di Giancarlo Liuti
Urbino, dunque, si candida al titolo di “Capitale europea della cultura” (leggi l’articolo). Chissà se riuscirà ad arrivare in finale. Il percorso è lungo, prima nazionale poi europeo. E in Italia dovrà battersi con Assisi, Matera, Ravenna, Terni. Però ci prova, lei e la sua terra. L’importante non è vincere ma partecipare, come disse Pierre de Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi moderne. E partecipare significa impegnarsi, fare appello alle proprie forze, mettere insieme le migliori, credere in se stessi. Buone carte, a Urbino, non mancano: Federico di Montefeltro e la sua prestigiosissima corte di artisti, letterati e filosofi che ben oltre i confini di quella signoria diedero impulso al fiorire del Rinascimento, lo splendore del Palazzo Ducale, l’aver dato i natali a Raffaello e molte altre, fra cui, oggi, il sostegno della Regione e l’essersi dotata, come presidente del comitato promotore, di Jack Lang, ministro della cultura francese ai tempi di Francois Mitterrand. Che ne pensano gli urbinati? Da loro – e non solo da loro, giacché questa impresa coinvolge un’intera provincia – non sono giunti dissensi, distinguo, velenosi sarcasmi. Qualunque sia la sorte di tale iniziativa, essi ne vanno orgogliosi.
Due mesi fa un analogo appello fu lanciato, per Macerata e il suo territorio, da Francesco Adornato, direttore del dipartimento di scienze politiche, comunicazione e relazioni internazionali dell’ateneo. Di che si trattava? Chiamare a rassegna tutte le energie – culturali, politiche, economiche, sociali – per elaborare le credenziali di una candidatura, certo ambiziosa ma non campata in aria, che, facendo leva sulle eccellenze del passato e del presente, fosse plausibile, cioè degna di essere proposta. Una sorta, insomma, di corposo “curriculum” in cui confluissero non solo memorie storiche, bellezze architettoniche e la consapevolezza di un antico e non perduto civismo, ma anche la modernità innovativa del manifatturiero, il coraggio di singoli capitani d’industria, la paziente laboriosità già contadina dei “metalmezzadri”. Puntare alla vittoria? Sì, in teoria. Ma, soprattutto, dare prova di vitalità e di coesione. Ripeto: impegnarsi, fare appello alle proprie forze, mettere insieme le migliori, credere in se stessi.
Ebbene, sono trascorsi due mesi e nulla si è mosso. L’università aveva garantito la sua collaborazione, ma, a parte qualche vago entusiasmo iniziale, le altre istituzioni non hanno mostrato alcun interesse concreto. Pazienza, faremo il tifo per Urbino. Resta tuttavia singolare la circostanza per cui quell’appello sia venuto da un non maceratese che ama Macerata, e che esso sia stato accolto con illimitato favore, nel mio piccolo, da me, un altro non maceratese che ama Macerata. Qual è, allora, il problema? E’ che Macerata non si ama abbastanza. E non abbastanza la amano i suoi figli. Tantissimi, ora, se la prendono con la litigiosa vuotezza della politica e non hanno torto. Ma che c’entra? “Right or wrong, it’s my country” (giusto o sbagliato, è il mio paese) dicono gli americani. E ne sono convinti. A Macerata non è così.
Inutile e sciocco, adesso, fare confronti con Urbino su chi avesse più carne da mettere al fuoco. Raffaello? Figuriamoci, non si discute. Ma da noi c’è il gesuita Matteo Ricci, che secondo la rivista “Life” rientra fra le cento più importanti figure del secondo millennio per il progresso dell’umanità. Jack Lang? Gran personaggio. Ma per Macerata sarebbe potuto entrare in campo Dante Ferretti, il numero uno, in assoluto, della scenografia cinematografica mondiale. E via e via, attribuendo meriti, dando punteggi, stilando classifiche. Basta, lasciamo perdere. E’ invece significativo rilevare che quando fu reso noto quell’appello molti maceratesi storsero il naso e qualcuno, maceratese di puro sangue, lo definì addirittura “delirio di onnipotenza”. Forza, andiamo avanti su questa strada. Col magro conforto di piangerci addosso, imprecare per le buche nelle strade o il tunnel che ci piove e invidiare Civitanova e le sue “magnifiche sorti e progressive”, come sarcasticamente diceva Leopardi pensando al futuro del secolo suo.
Altri esempi? Abolire tutte le province, sostengono innumerevoli maceratesi. Niente da eccepire, è un’opinione rispettabile e per alcuni aspetti condivisibile. Ma capita che il governo intenda salvarne cinquantuno e cancellarne trentacinque, fra le quali Macerata. E allora? Come reagiscono i nostri irriducibili abolizionisti? Si ribellano contro qualcosa che sulla base di meri criteri aritmetici danneggerebbe pesantemente la loro città? Nient’affatto. Essi dicono: “Siccome noi siamo per abolirle tutte, le province, non ci va bene che ne restino cinquantuno ma, se così ha da essere, ci va benissimo che scompaia quella di Macerata”. Masochismo? No. Semplice mancanza di amore.
Giorni fa ho avuto occasione di parlare con un violinista noto e apprezzato per la sua intensa attività concertistica in Italia e all’estero: Lucio Liviabella, figlio di Lino, il compositore che s’impose come uno dei più rappresentativi esponenti della musica non solo italiana del Novecento. La famiglia Liviabella è tutta musicale e tutta maceratese: da Livio, allievo di Rossini e maestro di cappella nella basilica di Tolentino, a Oreste, organista nel duomo di Macerata, a Lino e, adesso, a Lucio, i cui due figli, Fulvio e Hans, hanno primarie parti di violino alla Scala e a Lugano. La stirpe dei Liviabella risiedeva in via Santa Maria della Porta, dove il più illustre, Lino, nacque nel 1902. “Lo scorso giugno”, mi dice Lucio, “l’auditorium di Amburgo ha ospitato un concerto per le vittime del terremoto che ha colpito l’Emilia e furono eseguiti brani di Mascagni, Respighi e Liviabella”. Molto sensibile alle nostre tradizioni popolari e anche per questo amico di Giovanni Ginobili, l’ormai dimenticato cultore del dialetto e del folclore rurale, Lino, fra l’altro, compose il poema sinfonico “La mia terra”, in cui inserì echi di stornelli, saltarelli e le note della “Pasquella”. Ebbene, come lo ricorda la sua Macerata? C’è una piccola via di estrema periferia, a Sforzacosta (ma ce n’è una, più grande, a Roma, dalle parti della “Cristoforo Colombo”) e c’è una scolorita lapide dell’Accademia dei Catenati sulla sua casa natale, al numero civico 39, ma l’ingresso non esiste più, l’hanno murato e il muro è da tempo imbrattato da un ignoto graffitaro. Liviabella poteva aspirare a qualcosa di meglio? Certo, ma, per l’appunto, è una questione d’amore.
E ancora. Recentemente la soprintendenza regionale per i beni architettonici e paesaggistici ha dichiarato meritevole di tutela e di vincolo la vetrina della “Guzzi” (in corso Cavour, sotto il nome di Primo Moretti, campione di motociclismo) che in tal modo diverrà la prima bottega storica della provincia. Ottimo. Ma l’architetto Gabor Bonifazi, uno dei pochi che davvero amano Macerata (un po’ meno, per la verità, quella di oggi), mi ha detto altre cose. Per esempio che nel centro storico vi sono vetrine degne anch’esse di tutela, come quella della “Moda di Parigi” in corso della Repubblica (“Chiuso per piccioni”, avverte un amaro cartello). E che all’interno di questo e altri negozi e ingressi di edifici giacciono affreschi e tempere di quel fecondo periodo artistico maceratese che fu rappresentato dal primo e secondo futurismo, con opere di Bruno Tano e di un giovanissimo Wladimiro Tulli. Un “museo diffuso”, secondo Bonifazi, che potrebbe sollecitare la frequentazione anche turistica della città. E lui mi ha parlato anche di Redo Romagnoli, un ingegnere maceratese alla cui attitudine di scenografo si dovettero il decoro iniziale e il restauro di numerosi negozi , fra i quali l’allora caffè Venanzetti, l’allora Casa della Moda, la sartoria Pietrarelli, forse anche la “Guzzi”. E c’è un filo, mi ha spiegato, che lega Redo Romagnoli a Dante Ferretti e rivela una sorta di vocazione naturale di Macerata per la musa del cinema. Lui, infatti, si trasferì a Roma e divenne scenografo e in alcuni casi regista di ben dodici film, fra i quali, nel 1940, “Piccolo re” con la famosa Evi Maltagliati. Redo Romagnoli, chi era costui? Mistero, l’ha sepolto l’oblio. E qui, ancora una volta, salta fuori una questione d’amore.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Sarebbe come a dire , “Amor c’ha nullo amato amar perdona”.
Ma esiste l’amore eterno? Normalmente quando non ricambiato a lungo , quando si è ripetutamente respinti e ignorati, dài e dài, prendono posto altri sentimenti fino alla disaffezione completa all’oggetto del proprio amore.
Perciò c’entrano , e se c’entrano, le buche nella strada e la galleria in cui piove.
L’Arch. Bonifazi è persona colta, oltre che appassionata di Storia locale. La maggior parte dei cittadini maceratesi e non, frequentano meno libri e biblioteche, che Viale Puccinotti, il palazzetto dello sport , l’Helvia Recina, camminano per le strade, attraversano la galleria, pagano multe per i parcheggi, non hanno parchi giochi per figli e nipoti, vedono morire il centro storico.
Ora, non vorremmo pure addebitargli un mancato scatto d’orgoglio, quando quotidianamente non hanno altro davanti i loro occhi che storture!
Ma in una città dove scambiano l’arte per immondizia e dove un artista non può esprimersi perché straniero o da pregiudizi, dove le opere vengono portate via con un furgone perché scambiate per immondizia cosa volete, neanche in un paese sottosviluppato farebbe questo.. poi mi danno torto e questi sono ii fatti.. credo che non se lo merita ne la provincia ne città della cultura dovrebbero guardare le vere cose nella città che sta morendo piano piano e neanche città della pace dopo tutti gli avvenimenti di cronaca…. come ha scritto Tamara descrivendo alcuni dei problemi e aborti che hanno fatto e pensano alla mia arte e quella di Prato che si a un vero problema della città quanta falsità ed ipocrisia.
Fa gia abbastanza ridere Urbino capitale europea della cultura, figuriamoci Macerata..
Tu Javer, apri un alltro squarcio su una città cui sta veramente a cuore ogni fermento artistico. Ho letto oggi su un quotidiano locale, le lamentele sollevate da un abitante di Via Roma nei confronti dello spazio accanto alla ferrovia allestito da te e Prato. La curatrice della rubrica rispondeva laconicamente : come dargli torto ?
Da quest’altra parte, immagino, direte tu e Prato: come dargli ragione? Allora, non è questione di torto o ragione in campo artistico, tra artista e fruitore, ma da un lato avere una possibilità di spazio espressivo per il genere di arte prodotta ( quella fondata sul riciclo che fate voi, ahimè va accettato, ha bisogno di spazi aperti come avviene nel resto del mondo ) e dall’altro capo, che questo luogo che ospita certe forme d’arte -non apprezzate, non comprese, rifutate , come ti pare- sia in qualche modo disciplinato nel contesto urbanp.
Dato che quindi, tu non poi imporre alla vista quello che altri non vogliono vedere, e gli altri non possono negare a te la libertà di espressione artistica ( Le arti sono libere etc.etc.) non c’è altra soluzione che la questione passi in mano a chi è demandato a occuparsene. Deleghe non mancano in Comune per questo.
Concettualmente infatti non vedo differenze , tra una statua celebrativa da sistemare in un angolo di Macerata e fornire uno spazio adeguato dove ospitare un genere d’arte che ha le sue caratteristiche.
La differenza, è che del Comitato Stringiamoci a Coorte c’è attenzione ,tanto da istituire una Commissione per l’ornato pubblico, nei vostri e del cittadino di Via Roma, no.
JavIer…scusa.
Caro Giancarlo,
protesto per la porta murata di Casa Liviabella (dove mi recavo da piccolo a visitare la sorella Lina) da almeno vent’anni (credo che Lucio Liviabella se ne ricordi): raccolsi firme, ho pubblicato articoli, realizzato video… niente di niente. Mancanza di amore? Io credo che l’Ufficio Tecnico non sia tenuto ad amare i cittadini, ma a provvedere al rispetto delle leggi sì: chi autorizzò quello scempio? Perché nessuno ha mai provveduto a imporre quanto meno l’apposizione di un portoncino ancorché falso sopra i mattoncini a faccia vista?
Credo inoltre, sempre per rimanere sul tuo tema della mancanza d’amore, che questa città non solo non onora i morti (Liviabella docet), ma trascura e, se può, mortifica i vivi. Ce ne sarebbe una vasta schiera, con una sfilza di grami aneddoti. Quindi, ritengo, molto meglio così come è andata. Molto più onesto così.
Credo che stiamo vivendo in uno stato di dittatura e chi ha la forza e il potere usa l’ a prepotenza lo so che la legge dice che le arti sono libere ma allora come fa un giornale ad andare contro la costituzione Italiana e usare un giornale per attaccarmi senza che mi posso difendermi. La mia arte e quella di Prato e in sintonia con i lo resto del mondo e qui invece veniamo derisi portati i n giro da gente che non sa nulla ne di arte e molto grave anzi gravissimo e ora che la gente si svegli se non vuole fare parte del quarto mondo, perché quelli del terzo mondo ci sono passati avanti. SO GIÀ COME RISPONDERANNO CON LA LORO IGNORANZA ” SE NON TI STA BENE VATTENE A CASA TUA ” perché sono anche razzisti e finti perbenisti.
Un segno di speranza:c’è ancora qualcuno che ama,onora ,ricorda e ripercorre gli itinerari culturali di un grande e troppo spesso dimenticato maceratese.Non è vero che la città dorme: c’è un piccolo coraggioso ,propositivo e fativo gruppo di persone che ha allestito ,per ricordare il centenario della nascita del grande Umberto e il ventennale della sua morte, a palazzo Buonaccorsi,in un’esposizione di opere dell’artista che sarà inaugurata venerdì 30 movembre alle 17 al polo museale e che è stata preceduta in questo mese da un fervente laboratorio artistico in omaggio al’autore,all’arte ed alla cultura.Senza disperare e col sollievo di trovare nell’estetica delle opere anche il profondo strutturale messaggio etico che le fonda,corriamo tutti all’esposizone e respiriamo una ventata d’aria fresca,facciamo luce fuori e dentro di noi.Facciamolo per i nostri giovani.Un libro,un disegno,una poesia sono i migliori maestri per ritrovare la consapevolezza che in questa città si può fare molto e ognuno di noi con le sue conoscenze e competenze può cominciando a ricordare,ammirare ed amare il Perimetro della casa di Peschi che deve diventare la casa ideale di tutta la città.Chi più di lui rappesenta l’intelligenza,l’acume ,la capacità ,la competenza artigiana e la fattività dei maceratesi e dei marchigiani in genere!Ma ve lo devo dire io che sono lombarda! Cose da non credersi! Andate a vedere alla galleria Galeotti e sbrigatevi perchè il 29 di questo mese chiude la mostra della collezione di disegni realizzati da Umberto(alla soglia degli ottant’anni!!!!!!),che esprimono freschezza(e bando lle ironie di bassa lega,qui si vola alto), meraviglia ,un mondo colorato e bambino ,un frizzante messaggio,quasi un disprezzo della morte che l’avrebbe raggiunto ma non sarebbe mai riuscita a togliercelo.E questo regalo non dimentichiamolo è stato realizzato dall’Associazione Umberto Peschi che lavora con una discrezione tutta maceratese ,ma è sempre incisiva e riesce a lasciare un segno profondo con ciò che propone.Perchè andare a visitare questi luoghi?Per ricordare,perchè gli artisti e le loro opere sono gli esseri più vicin a DIO, perchè creano dal nulla, perchè ci rimettono in contatto con le nostre emozioni ,perchè ci aiutano a ritrovare la capacità di comunicare nel modo più profondo con chi ci circonda.E si badi bene che non è solo un percorso nella memoria e uno struggimento nostalgico ,ma è un percorso di crescita umana,culturale,sociale e politica.
Arrivederci a casa di Umberto che porto nel mio cuore,nei miei occhi e che ritrovo quotidianamente nelle opere che mi ha regalato.Naturalmente sono sicura che tutti i lettori ,anche quelli più disillusi e disperati ( anzi l’invito è a maggior ragione per loro!!!!) correranno..Le stanze dell’arte diventino le stanze dell’incontro ,dello scambio ,della voglia di ritrovare i tesori di questa città che non è morta ,è solo assopita,”distesa come un vecchio addormentato,l’orgoglio ,l’abbandono ,il niente son la tua malattia…..” dice un maceratese D.O.C ma io no,non concludo con “ti lascio e vado via”.Io sono qui ci sono ,piccola formica al lavoro.
Eliana Leoni Marcelletti
Buona domenica a tutti e a presto
L’articolo parte dall’assunto, implicito, che non amare Macerata sia un disvalore, e perchè mai? Rivendico il diritto di non amare Macerata, in quanto tale, nè i maceratesi, in quanto tali.
Posso interessarmi ed indignarmi per questo o quel problema della città e dei suoi riferimenti culturali, ma allo stesso modo nel quale mi preoccuperei se si trattasse di Acquacanina, Pompei, Parigi o Lhasa.
Ma poi, siamo davvero sicuri che si tratti di “amore”?
Ho una personale idiosincrasia per le masse che si aggregano dietro una bandiera e un inno, sia che si tratti di nazioni, che di partiti o di squadre di calcio. Il sentimento che si esprime in tali situazioni è un figlio degenere e perverso dell’amore: la fazione.
L’amore è un sentimento che rivolgo alle persone e non alle categorie a cui appartengono. Non mi sento particolarmente più vicino alla stragrande maggioranza dei maceratesi di quanto non lo sia rispetto agli abitanti di una qualunque altra città.
Ma poi, siamo davvero sicuri che si tratti di “amore”?
E già, Signor Bravi. Credo si tratti più di pudore, tanto nella sua mancanza , che nei suoi eccessi di latitanza dell’opinione pubblica e delle coscienze critiche di spicco, quando di fronte ad ingiustizie plateali ai danni di un chiunque cittadino che si adopra in qualunque modo per la città che si sarebbe voluta far gareggiare come capitale europea di cultura , su questo , tace.
Di conseguenza, non riesco ad afferrare per quale recondito motivo, i cittadini, tutti, dovrebbero poi alla bisogna ” dare prova di vitalità e di coesione ” e ad incassare anche questa stoccata.
E specialmente poi, quando sono gli stessi organi di stampa che evidenziano ogni giorno qualsiasi tipo di scandalo, denuncia e segnalazione : dalla lavatrice abbandonata all’angolo di Via Mozzi, ai materassi accanto un cassonetto di periferia, ai ratti che prolificano in Zona Pizzarello.
La Bruttezza è ‘na virtù la bellezza è schiavitù! Motto coniato da Telesforo Iacobelli, il compianto Presidente del Club dei Brutti di Piobbico.
@ Filippo Davoli
Ho tralasciato di proposito, allargare il concetto di cultura. Cultura, come civiltà.
Se vuoi, con la tua profondità, la tua penna d’oro, pensaci tu. Altro non ho da aggiungere.
Condivido diversi passaggi dell’articolo di Giancarlo Liuti che scrive divinamente e sicuramente contribuisce alla crescita dell’opinione pubblica!!! Però non credo sia qualunquismo o antipolitica dire che causa principale della disaffezione dei cittadini per la loro città sia proprio la politica sempre più autoreferenziale!!! Come lo stesso Liuti ha già scritto in passato assistiamo a verifiche politiche fatte solo per i posti di potere, una maggioranza che litica ogni giorno con la propria amministrazione, un Pdl che ha anch’esso poteri alle spalle a cui dare conto, un Pd che continua ad eleggere i soliti noti nel direttivo e un’amministrazione comunale che crede di avere poteri divini e si rifiuta di dare conto della propria attività ai suoi cittadini. Non mi sorprenderebbe se Carancini abbia fatto la domanda per la candidatura a capitale europea della cultura senza avvisare nessuno se non i suoi fedelissimi assessori…
Indubbiamente tra le città marchigiane che potrebbero ambire al cosiddetto titolo di “capitale europea della cultura,” Urbino è l’unica meritevole di notazione e la cosa non mi fa sorridere affatto, basti pensare all’utopica “Città ideale” del rinascimento di cui Urbino fu oggetto di “citazione” (1470-1480), per non parlare del retaggio storico di questa Città: Raffaello, Bramante, Paolo Uccello, Piero della Francesca, ecc.. E che dire delle architetture di questa Città? Basta e avanza Il Palazzo Ducale voluto da Federico da Montefeltro per la cui costruzione lavorarono personaggi come Francesco di Giorgio Martini. Quindi non mi meraviglierei affatto che la scelta cadesse proprio su Urbino, anche se belle, le altre città marchigiane non reggono il confronto.
Urbino è oratorio di San Giovanni Battista dei fratelli Salimbeni, Urbino è Collegio Universitario progettato da Giancarlo De Carlo, Urbino è patrimonio dell’umanità, Urbino è stata scelta del governatore Spacca.
Una bella riflessione, caro Giancarlo, che fa onore a Macerata oltre che a te, così come molti altri pensieri, spunti e annotazioni usciti in passato dalla tua penna di giornalista, tanto arguta quanto delicata sui fatti della nostra città. In un commento ad un articolo di CM di qualche settimana fa ho risposto a chi mi chiedeva come mai conoscessi così bene lo spirito della città, che io la amo e la patisco al tempo stesso, senza poter distinguere questi due sentimenti se non per il fatto che amo Mc ma patisco la “maceratesità” , un modo di essere a dir poco incongruente… – a dir poco! – e cioè alacre nel progettare e pigro nel mantenere e realizzare, perciò propenso spesso a delegare a chicchessia, il primo o la prima che si propongano, cose che hanno bisogno di cura, di competenza, di pazienza per compiersi e risultare ben fatte (forse amore è saper costruire lentamente e insieme, in tanti?) Accade perciò che quell’amore, che qui tu evochi e sottolinei come mancante , resti confinato nell’orizzonte che ospita i valori ideali, nella piazza del “come sarebbe bello se ….” , ad esempio, il centro storico fosse donato al libero passo ma come si fa….” . L’amore , nelle sue svariate forme, si nutre di gesti concreti, di testimonianze, di reciproco riconoscimento soprattutto; a legare tutte queste forme in un intreccio efficace credo sia la cura: la cura dei cittadini in una città “curata” da coloro che li rappresentano. Senza questo flusso di “affettuose” corrispondenze , quel che resta è l’attaccamento al campanile, un sentimento che Stelvio Antonini, una quindicina di anni fa, stigmatizzò in un emblematico titolo-immagine: “Saluti si ma niente baci”
Ecco un bel gesto d’amore mi potrebbero trovare un bel posto e più sicuro del passaggio a livello per fare una scuola d’arte del riciclo…
Prof. Lucio Liviabella [email protected]
Via Tetto Nuovo, 33 10025 Pino Torinese (To)
Tel. 011/8113032 Cellulare: 3286025284
Sono molto riconoscente al Dott. Giancarlo Liuti per l’articolo “La città di Macerata e la mancanza d’amore”.
Vorrei ricordare un pensiero del compositore Lino Liviabella: “Gli artisti vivono in una notte piena di sorprese, portano la loro lampada, avvolti penosamente in un cerchio d’ombra; danno la luce, di cui non sanno e di cui non vogliono sapere l’essenza, perché l’importante per loro non è il sapere, ma il dare”.
Frase in un certo senso misteriosa, ma che sottintende, in quel dare, un atto d’amore. Comprendere questa luce, inoltrarsi in questa notte piena di sorprese; ecco, questo è il misterioso della sua musica.
Ricambiare questo dono.
Il Comune di Macerata, la Cassa di Risparmio hanno spesso ricordato questo musicista maceratese. Basti pensare al Convegno tenuto per il centenario della nascita, ad una ormai lontana esecuzione (26 luglio 1980) allo Sferisterio del suo poema sinfonico “La mia terra”, struggente nostalgia delle Marche…
Ora il Dott. Liuti propone (e con lui lo scrittore Filippo Davoli) una sistemazione della lapide e il portoncino della casa natale in Via S. Maria della Porta 39… Doverosi atti d’amore, se non di rispetto.
Il mio invito è di entrare nel nuovo sito linoliviabella.com dove è possibile anche ascoltare la musica del compositore.
L’ultimo cd ha due interpreti d’eccezione: il violista Luca Sanzò e il pianista Maurizio Paciariello; perché non potrebbe realizzarsi a Macerata un loro concerto di presentazione come è stato recentemente fatto a Roma al Parco della Musica e al Conservatorio di S. Cecilia?
E se questo non è possibile lasciarsi coinvolgere dalle due Sonate per viola e pianoforte (CD TACTUS TC 901101) delle quali è stato scritto: “In questi lavori Liviabella coniuga l’elaborazione tecnica ad un intenso slancio emotivo, che in alcuni punti diventa persino travolgente”.
Qualcuno che ha le redini della Cultura a Macerata mi risponderà? Risponderà al Dott. Liuti? O un solo cittadino maceratese che si è commosso al secondo tempo della Seconda Sonata?
Lucio Liviabella
Condivido solo in parte i contenuti nell’articolo di liuti ma devo dire che ha il pregio di aver provocato una serie di commenti fra i più interessanti e meno banali degli ultimi tempi . bene così dunque . Sono d’accordo che bisognerebbe amare la propria città meno sul fatto che questo amore dovrebbe riconoscersi in battaglie come quella a difesa della sua amministrazione provinciale. Ritengo poi insostenibile la tesi di coloro che addossano alla politica le colpe del presunto scarso attaccamento dei cittadini maceratesi alle proprie mura . Forse cominciamo ad esagerare e la politica corrotta sta diventando una bella foglia di fico per coprire tutte le nostre debolezze , pigrizie ed incapacità . Io non credo che i maceratesi non amino la propria città e’ che il nostro essere comunita’ di pensiero e poca pratica sempre più legata alla connivenza piuttosto che al merito ci fa facilmente preferire la critica sterile alla ricerca di una soluzione. Insomma un po’ di “rivoluzione industriale” ci avrebbe fatto bene ma questa e’ storia lunga. Per quanto riguarda la vicenda della capitale europea della cultura” mi sono andato a vedere cosa c’è dietro e l’impressione e’ che il valore di questa nomina si è un po’ ( tanto) ridotto negli anni e oggi si è arrivata ad una spartizione per paesi. una lottizzazione insomma . Nel 2019 toccherà all’Italia e alla Bulgaria e se concorre Terni certo Macerata poteva non sfigurare . Non credo che abbiamo perso molto ma certo non era un obiettivo fuori della portata di una comunità con un po’ più di visione e di coesione.
Chi ha un sussulto, chi protesta, chi rimpiange la dignità perduta della propria città non è un provocatore, è un provocato.
Il centro storico di Macerata è sempre più abbandonato dai residenti, costretti ad un’inusitata diaspora causata in parte da una scellerata politica urbanistica speculativa che sembra favorire chi investe sui grandi palazzi. Contenitori per lo più vuoti, trasformati in musei vuoti o in vuoti palazzi di rappresentanza. Sembra che qualcuno abbia interesse a spingere i residenti del centro verso nuove costruzioni di anonime periferie. Chiudono i negozi di servizio per far posto a nuove boutique. Chiuse nella più completa indifferenza il negozio del pane che fu gestito per tanti anni da Emma Tamburini. Eppure era in via Gramsci, proprio sotto il Palazzo Comunale, chiamato tanto pomposamente Civica residenza. Si disse che il negozietto fosse entrato nell’amministrazione fallimentare che aveva investito la Parima e che perdesse mille euro al mese. E’ naturale che pochi residenti non potessero permettersi il lusso di mantenere in attivo un punto vendita dei panificatori maceratesi. Speriamo che almeno il Comune conservi la mostra in travertino disegnata da Virgì Bonifazi nel 1951, quando venne inaugurato il locale di Emma con forno di famiglia in vicolo Ferrari. Insomma niente più fragranti parigini, grissini, rosette, pane a cassetta, pizze, dolci ma almeno conserviamo la storia del pane di Virgì: dalla semina del grano all’estrazione del pane dal forno. Una narrazione dalla didattica semplice, un po’ retorica sì, ma efficace in momento di crisi con il pane alle stelle. Insomma un portale da salvare.
Le nostre città, una volta pomposamente blasonate, sono sempre più banalizzate con l’aggiunta di suffissi da Pro loco, prodotti da quella incolta provincia sorvolata dal Picus del Ver Sacrum, ad una folcloristica definizione da Federterra: Terra delle armonie. E dire che proprio l’evocato Leopardi disprezzava a tal punto la sua cittadina da definirla “vilissima zolla”. E dire che Recanati dopo essersi fregiata per diversi anni di un velleitario quanto sciocco “territorio denuclearizzato”, ora si limita ad un rispettoso suffisso sotto il cartello stradale: “città della poesia”. E che dire di Macerata, già Atene delle Marche, ridotta con una aggiunta da far tremare le vene ai polsi agli abitanti di Sparta: “Città della pace”? Il richiamo corre veloce alla Città della domenica e ad altri paesi dove poter trovare il Graal. Poi ci sono paesi con definizioni che ben identificano l’aspetto e l’attività prevalente del luogo come Loro Piceno, Serrapetrona, Pollenza eccetera. Mentre San Severino e Potenza Picena vennero blasonate in maniera storico artistica: Città d’arte. Infine ci sono quelle cittadine certificate che hanno abbandonato la propria storia e i propri fasti per cartelli abusati da mulino bianco.