di Luca Patrassi (Foto di Fabio Falcioni)
La riapertura della chiesa di San Giovanni, a distanza di 25 anni dalla chiusura, è fissata per il prossimo 17 dicembre, evento inaugurale alle 10,30 nella piazza adiacente e alle 17,30 la presentazione storico ed artistica all’interno della chiesa. La messa di consacrazione è in programma per domenica 18 dicembre alle 16. Prima del doppio rito, civile e religioso, ci sarà un altro momento di festa, l’inaugurazione delle campane in programma per il 7 dicembre, si inizia alle 17 con una conferenza nell’auditorium della biblioteca Mozzi Borgetti e alle 19 ci sarà la benedizione delle campane a cura del vescovo. Stamattina la chiusura del cantiere e i contenuti della chiesa rinnovata sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa all’auditorium della biblioteca comunale Mozzi Borgetti.
Da sinistra: Rosaria Del Balzo Ruiti, presidente della Cri e della Fondazione Carima, il sindaco Sandro Parcaroli, il vescovo Nazzareno Marcon, l’architetto Giovanni Issini
Ad aprire i lavori il vescovo Nazzareno Marconi che ha ripercorso la storia della chiesa di San Giovanni, la chiusura venticinquennale per gli effetti del doppio sisma, quello del 1997 e quello del 2016, e l’esito finale. «La riapertura – ha inizialmente detto il vescovo – arriva nel giorno del settantesimo anniversario dell’intitolazione di Macerata come Civita Mariae, è il compimento di una storia iniziata con il terremoto Marche-Umbria del 1997 che ha fatto chiudere la chiesa seicentesca dedicata ai due San Giovanni, Battista ed Evangelista. Il sisma del 2016 ha aggiunto ulteriori danni a quelli precedenti, peraltro con la beffa derivante dal fatto che le prime ordinanze non permettevano di agire su una chiesa già inagibile. Nonostante quella situazione, nel 2016 la Diocesi fece uno studio preparatorio con fondi diocesani ipotizzando un restauro di grande qualità pur non avendo i soldi e nemmeno la prospettiva. Da quello studio però iniziò la comprensione di come quella di San Giovanni sia una chiesa particolare, una storia particolare che porta la firma di un grande marchigiano, quel Rosato Rosati, nato a Montalto e morto a Roma, giurista di formazione, ma architetto per professione. Rosati progettò chiese importanti a Roma con intuizioni geniali, la chiesa di San Giovanni fu la sua ultima opera e la realizzò con tutta la passione e le competenze che aveva, destinandovi infine anche tutti i suoi averi.
La sua tomba è nel presbiterio, ne abbiamo rinnovato la lapide, lo meritava. Era, al momento della sua realizzazione, la chiesa del collegio gesuitico, chiamata a sostituire una chiesa del 1200, incarnava il pensiero gesuitico anche nei suoi segni. Prima di tutto l’ubicazione doveva essere centrale perchè bisognava cercare Dio nel cuore dell’umano, quindi al centro, poi la pianta doveva essere a croce latina, la parola di Dio doveva essere per tutti, poi nei punti principali doveva esserci Ihs, il trigramma di abbreviazione del nome di Gesù, poi doveva essere sottolineata l’importanza dell’Eucarestia, cura particolare per altare e presbiterio, poi nelle opere dovevano essere presenti i santi principali dei Gesuiti, dal fondatore Sant’Ignazio al missionario Francesco Saverio, infine lo stile barocco che fa incontrare il mistero di Dio con tutti i cinque sensi».
Dai contenuti della chiesa alla storia dell’intervento di restauro nelle parole del vescovo Marconi: «Primo sostegno dall’amministrazione regionale a guida Ceriscioli, i fondi individuati erano quelli europei, il sindaco del capoluogo allora era Romano Carancini. La situazione sembrava essere quella di Tom Cruise in Mission Impossible, nel 2018 si firmò l’accordo con la Regione e il Comune, nel 2020 cambio delle amministrazioni comunale e regionale, anche i nuovi amministratori hanno compreso il valore del progetto, lo hanno sostenuto e incoraggiato, un grande atto politico: nessuno deve prendere una bandierina, queste sono bandiere per tutti. Durante i lavori emergevano tante cose interessanti che hanno spinto a fare un grande restauro grazie a una lunga e fruttuosa collaborazione con la Soprintendenza, anche per rendere fruibile la bellezza di questa chiesa».
Un’opera d’arte che torna a splendere, un luogo di culto che torna alla comunità cristiana, il vescovo non dimentica chi ha avuto grande parte in questi anni di lavoro: «Quando ci sarà l’inaugurazione ci sarà posto per tutti, le prime file non saranno solo per le autorità ma anche per gli operai, i tecnici e tanti hanno operato, a San Giovanni c’è stato un magistero del lavoro, hanno lavorato con passione e meritano la prima fila». La gestione futura: «Una chiesa per vivere va riempita di preghiera e curata con amore, qui ho trovato la comunità dei Figli del sacro cuore, per questo la custodia la affido a questa comunità, i gesuiti sono i diffusori della devozione de sacro cuore in tutto il mondo, la chiesa non è di una comunità, è servita da una comunità, la chiesa è della gente, la chiesa è del popolo».
Dal vescovo si passa al soprintendente per le province di Ascoli, Fermo e Macerata (quella Soprintendenza che ha sede ad Ascoli pur avendo Macerata la maggioranza dei beni vincolati nel territorio citato), l’architetto Giovanni Issini: «Concordo con il vescovo, quello di San Giovanni è un restauro storico, non sono qui come persona ma a rappresentare un gruppo, la Soprintendenza ha svolto un ruolo da protagonista per il compito istituzionale ma i veri protagonisti sono stati i progettisti, gli esecutori, la proprietà, la comunità maceratese.
Questo della chiesa è un primo step di un processo più ampio che si sta sviluppando nell’area con la biblioteca, vicolo dell’Abbondanza e il museo di Palazzo Ricci. La chiesa di San Giovanni ha avuto un iter progettuale molto lungo, più della fase dedicata ai lavori: più si approfondisce nel dettaglio il restauro, più l’intervento è veloce e meno invasivo, c’è stato un confronto positivo per far vivere nel presente questo monumento mantenendo i valori storici artistici, sono state trovate soluzioni condivise ed equilibrate, frutto di una imponente ricerca storica in archivi pubblici e privati. Voglio citare, per tutti quelli della Soprintendenza che hanno operato, gli architetti Salvati e Bellesi e lo storico dell’arte Moriconi. E’ stata un’esperienza molto utile, metodo di lavoro da prendere ad esempio. Il desiderio di riappropriarsi di questo bene è stato il motore di tutto. Vedendo le foto delle maestranze al lavoro, penso che si debba fare in modo che di questo cantiere rimanga in futuro il racconto, vedere le fasi creative del cantiere che determinano l’immagine finale, fa rendere conto della complessità dell’intervento».
(Foto Diocesi)
Il microfono passa al sindaco Sandro Parcaroli: « Il Comune – ha osservato il primo cittadino – è stato sempre vicino a questo progetto con i suoi tecnici, consapevole dell’importanza che questa chiesa ha, tutti i giorni ho seguito il cantiere quasi come un architetto, da curioso, 14 mesi di lavori in una chiesa fantastica, per due volte ci sono entrato. Una volta entrato mi sono trovato in una cosa immensa, bellissima, cupola fantastica, stasera accederemo le luci e torneremo a guardare San Giovanni illuminata e a sognare, vedremo la potenza del Signore, quasi mi dispiace che è finita, era bello vedere quel lavoro, stiamo facendo rivivere la città nei suoi spazi più belli».
«Dulcis in fundo » per stare alle parole del moderatore della conferenza, l’intervento della presidentessa della Fondazione Carima Rosaria Ruiti Del Balzo: «Come Fondazione non potevamo non esserci, abbiamo ricordato ieri quello che la Fondazione ha fatto in questi 30 anni per il territorio. Ho seguito i lavori di restauro tutti i giorni vivendo in quella piazza, persone straordinarie e atmosfera straordinaria tra tutti i lavoratori, per tutti vorrei citare Giacomo Alimenti. Con grande piacere la Fondazione ha collaborato, il restauro della chiesa di San Giovanni è un’eccellenza che ricorderemo come Fondazione per tanti anni, ricostruzione di una comunità cittadina che tornerà a vivere momenti importanti in un luogo straordinariamente bello, la bellezza ci avvicina a Dio, è un momento di grande gioia e di felicità» Ci sono i ringraziamenti all’architetto Michele Schiavoni che ha diretto le complesse fasi del restauro.
La facciata della chiesa di San Giovanni scoperta dopo i lavori (foto Falcioni)
(Foto Diocesi)
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E’ grande questa nuova amministrazione.
In Friuli nel 1976 dissero: Prima le fabbriche, poi le case ed il fine le chiese.
Questa Amministrazione Regionale è cosi grande, così come quella Comunale, che in due anni è già arrivata al terzo stadio.
La chiesa della mia parrocchia era, molti anni fa, San Giovanni.
Poi la parrocchia di San Giovanni fu inglobata nella parrocchia del Duomo e la chiesa di San Giovanni fu chiusa.
Ora la chiesa del Duomo è chiusa e riapre la chiesa di San Giovanni.
Quindi presumo che la chiesa della mia parrocchia sia San Giovanni.
Mi sembra di capire che l’aministrazione e la custodia della mia parrocchia sarà quindi affidata a una comunità.
Ma se avessi bisogno di parlare con il parroco della mia parrocchia a chi devo rivolgermi???