Salvare la Provincia?
Forse, ma volando alti

La necessità di un fronte comune fra tutte le realtà a rischio e il proverbio del marito che voleva fare un dispetto alla moglie

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

Dal pubblico confronto che l’altro giorno Cm ha organizzato alla Camera di Commercio (leggi l’articolo) è emerso un dato positivo, ossia la comune volontà, a prescindere dalle diverse posizioni politiche, di difendere l’esistenza della Provincia di Macerata. A mio avviso, però, un particolare risalto merita l’intervento di Piero Alberto Capotosti, già presidente della Corte costituzionale e già docente di diritto, negli anni settanta, della nostra università, il quale ha collocato la questione in un quadro nazionale e l’ha sottratta all’idea che essa venga affrontata a livello locale e regionale secondo una logica che, oggi come oggi, mi sembra ad altissimo rischio di fallimento.

 confronto-riordino-province-0-300x199 Detta in soldoni, la tesi del professor Capotosti è che la soluzione dovrebbe essere perseguita sollevando – non solo Macerata e non solo le Marche – l’incostituzionalità della legge di soppressione e riordino delle Province varata dal Governo, incostituzionalità rispetto ai principi fissati nel titolo quinto della Costituzione che, a suo dire, affidano alle Regioni e non al Governo il potere di legiferare in merito alla organizzazione territoriale delle Province. Vero è che a giudizio di altri autorevoli giuristi il ricorso potrebbe essere respinto dalla Consulta, ma si dà il caso che il Governo, non potendo escludere che il ricorso venga accolto, sembra orientarsi verso una modifica del suddetto titolo quinto, la qual cosa, trattandosi di revisione costituzionale, imporrebbe un lungo iter parlamentare e forse un referendum, per cui non è da escludere che la questione slitti alla prossima legislatura, dove tutto sarebbe rimesso in discussione. Staremo a vedere. Intanto credo – ma la mia è una sensazione da quasi profano – che in questo modo la salvezza della Provincia di Macerata avrebbe maggiori probabilità di successo di quante non ne abbia l’arroccarsi, in sede regionale, provinciale e comunale, su pur legittime ragioni storiche, sociali, economiche e culturali.

  Vediamo come stanno, adesso, le cose. I criteri fissati dal Governo per tenere in vita le Province sono due: un territorio di almeno 2.500 chilometri quadrati e una popolazione di almeno 350.000 abitanti. Macerata, dunque, non è in regola, mancandole 30.800 abitanti. Idem Fermo, cui mancano 860 chilometri e 176.000 abitanti. Idem Ascoli, cui mancano 1.230 chilometri e 140.000 abitanti. Idem l’eventuale Ascoli-Fermo, cui  mancherebbero più di 400 chilometri.

  confronto-riordino-province-11-300x199Ultimamente è saltata fuori l’ipotesi un po’ stravagante del senatore ascolano Amedeo Ciccanti (Udc), Il quale, in una specie di assemblea parlamentare svoltasi al bar Pierino (!), ha scoperto che tutto sarebbe in regola se Macerata cedesse a Fermo ben 500 chilometri (!) e ben 13 Comuni (!) e si facesse dare da Fabriano o da Osimo e Castelfidardo ben 40.000 abitanti (!). In tal modo sarebbe salva e lo sarebbero, accorpandosi, anche Fermo e Ascoli (immediate, qui, le ire dei fermani, cui gli ascolani non sono affatto simpatici, anche se questo pur problematico matrimonio è durato per oltre un secolo, e prima della istituzione, quattro anni fa, della Provincia di Fermo non aveva dato luogo a insanabili screzi). Sulla stessa linea, pur senza proporre belliche annessioni di terre e bibliche migrazioni di anime, si è collocato, in attesa di un pronunciamento della Regione,  il cosiddetto Cal (Consiglio delle autonomie locali) che ha suggerito un ritorno all’antico, cioè la divisione delle Marche in quattro Province: Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata e Ascoli-Fermo (di nuovo, allora, le proteste di Fermo).

  Ma abbiamo già visto che rispetto ai criteri stabiliti dal governo (almeno 2.500 chilometri quadrati e almeno 350.000 abitanti) non sono in regola né Macerata, né Fermo, né Ascoli, né Fermo-Ascoli. E allora? Sono possibili deroghe? Sono possibili mutamenti di confini, annessioni, migrazioni? Sono possibili solo per le Marche? In teoria tutto è possibile, anche se ormai quei criteri stanno nelle misure di “spending review” già sostanzialmente approvate dal Parlamento. Via, siamo realisti. Resta comunque che le Marche non sono un’isola e la questione è nazionale e può essere risolta – ricorso alla Consulta o contestazione dei criteri – solo a livello nazionale, facendo squadra fra tutte le esigenze analoghe alle nostre.

  Quante sono, oggi, le Province italiane? Tolte le “autonome” di Trento, Bolzano e Aosta, sono 107. E quante di esse risultano a posto con quei criteri? Oltre a quelle dei 20 capoluoghi di regione che, vedi Ancona, vi rientrano di diritto, esse sono 35. E quante sono, allora, le “fuori gioco”? La matematica non è un’opinione: sono 52. Ed eccone l’elenco, una per una: Ascoli, Asti, Benevento, Biella, Brindisi, Caltanissetta, Catanzaro, Como, Crotone, Enna, Fermo, Forlì, Grosseto, Imperia, Isernia, La Spezia, Lecco, Livorno, Lodi, Lucca, Macerata, Mantova, Massa Carrara, Matera, Monza, Novara, Padova, Pescara, Piacenza, Pisa, Pistoia, Prato, Ragusa, Ravenna, Reggio Emilia, Rieti, Rimini, Rovigo, Savona, Siena, Siracusa, Sondrio, Taranto, Teramo, Terni, Trapani, Treviso,  Varese, Vercelli, Vibo Valentia, Viterbo. Ognuna delle quali, suppongo, può far leva su ragioni storiche, territoriali e culturali, e sogna, per sopravvivere, deroghe, annessioni, migrazioni. Domanda: che senso ha, per le Marche, muoversi da sole, senza far blocco con le altre Regioni e le altre Province, quasi confidando in immaginari favori? Ben altro senso, invece, avrebbe un’azione comune tendente alla modifica, per tutti, di quei criteri – opinabilissimi, troppo ragionieristici – o, come sostiene Capotosti, un ricorso, di tutti, alla Consulta. Ma di quest’azione comune non si ha traccia, almeno per ora. E ogni Provincia “moritura” sembra volersi difendere da sola. Ma attenti: più cresce la frammentazione nel campo di chi si difende, più cresce la forza di chi ha il potere di attaccare, ossia del Governo.

Quel Governo che per quanto ci riguarda lasciò trapelare le sue intenzioni fin dallo scorso giugno – e Cm fu l’unico giornale a darne, inascoltato, notizia – allorché si delineò l’idea del “Distretto Marche Sud”, comprendente Macerata, Fermo e Ascoli, con Fermo capoluogo per ragioni di equilibrio territoriale. Da allora non se n’è più parlato, preferendo ciascuno trincerarsi nel localismo delle proprie credenziali. Ma quell’idea resta, è la più in linea coi criteri del riordino e con la “spending review”. Insomma, come nel “Don Giovanni” di Mozart, il “Distretto Marche Sud” è un “convitato di pietra” con cui non si può non fare i conti.

  In che cosa, dunque, sperare per Macerata? Come ho già detto, la speranza – ultima dea – riposa esclusivamente nell’essersi accorto, il Governo, che anche per lui, forse, sarebbe meglio elaborare un disegno di legge di revisione costituzionale e quindi, in sostanza, rinviare tutto alla prossima legislatura. Speranza fondata? Non molto, temo pochissimo. In conclusione lasciatemi esprimere la mia sorpresa – meglio: il mio sbigottimento – rispetto alle posizioni di quei maceratesi che, favorevoli all’abolizione di tutte le Province, non si dichiarano contrari all’abolizione della loro Provincia anche se altre 54 resterebbero in vita. Qui vien da pensare a quel famoso proverbio sul marito che si sacrifica in un certo dolorosissimo modo pur di far dispetto alla moglie. E ancor più sbalorditive sono tali opinioni quando provengono da cittadini di Macerata. Si rendono conto di cosa accadrebbe alla loro Macerata, da sempre città di servizi, se perdesse Provincia, Prefettura, Questura e altre realtà pubbliche di ambito provinciale? Giorni fa qualcuno mi disse che con la chiusura della Banca d’Italia e il trasferimento a Iesi del cervello di Banca Marche  si son persi oltre duecento posti di lavoro. Beh, quel proverbio calza a pennello.

  E, cambiando discorso, calza a pennello pure a proposito di quanto ha scritto il pur bravo Marco Ricci (leggi l’articolo) sull’appello del professor Francesco Adornato per la candidatura di Macerata a capitale europea della cultura. Il suo articolo, infatti, contiene un’affermazione radicalmente sbagliata, ossia che i maceratesi sarebbero affetti da quella grave patologia mentale, minuziosamente e clinicamente descritta da lui, che va sotto il nome di delirio di onnipotenza. Abito qui da oltre sessant’anni e mi sono reso conto che, semmai, i maceratesi coltivano nell’animo un sentimento diametralmente opposto: il disamore per la loro città. La provocazione di Adornato, che maceratese non è, ha lo scopo di stimolare la coscienza comune a non chiudersi in quel mugugnare “pallido e assorto” – sto parafrasando Montale – che tarpa le ali a qualsiasi slancio, a qualsiasi iniziativa, a qualsiasi tentativo di emergere dal quotidiano. Il “delirio di onnipotenza” dell’Ulisse di Dante (“Fatti non foste a viver come bruti”) e di Cristoforo Colombo che affrontarono l’insidia mortale degli oceani per scoprire cosa ci fosse oltre le Colonne d’Ercole dovrebbe far da stella polare a chi si considera persona di cultura. E mi dispiace che Marco Ricci, stavolta, se ne sia dimenticato.



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