(foto di scena di Alfredo Tabocchini)
Pronti, via. Dopo aver messo i puntini sulle “i” e tolto i puntini dalle “g”, grazie al maestro Giancarlo Liuti (leggi l’articolo) che ha posto riparo al torto delle iniziali siglate dei cartelloni pubblicitari restituendo a G. Verdi, G. Puccini e G. Bizet la soddisfazione di un Giuseppe, Giacomo e Georges scritti per esteso, ieri sera finalmente la prima del MOF.
Inaugurare la 48ª edizione del Macerata Opera Festival con La Traviata di Svoboda-Brockhaus, nota come “Traviata degli specchi”, era una garanzia, non poteva essere altrimenti. Un allestimento collaudato e applaudito in tutto il mondo che torna a casa nel ventennale del suo debutto e nel decennale della morte del grande scenografo boemo. Torna dopo essersi rifatta il look, con nuovi specchi, teloni restaurati e ovviamente un cast rinnovato. E conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che la classe non ha età perché parla un linguaggio universale che non teme il trascorrere del tempo.
Il genio di Josef Svoboda e la profonda cultura di Henning Brockhaus hanno lasciato una firma indelebile su questa Traviata memorabile che fa parte ormai della tradizione del teatro d’opera contemporaneo. Un’inaugurazione a colpo sicuro dunque per il festival di Francesco Micheli, che non ha deluso le aspettative di un pubblico da “tutto esaurito”, di chi aveva negli occhi e nel cuore le due edizioni del 1992 e del 1995, ma anche di chi ha avuto modo di gustarsi questo spettacolo per la prima volta. C’erano come sempre quelli “che contano”, col posto in poltronissima e il vezzo di farsi ammirare, e quelli che “contavano” (contavano i giorni che li separavano dallo spettacolo), gli appassionati, i melomani veri magari seduti nelle ultime file, col vizio di ascoltare.
Dal punto di vista registico alcuni particolari – anche significativi – nei movimenti dei protagonisti e del coro sono stati cambiati, messi a punto o sottolineati con maggiore enfasi rispetto alle passate edizioni maceratesi, ma sostanzialmente l’impianto (vincente) rimane lo stesso. Mentre cambiano i costumi, creati ad hoc da Giancarlo Colis. Ieri mattina, nell’incontro col critico musicale del Corriere della Sera Enrico Girardi, nell’ambito degli Aperitivi culturali agli Antichi Forni, Brockhaus l’ha detto chiaro e tondo: quando ha iniziato a pensare alla regia di questa Traviata, prima ancora di sapere cosa fare, sapeva benissimo ciò che non voleva fare, ovvero una regia realistica. E la sua forza sta proprio in questo: nella contemporaneità, non suggerita da una trasposizione temporale ai giorni nostri fine a se stessa, ma data dallo stile con cui viene affrontata l’opera, uno stile che utilizza dall’inizio alla fine un linguaggio simbolico, un linguaggio identico in tutto il mondo, in ogni epoca e persino nella mitologia, quello sogni. La Traviata di Brockhaus arricchisce lo spettatore perché gli regala un avvicinamento poetico e non razionale al mondo, e il racconto sul palcoscenico si fa magia. Lo stesso specchio rappresenta un simbolo, e permette al pubblico una doppia lettura della vicenda, una in orizzontale seguendo l’azione sul palco, e una in verticale catturando prospettive e dettagli riflessi sullo specchio altrimenti inafferrabili. La forte connotazione simbolica e onirica si coglie già nella presenza dei protagonisti nel preludio, quando si raccontano in contemporanea, proprio come può succedere solo nei sogni, azioni accadute in tempi differenti: c’è Alfredo che legge le lettere di Violetta dopo la sua morte, c’è Violetta col barone Douphol nel pieno della sua bellezza, ci sono i parigini benpensanti che curiosano morbosamente in casa di Violetta e ne comprano i mobili all’asta. Poi il metaforico sipario si apre e la recita può avere inizio, si rinnova la meraviglia dei teloni dipinti che si riflettono nel gigantesco specchio obliquo creando i diversi sfondi, che scena dopo scena vengono sfogliati da terra uno ad uno, fino al pavimento nudo e nero del finale di morte in cui l’intera platea, che si guarda e si riconosce nello specchio alzato in verticale, viene attirata dentro al dramma e coinvolta nel dolore dei protagonisti.
Ma passiamo alla musica. In scena c’era una compagnia giovane e tutto sommato omogenea, diretta con sensibilità dal maestro marchigiano Daniele Belardinelli, che ha contribuito con la sua bacchetta alla piacevolezza dell’insieme. Certo, Myrtò Papatanasiu (Violetta), Ivan Magrì (Alfredo) e Luca Salsi (Giorgio Germont) raccoglievano un’eredità pesante. A passare loro il testimone nel capolavoro verdiano dello Sferisterio erano due cast stellari: l’indimenticata Giusy Devinu con la sua forza drammatica, il tenore Marcello Giordani con la sua irruenza fisica e vocale, e il mito Renato Bruson nella prima edizione del 1992, Luciana Serra con la sua raffinata esperienza, Roberto Aronica con la sua voce potente, limpida e morbida allo stesso tempo, Paolo Coni con la presenza magnetica e la profondità dei suoi accenti nella ripresa del 1995.
Il giovane cast del 2012 se l’è cavata abbastanza bene, con momenti più o meno felici. Tra tutti un bravo speciale va al baritono Luca Salsi, davvero autorevole nel suo ruolo dal punto di vista vocale, anche se forse un po’ meno credibile come anziano genitore, visto che non è stato per nulla invecchiato e sembra piuttosto il fratello di Alfredo! Ma Salsi, cantando con sicurezza e personalità, ha sfoderato una voce verdiana bella, piena e profonda in cui lo studio c’è e si sente. Il giovane soprano greco Myrtò Papatanasiu è partita, come già alla generale (anzi da quest’anno chiamatela anteprima!) un po’ in sordina, con qualche incertezza. Ma andando avanti ha preso sempre più coraggio, ha riscaldato la voce e ha finito in bellezza, crescendo in agilità e in intensità espressiva (vedi il duetto col baritono nel secondo atto e tutto il terzo atto). Una bella voce anche la sua, sorretta da una buona tecnica, che col tempo acquisterà di sicuro una personalità e un carisma più spiccati. Intanto la sua giovinezza, la sua bellezza e la bravura nella recitazione sono dei preziosi alleati per sostenere con successo un ruolo tanto impegnativo. Ivan Magrì, tenore dai lunghi capelli sciolti al vento caldo di ieri sera, ce la mette tutta e se anche talvolta dà l’impressione di essere preoccupato e di avere un po’ fretta (soprattutto nel prendere le note alte o tenere un acuto), alla fine porta in scena un Alfredo dignitoso, a parte un paio di imprecisioni dovute probabilmente alla tensione. Peccato che il continuo vibrato della voce tolga in un certo senso incisività alle parole e renda quasi monotono il canto.
Comunque, in un’apertura di stagione abbastanza low profile dal punto di vista del glamour in cui non si sono viste l’eleganza e la pomposità delle grandi occasioni, in cui molte signore hanno preferito le scarpe basse ai tacchi a spillo e molti uomini la camicia o la t-shirt a giacca e cravatta, il pubblico ha dimostrato di apprezzare con entusiasmo ancora una volta la Traviata degli specchi. Con buona pace del maestro Svoboda, la cui immagine sorridente proiettata sul muro dello Sferisterio è comparsa a fine recita per prendersi l’ultimo meritato e fragoroso applauso.
Appuntamento in Arena con le prossime recite di Traviata il 29 luglio, il 4 e 12 agosto. Stasera (sabato) la prima della Bohème, domani il debutto della Carmen.
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ma non era il SOF?
MI PIACE!!
Si sente un rumore di rosicamento
assordante !!!!
La domanda che mi sono fatto durante traviata ma l’orchestra dove era?
@gianni moretti: l’orchestra non si sentiva semplicemente perchè allo Sferisterio, grazie ad una politica iniziata molti anni fa e regolarmente praticata tuttora, si taglia ….. sulla musica.
L’organico dell’orchestra, infatti, è molto inferiore rispetto a quello che sarebbe necessario per un così grande teatro all’aperto. Io ho assistito solo alla prova generale di Carmen, ed ho fatto letteralmente fatica ad ascoltare l’orchestra, che nei “piano” e “mezzo forte” spariva quasi completamente, per non parlare di tutti quegli strumenti che per partitura o loro estensione suonano nel registro grave. Idem per il coro.
Diciamo che allo Sferisterio, purtroppo, i danni del passato non si eliminano, ma si consolidano negli anni, ed oggi si continua a tagliare sulle componenti principali dell’opera lirica che sono i cantanti e le masse.
In questo contesto, rappresenta per certi aspetti un’inversione di tendenza la chiamata di un indubbio professionista di grande spessore ed intelligenza, come Henning Brockhaus, che ha riscattato con la sua sola presenza anni in cui lo Sferisterio era in mano a gente come Massimo Gasparon.
Di certo uno spettacolo come la “Traviata” di Svoboda/Brockhaus è bellissimo ed ha avuto un meritato ed enorme successo. Chiaramente sarebbe stato un po’ più godibile se la direzione artistica avesse dotato lo Sferisterio di una “sorgente sonora” proporzionata al teatro (cioè un’orchestra ed un coro quasi doppi rispetto a quelli effettivamente utilizzati).
Anche perchè pagare 100 euri per tendere continuamente l’orecchio non è il massimo ……….
Ansio conosco tutte le disgrazie inerenti all’orchestra e al coro, intendevo il direttore non ancora pronto era pieno di paure ce l’ha trasmesse tutte….. Traviata anche con Mariotti piccolo non ebbe fortuna orchestrale speriamo bene la prossima
segnalo una recensione riguardante La Traviata allo Sferisterio
http://www.gbopera.it/2012/07/la-traviata-apre-il-macerata-opera-festival-2012/
ed ancora un’altra, anche in questo caso non edulcorata:
http://www.teatro.org/spettacoli/sferisterio/la_traviata_1440_23714