Francesco Micucci
«Eccola la registrazione, nessuna strumentalizzazione da parte mia, ho buona memoria, quanto ho affermato corrisponde a verità». Botta e risposta fra il capogruppo Pd Francesco Micucci e l’assessore Barbara Capponi sull’intitolazione di una via ad Anna Frank a Civitanova. Dopo la proposta presentata dal Pd l’assessore aveva sottolineato come non corrispondesse a verità un suo disinteresse alla questione, portando a prova delle sue parole il fatto che al consiglio comunale del 2018 quando per la prima volta la minoranza presentò la sua mozione, lei stessa era assente. Micucci porta a riprova la trascrizione e afferma che seppur assente la Capponi aveva lasciato al sindaco una relazione nella quale la Capponi sosteneva la sua posizione sulla vicenda. «Se l’assessora Capponi è stupita e piccata dalle mie affermazioni, si figuri quanto lo sono io delle sue – controbatte Micucci – Infatti è proprio dalla registrazione del dibattito sulla mozione che ho evinto il mio intervento. È vero che la Capponi era assente (e nessuno ha mai scritto il contrario), ma è pur vero che il sindaco Ciarapica dice testualmente: “Su questo argomento non sono preparato, era preparata l’assessore Capponi. Per cui leggo la nota che mi ha scritto”. Ora è del tutto evidente che se la nota la scrive lei assessora, dovrebbe prendersi la responsabilità di quello che ha scritto – prosegue Micucci – Perché se vuole fare la morale agli altri, credo che non ci sia cosa più immorale che tirare il sasso e nascondere la mano».
Micucci passa poi a riportare anche quanto lasciato scritto dalla Capponi al sindaco: «Nello scritto consegnato al sindaco per la lettura in aula, tra le altre cose lei sostiene alla fine che sul tema “si può fare sempre meglio, senza necessariamente intitolare vie o distribuire libri nelle scuole” che è come voler dire che l’oggetto della mozione risulta inutile. Per cui nessuna strumentalizzazione da parte mia, casomai, buona memoria, quanto ho affermato risponde assolutamente a verità e lo ribadisco. Se l’amministrazione si muove con le scuole per dibattere questi temi e mantenere viva la memoria, ben venga, ma certamente la lettura di libri, ma ancor più la visita ai luoghi e una intitolazione imperitura di una via darebbero ancora maggior risalto alla volontà di mantenere una memoria collettiva di vicende che ci auguriamo tutti non tornino più».
«Una via per Anna Frank, da Micucci solo bugie Io ero assente al Consiglio»
Una via per Anna Frank, il Pd ci riprova: «Ipocrisia sul Giorno della memoria»
Micucci lo vedo in forma. Manca un mazzo de carte piacentine in foto ed è pronto per due pacche e un 31
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MARCO NON FARE LO SCIOCCO. LA COSA E’ PIU’ SERIA. SE LA CAPPONI SCIVOLA SULLA VIA PER ANNA FRANN E’ LA DIMOSTRAZIONE CHE QUESTA DESTRA NON HA LO SPESSORE, LA COMPETENZA E LA CULTURA PER GUARDARE UN PALMO PIU’ AVANTI. LA VIA ALMIRANTE POI VIA MANDELA?
MA SE CHIEDI ALLA CAPPONI SE SAPESSE CHE ALMIRANTE SIA STATO TRA QUELLI DELLE LEGGI RAZZISTE? MAGARI NON LO SA.
Anna Frank non fu la giovane ebrea che morì insieme a sei milioni di ebrei nei campi di sterminio nazisti. Fu soprattutto quella che ha continuato a dirci che credeva “nell’intima bontà dell’uomo”. Ossia, che crede che anche noi abbiamo “la intima bontà” e che ci battiamo contro tutte le oppressioni e tutte le guerre.
Merita una via. Soprattutto per ricordarci della nostra “intima bontà”. Che dovremo saperci guadagnare.
«Mai pronunciato parole su Anna Frank, ero assente dal consiglio quel giorno». Tipica estrapolazione da un qualcosa per dimostrare la mancanza di interesse sull’argomento. Ma poi leggendo tutti e tre gli articoli, che se Silenzi aveva le ruote era un carretto e che prima di essere sostituito dalla locomotiva poteva pensarci lui a fare una via ad Anna Franck, ecco che non ci sono dubbi. Poi dopo il candore mostrato dal sindaco nel dire che dopo essersi confrontato con l’assessora e parlando a nome della di Lei, afferma “ e non si esclude che sia già inserito nelle scuole della città” e ribadendo “è forte la volontà di questa amministrazione qualora ci sia la richiesta di materiale a questo proposito di intervenire”, (articolo precedente). Certo che a questo punto non può che essere irrefrenabile la voglia di prendersi a schiaffi da chiunque dovrebbe aver capito chi ha rivotato. Certo su questa nuova presa di coscienza politica del civitanovese minimo, medio e grande non ci scommetterei niente ma proprio niente . Comunque anch’io mi permetto di ribadire a me medesimo e non insieme ( a ciascuno il suo rimbrotto) a chi non vorrebbe passare per novella Crudelia De Mon, quando sia effettivamente avvilente tutto ciò. Pure di più! Ma è giusto che sia così. Del resto cosa aspettarsi da chi sta su in giunta da cinque anni, che sono sempre gli stessi e quindi che cosa ci sarebbe da attendere. Ma facciamoci il piacere!! Noi, loro no, loro che parlano tramite l’assessora di vera politica (in fondo, sempre all’altro articolo) disonorata da queste “ tremende bugie”. Sono anni che se ne parla ma la via non c’è, Fate Vobis. Comunque da un discorso all’altro, lasciamo il greve per il leggero, stavo pensando, visto che a Civitanova nemmeno più i carri si fanno a Carnevale e che quest’anno è improntato sulla caratteristica figura della Petena, il prossimo anno perché non scegliere colui che voleva vendere Civitanova agli abruzzesi dello Strever, l’amaro che gli è rimasto sul gozzo. Ci pensate che risate sgangherate nell’immaginarlo mentre la impacchetta e la porta alla posta e gli dicono che non sanno dove appoggiarla?
Gli “insospettabili” difensori della razza
A ottant’anni dal varo delle leggi antisemite in Italia, proviamo a offrire un breve repertorio del pensiero di insospettabili apologeti e teoreti del razzismo.
Il diciottenne Eugenio Scalfari, su Roma Fascista, il 24 settembre 1942, alla vigilia di un grande raduno a Venezia delle rappresentanze giovanili di Italia, Germania e Giappone, scrisse: «Il convegno di Venezia ha un significato essenzialmente politico; esso riunisce le forze migliori del Tripartito, quelle che sono depositarie e garanti dell’avvenire delle tre nazioni, quelle cui spetterà il compito gigantesco dell’Impero». Un fattore nuovo della storia del mondo, l’Impero, che il futuro fondatore della Repubblica descriveva come «tenuto insieme da un fattore principale e necessario: la volontà di potenza quale elemento di costruzione sociale; la razza quale elemento etnico, sintesi di motivi etici e biologici che determina la superiorità storica dello Stato nucleo e giustifica la sua dichiarata volontà di potenza».
E il giornalista Giorgio Bocca, sulla Provincia Grande – Sentinella d’Italia, foglio della Federazione fascista di Cuneo, il 14 agosto 1942, così si esprimeva: «Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa prima della guerra attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza, infatti, sarebbe una vittoria degli anglosassoni e della Russia; in realtà sarebbe una vittoria degli ebrei. A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere in un tempo non lontano essere lo schiavo degli ebrei? È certo una buona arma di propaganda presentare gli ebrei come un popolo di esseri ripugnanti o di avari strozzini, ma alle persone intelligenti è sufficiente presentarli come un popolo intelligente, astuto, tenace, deciso a giungere, con qualunque mezzo, al dominio del mondo. Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù».
Da parte sua, il giovane Giovanni Spadolini, sulla rivista fiorentina Italia e Civiltà del 15 febbraio 1944, denunciava la crisi progressiva del fascismo, iniziata nel 1936, «sicché esso perse a poco a poco il suo dinamismo rivoluzionario. Si cristallizzò in un partito borioso e pletorico, proprio mentre riaffioravano i rimasugli della massoneria, i rottami del liberalismo, i detriti del giudaismo».
In ambito cattolico, non furono rare le teste d’uovo che professarono idee razziste. Il ventitreenne Giulio Andreotti, sul numero di ottobre-novembre 1942 della Rivista del Lavoro, edita dalla Confederazione fascista dei lavoratori dell’industria, riferiva del Congresso della Società italiana per il progresso delle scienze. Riassumendo la relazione del filosofo del diritto Widar Cesarini Sforza, su «Stato e individuo nell’ordine politico e sociale moderno», il Divo Giulio affermava: «La società viene così concepita come un tutto, un corpo omogeneo, di cui lo Stato costituisce l’organizzazione giuridica trovando nelle finalità supreme della nazione o della razza la giustificazione perentoria della propria autorità, quella giustificazione che è viceversa impossibile trarre dalla società, quando questa è concepita, liberisticamente, come molteplicità di fini e di voleri. Poiché dunque l’autorità, e quindi la giustificazione dell’autorità, ossia di un volere superiore ai voleri individuali, non può essere ricavata da questi ultimi, gli Stati totalitari la ricavano dall’entificazione della società come un tutto, il che permette di dare un ordine unitario alla molteplicità dei voleri e dei fini particolari, e fornisce un criterio di valore assoluto per risolvere i problemi della convivenza sociale».
Significativo il contributo che Aldo Moro forniva all’elaborazione del concetto giuridico di razza, da lui definita «l’elemento biologico che, creando particolari affinità, condiziona l’individuazione del settore particolare dell’esperienza sociale, che è il primo elemento discriminativo della particolarità dello Stato». Nel 1943, il leader democristiano poi rapito e ucciso dalle Brigate Rosse qualificava la guerra come una «tipica realizzazione di giustizia», e aggiungeva: «In definitiva l’anima più profonda della guerra, il suo significato vero, il suo valore, sono in questo suo immancabile protendersi verso l’armonia dei popoli che essa, nella forma provvisoria della lotta, dà opera a costruire. Per questo la guerra può essere grandissima e umanissima cosa; per il suo immancabile anelito verso l’unità e la giustizia, per il suo accettare ogni prova, e quella suprema del sangue, perché la giustizia sia, talché proprio nella guerra della verità universale si afferma il supremo valore, se proprio per realizzarla gli Stati, e cioè gli uomini che sono gli Stati, accettano tutte le prove e tutti i dolori».
Amintore Fanfani, più volte segretario della Dc e primo ministro, in un suo libro del 1941, illustrava «il problema della difesa della Razza come necessità biologica e come fatto spirituale di fronte all’urgente necessità di distruggere quel fenomeno dell’ebraizzazione che dall’unità d’Italia in poi dilagò in tutti i campi della cultura, della economia, della politica».
E mentre la futura medaglia d’oro della Resistenza Paolo Emilio Taviani redigeva uno studio intitolato Come il nazionalsocialismo risolve il problema classista, un altro partigiano bianco, Benigno Zaccagnini, segretario dello Scudocrociato dal 1975 all’80, l’11 febbraio 1939 firmava, sull’organo del Gruppo universitario fascista di Ravenna, un articolo contro il meticciato. L’onesto Zac definiva la razza come «un termine intermedio e di legame tra l’individuo e la specie, ossia fra due termini opposti di ordine massimamente particolare l’uno e di ordine sommamente unitario e generale l’altro; intendendo la specie, nel suo significato biologico, come la somma di tutti gli individui capaci di dar fra loro incroci fecondi». Ne derivava una dura condanna della mescolanza tra etnie, considerata «un tentativo di rompere l’equilibrio nella direzione di una eccessiva dilatazione dei confini razziali». Zaccagnini aggiungeva: «I pericoli e i danni del meticciato sono innanzitutto di ordine genetico», e si manifestano nella «comparsa di figli notevolmente disarmonici e portatori di più o meno gravi squilibri genetici». Infine: «Il meticcio, per il suo carattere intermedio fra le razze d’origine, viene da entrambi i genitori riguardato in genere come qualcosa di estraneo e finisce per crescere fuori da ogni ambiente come un reietto o un rifiuto per tutti. Ciò si risolve da un lato in un grandissimo rallentamento di ogni vincolo familiare e dall’altro in un’assoluta mancanza di educazione morale e intellettuale di questi infelici, non solo, ma in una continua eccitazione dei loro più bassi istinti (odio, vendetta, furto) da parte di un ambiente universalmente ostile».
Roberto Festorazzi
…caspita, Almirante è quello delle leggi razziste, sostiene qualcuno (dimenticando i fascistissimi poi diventati compagni, come, ad esempio, Giorgio Bocca, Dario Fo, Eugenio Scalfari, Enzo Biagi, Norberto Bobbio, e questo per citare solo alcuni tra i più “famosi”), certo, mentre il compagno Togliatti (il migliore!!!), oltre ad essere stato per anni il braccio destro e “collaboratore” di quel brav’uomo di Josif Stalin, nel 1936 sosteneva e scriveva “Fascisti! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi”. Certo, però qualcuno ha solo letto la storia di Almirante, dimenticando che “Quando comincia una guerra, la prima vittima è sempre la verità, quando la guerra finisce, le bugie dei vinti sono smascherate, quelle dei vincitori diventano storia”, come sosteneva Arrigo Petacco, che consiglio di leggere a molti “colti” compagni smemorati e “paraocchiati”!!! gv