La pioggia uccide Carmen

LA RECENSIONE - Non sono state le coltellate di Don Josè ad ammazzare la bella gitana: si ferma al terzo atto, dopo due interruzioni, il melodramma di Geoges Bizet. Brilla il tenore Roberto Aronica, sottotono Veronica Simeoni
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La pioggia ha interrotto la Carmen

di Maria Stefania Gelsomini

(foto di scena di Alfredo Tabocchini)

 Finisce senza applausi la Carmen dello Sferisterio, tutta colpa della pioggia. Dopo un’ora e mezzo circa dall’inizio dello spettacolo, quando ormai dopo i rovesci torrenziali del pomeriggio il pericolo sembrava scampato, il primo patatrac. Le nuvole minacciose che incombevano sabato sullo Sferisterio, e che hanno risparmiato La Bohème, hanno invece finito per rovinare ieri sera il debutto dell’opera di Bizet, in una serata dall’atmosfera sottotono sferzata da un freddo invernale e caratterizzata da un paio di interruzioni. Una poco prima dell’intervallo, proprio all’inizio dell’aria “La fleur que tu m’avais jetée…” in cui Don Josè confessa il suo amore a Carmen: quattro gocce, ma sufficienti a convincere gli orchestrali a riporre i loro strumenti nelle custodie e a causare un fuggi fuggi tra il pubblico, che ha lasciato ampie zone vuote in platea. Una seconda lunga interruzione all’inizio del quarto atto, con gli spettatori sempre più infreddoliti rimasti ad aspettare stoicamente la ripresa della recita. A mezzanotte e tre quarti, dopo venti minuti di pausa, Francesco Micheli scende a parlare col direttore d’orchestra, si aspetta ancora, si chiede al pubblico di avere pazienza, si spera nella clemenza del tempo. Poi, quando è quasi l’una, l’annuncio del direttore artistico, l’ultimo estremo tentativo: “l’orchestra in queste condizioni non può proseguire, ma vogliamo continuare ad ogni costo lo spettacolo, ci stiamo organizzando per concluderlo solo con l’accompagnamento del pianoforte”. Annuncio accolto con entusiasmo e riconoscenza dagli ultimi irriducibili spettatori che fino a quel momento hanno resistito alla tentazione di abbandonare l’arena. Ma non appena pronunciate queste parole, si scatena il diluvio. Non c’è proprio niente da fare, finisce così, tristemente e senza gloria per nessuno. Che peccato, uno stillicidio, in ogni senso. E una sofferenza per i cantanti, eroici ad esibirsi in condizioni climatiche veramente difficili per la voce, costretti a snervanti attese e inevitabili cali di tensione e concentrazione, privati dell’applauso finale.

Carmen-foto-Tabocchini-2Perciò raccontare questa Carmen non è facile. Le avverse condizioni hanno influenzato lo svolgimento dello spettacolo e l’hanno inevitabilmente penalizzato. A partire dalla compagnia di canto, che ieri sera, con un’unica eccezione, non ha saputo dare il meglio di sé, almeno rispetto alla prova generale in cui tutti i cantanti erano sembrati più in forma. Non fosse stato per la straordinaria performance di Roberto Aronica, che torna a cantare a Macerata dopo ben quindici anni, con la sua ormai ventennale carriera internazionale, la bellezza e la potenza della sua voce, la tecnica sopraffina con cui affronta qualsiasi ruolo del suo ormai ampio repertorio, purtroppo non ci sarebbe granché da dire. Il tenore romano si trova molto a suo agio nell’affrontare personaggi irruenti, grintosi, dai risvolti sanguigni, e la maturazione vocale raggiunta rende Don Josè un ruolo perfetto per le sue corde. Una sicurezza insomma, su qualsiasi palco e in qualsiasi condizione meteo. Veronica Simeoni canta Carmen, ma non le assomiglia, o almeno non assomiglia molto al personaggio che la regista Serena Sinigaglia aveva raccontato: una Carmen passionale, carismatica, cupa, senza fronzoli pittoreschi. Una ladra e una prostituta, “dotata di un erotismo animale”. Ieri sera sul palco c’era più una Carmen languida e capricciosa, dall’aspetto e dai modi quasi mascolini,  e i continui ancheggiamenti della cantante non sono bastati a trasmettere quella sensualità carnale che Carmen dovrebbe esprimere con la propria personalità e soprattutto attraverso il suo canto.

Carmen-foto-Tabocchini-1L’Escamillo di Gezim Myshketa, giovane baritono dalla voce piuttosto scura, al di là della fisicità e della disinvoltura recitativa, vocalmente non ha brillato ed è parso più emozionato e meno spigliato rispetto alle prove, anche nella celebre aria Toreador. Non convince neppure la Micaela della giovanissima Alessandra Marianelli. Un’anima ingenua che si avventura spaesata nelle periferie urbane frequentate dagli zingari e tra le montagne dove si nascondono i due amanti Carmen e Don Josè sempre con il suo abitino di pizzo e la borsetta a tracolla. Un’interpretazione caratterizzata da note a volte urlate e da una voce che, per una cantante di soli ventisei anni, mostra di ballare troppo pericolosamente negli acuti. Di nuovo peccato.

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Roberto Aronica (don Josè) e Veronica Simeoni (Carmen)

La Sinigaglia, regista sensibile e raffinata, ha tentato di rendere, con poco (pochi soldi, pochi elementi scenici), un’idea forte e questa essenzialità si percepisce: intanto via folcloristiche nacchere, ventagli di pizzo, passi di flamenco e costumi gitani, siamo ai giorni nostri, ai Rom degli anni Duemila. Ma forse qualche transenna arrugginita, qualche cassa di plastica colorata e qualche mucchio di detriti non sono bastati a riempire un palco denudato che si fonde cromaticamente e simbolicamente col lungo muro dello Sferisterio, e a rendere la drammaticità e il degrado della periferia metropolitana che voleva raffigurare.

Belli ad esempio i contrasti tra le schiere rigide di poliziotti vestiti di nero e le frotte scomposte delle sigaraie dai costumi color sabbia e cipria, deliziosi i bambini zingarelli del coro, coinvolgenti i balli sfrenati dei gitani in preda all’alcol, ma visti e rivisti gli ingressi di coro e cantanti dalla platea. E poi Carmen in pantaloni, cappotto e gilet, tatuata come un marinaio che entra parlando al cellulare sembra più una donna in carriera, concede poco spazio alla sensualità. E la conferma arriva poco dopo quando attacca l’Habanera, l’aria più celebre dell’opera: esecuzione corretta, ma è più suadente che magnetica.

Il quarto atto non è andato in scena, ma resta nel racconto della prova generale. Protagonista assoluta è ormai la tragedia: la follia omicida annunciata di Don Josè e la morte annunciata di Carmen, che l’ha abbandonato per Escamillo e si farà accoltellare pur di difendere la sua scelta e la sua libertà. Ma questo ieri sera non si è visto. Ieri sera l’opera si è conclusa bruscamente con la minaccia di Don Josè a Carmen, pronunciata mentre la sta lasciando per andare dalla madre morente, e sapendo folle di gelosia che lei è già innamorata del famoso torero: “Sarai contenta… io parto… ma ci rivedremo!…”. Per il pubblico invece queste parole devono suonare come un augurio e una promessa. Purtroppo esistono, in teatro come nella vita, serate infelici in cui tutto sembra girare per il verso sbagliato. Capita, andrà sicuramente meglio nelle prossime repliche, il 28 luglio, il 3 e l’11 agosto.

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