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Il moscone a quattro remi
è tornato di moda

VACANZE

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di Gabor Bonifazi

«Sesso bollente con la turista sul pattino: bagnino veneziano ci rimette il posto». Grazie a questa notizia dei primi di luglio dell’anno scorso finalmente il pattino (o moscone, che dir si voglia) usato negli anni Sessanta dai play boy come mezzo di seduzione, dopo essere caduto da anni nel dimenticatoio torna agli onori della cronaca e al rispetto che merita. Ma il moscone, così chiamato forse per via dello sciabordare dei remi, o pattino per via di pattinare sull’onda del mare, oltre ad essere culla dei desideri freudiani e fonte di barzellette oscene, era anche considerato un mezzo utile per l’avviamento allo sport dei bambini gracili, poiché il vogare aumentava muscoli e cassa toracica. Poi questo mezzo marino a due scafi a trazione umana, figlio della barca, iniziò un silenzioso declino dovuto probabilmente all’arrivo dei gommoni, dei pedalò, delle super leggere barche in vetroresina a motore e soprattutto dopo la nascita del figliolo più evoluto: il catamarano. Eppure già negli anni ‘30 un industriale di Tolentino aveva collegato al moscone un potente motore; successivamente altri aggiunsero le vele e l’anno scorso, dopo Ferragosto, a Porto Potenza ne è stato varato uno addirittura a quattro remi. L’ideatore di questo moscone innovativo battezzato “Freccia Azzurra” è Guido Graziani, classe 1922, un maestro d’ascia che ha trascorso la vita in vari cantieri navali (Merani, Santini e Eurovela) e che nei ritagli di tempo ha costruito diverse centinaia di queste curiose imbarcazioni che scivolano silenziose sulle acque azzurre, tra cui una utilizzata da Beniamino Gigli, altro amante dello sciabordare. Guido ci riceve in una capanna sul mare dove, se non fosse per lo sferragliare dell’Intercity delle tredici che ci riporta alla realtà, avremmo continuato a sognare tra scalmi e navigare seduti su seggiolini scorrevoli verso mari lontani con questo personaggio dolce e dalle mani sapienti, non lontano da quel “Santiago” di Hemingway.

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Il vecchio Guido nasce in campagna, a Montenovo, una contrada di Montelupone ma all’età di sei anni, quando scoprì il mare, fu subito amore e varò la sua prima barchetta a vela nel fosso che costeggia la chiesa di Sant’Anna per verificarne il galleggiamento. Insomma Graziani è nato con l’istinto della nautica, ne sa interpretare i disegni e proporre con passione nuove soluzioni per nuove sfide. Egli è orgoglioso della traversata dell’Adriatico, dalla Croazia alle Marche,  da Veli Rat al Faro di Porto Potenza in sole 28 ore. Primato raggiunto dal vogatore Giancarlo Gironelli sul prototipo costruito proprio da lui. Nonostante le tecniche di costruzione si siano evolute e i materiali da costruzione siano sempre più leggeri, il remo rimane l’oggetto più misterioso in quanto fatto completamente a mano, una vera scultura ricavata da una tavola d’abete con sapienti colpi di sgorbia di pialla e di raspa. Un ultimo sguardo alle stelle marine appese all’interno della capanna e ai cavalloni dal cannocchiale dell’andito e, mentre ripercorro il sentiero che costeggia la ferrovia e il sottopassaggio in compagnia di Vittorio Piangerelli, comandante di una vongolara e allievo del Graziani, non posso fare a meno di ripensare al colloquio, a Guido, al genero Andrea, e ai fratelli Bartolini suoi ospiti, senza citare Baudelaire: “ogni uomo libero amerà sempre il mare



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