purgatoriu, pasció (passione) è parme”.
L’osservanza dell’astinenza dalle carni, salvo per i malati, sulla carta almeno fino a Concilio del 1963, era tassativa. “Io so’ marzo svindurato che la carne non agghjo magnato; de la carne mango lo vrodo, quisti signori me l’ha commannato, povero marzo svindurato! “. In campagna i contadini appendevano al centro della cucina una “saraca” o “aringa”, e il pasto consisteva nello strofinarci una fetta di pane o di polenta. Già nell’800 questo costume incomincia a segnare il passo. Non erano allora rari gli editti dei vescovi. In uno del 5 marzo 1827 il vescovo Francesco Ansaldo Teloni richiamava le osterie a non servire carne porcina e i “macellari” a non tenere le carni a “pubblica spasa”, ricordando che chi contravveniva incappava in una multa di tre scudi e carcere per tutto il periodo della Quaresima. Per alleviare il lungo periodo, Domenico Spadoni racconta l’usanza della”segavecchia” (segar la vecchia) o della mezza quaresima, cioè un intermezzo cibario e di divertimento, per concedersi almeno una pausa. A Macerata solo qualche veglione, siamo ai primi del ‘900, organizzato al Politeama Marchetti, oggi ex cinema Cairoli. Il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, si preparavano frittelle di pasta di pane spolverate di zucchero, da qui il nome di San Giuseppe “frittellaro”. Poi si tornava a rigare dritto fino a Pasqua. Il Sabato Santo detto delle “campane mute”, a Villa Potenza si annuncia il mezzogiorno con le “gnacchere”
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