di Silvano Iommi*
Prosegue indisturbata l’avanzata demenziale di quel cascame culturale che, a partire dal “carillon” in poliestere policromo posto sulla Torre Civica, ha invaso Macerata ormai da oltre un decennio. Dalla illuminazione del Monumento ai Caduti a quella dello Sferisterio questo cascame culturale, ora nascosto sotto la più nobile veste del “Light design Strategy”, sta invadendo in questi giorni anche Piazza della Libertà (già Piazza Maggiore sin dal Rinascimento), dove è iniziata la fase di installazione delle strisce luminose.
Si sa da sempre che i “Luna Park”, i fuochi d’artificio e giochi di luce notturna riscuotono un gradimento di massa, quindi, sembra che su tale presupposto sia venuta meno ogni resistenza culturale a difesa dei beni storico monumentali. Sembrerebbe che non interessi più nemmeno alla Soprintendenza, che un tempo vigilava su ogni minimo aspetto della tutela dei beni storico monumentali, se si stanno facendo centinaia di fori sull’antica e fragile cornice lapidea “marcapiano” del Palazzo Legatizio, già primitiva sede comunale nel 1238 (oggi Prefettura).
Gli spazi, i manufatti e i beni di interesse storico-artistico vanno certamente recuperati, illuminati e valorizzati per accrescerne anche l’attrattività, ma questo non può avvenire affidandosi unicamente alla moda diffusa dai cataloghi commerciali sulla vendita di strisce luminose, usate indistintamente per il bagno di casa, la vetrina di un negozio o la pista di atterraggio di un aeroporto.
Ogni Piazza e/o monumento della città storica è sempre un “bene posizionale unico” e come tale va prima studiato, compreso ed infine illustrato anche attraverso l’uso della illuminazione. Tuttavia, questa illuminazione non deve essere mirata ad alterare la percezione visiva dei caratteri stilistici originari dell’opera, come invece avvenuto in particolare nella parte curva dello Sferisterio.
Se questi sono i precedenti e nulla è cambiato nel metodo di approccio progettuale, così come tutto farebbe pensare vista la totale assenza di un confronto tecnico-culturale aperto e trasparente, non possiamo aspettarci nulla di buono per la città.
Le foto storiche della piazza mostrano i vari tentativi compiuti come nell’ultimo secolo di illuminare e rendere più decorosa la piazza: la fontana centrale a laghetto circolare con getto centrale del 1889; i quattro lampioni giganti in ghisa a due braccia posti ai quatto angoli della piazza (1890-95); la curva e lunga pensilina in ferro e vetro del teatro Lauro Rossi anni 50; la vasca rettangolare detta di “Perugini” del 1950 circondata da aiuola floreale.
*Silvano Iommi, architetto maceratese
Rilievo della piazza eseguito nel 1622 dall’architetto milanese padre G. Antonio Mazenta, con indicato il pozzo monumentale (cerchiato in rosso), e l’ingombro della nuova chiesa di
San Paolo da realizzare previa demolizione dell’isolato preesistente
#pecoroni
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Alcune considearazioni:
1.ma queste illuminazioni che da ignorante ammetto di apprezzare (perché al netto del non valorizzare per nulla e valorizzare con qualche possibile errore/generando dibattito preferisco la seconda modalità) non passano attraverso progetti dell’accademia delle belle arti? Sbaglio? Perché allora c’è uno studio serio dietro e mi piacerebbe sentire cosa ne pensa chi questi progetti li ha concepiti. Nulla togliere all’opinione di Iommi, ma vale la pena di sentire più voci di esperti, anche in contrapposizione.
2. Vedere le tante immagini proposte è molto interessante. Ogni epoca ha reinterpretato la piazza che ne trae un carattere legato alla sua epoca. Questa cosa è bellissima. Degno di nota, ad ogni modo, il fatto che molti elementi stilistici si son poi abbandonati. Mentre al mio occhio sono apprezzabili i lampioni, la fonte centrale (molto interessante e a me precedentemente ignota) e la pensilina del teatro, più bruttine erano le logge chiuse, l’aiuola e la fontana. Ah e le famigerate orrende, terribili e indecenti tapparelle verdi.
3. Ma quanto è più sensato il palazzo della prefettura con le persiane? Perché quegli orrori delle tapparelle verdi (pur messe in un periodo in cui potevano considerarsi d’avanguardia) hanno resistito? Vi prego mandiamole in pensione!
Caro Silvano, apprezzo le tue critiche. E anche quella del signor Perri che pone interrogativi non banali. Io non sono un architetto e neppure un designer, ma una cosa è certa ( ovviamente per me) e propongo una metafora “clinica”. Il medico di un tempo, non aveva come quello di oggi, gli strumenti diagnostici attuali, capaci, come è noto di analizzare e e scoprire la patologia. Il medico di ieri, senza strumenti, era “costretto” ( lo dico in senso positivo) ad analizzare “l’insieme” dei sintomi del paziente, in senso unitario, si potrebbe dire, o olistico. A lui non dovevano sfuggire i “dettagli”. La città, soprattutto la parte “storica”, a mio avviso, dovrebbe essere “analizzata” con quella lente antica e globale, unitaria, appunto. E qui, allora, entra in azione la presenza ( o assenza) di cultura storica e stilistica ( aggiungo). Il tutto deve essere letto si nel dettaglio, ma questo ( il dettaglio) deve o dovrebbe essere “comparato” alle “immediate vicinanze” di altre strutture contigue. Dunque solo al coscienza-conoscenza storica rende plausibile un intervento di restauro e\o innovazione. Insomma, avanguardia ma nella tradizione. Il resto è sperimentalismo accattivante, bimbo settimino. Saluti da Guido
La luce nulla illumina.
Il sapiente nulla insegna.
La parola dice qualcosa?
La scienza all’accoglienza dice qualcosa?
E la libertà alla resilienza?
Cascame culturale – come ben dice Silvano nell’articolo – sempre più dilagante, l’emblema della politica superficiale e di sola facciata del decennio caranciniano.
Peccato che la fontana è la fonte centrale non siano stati ripristinati
Caro Silvano, stimo molto il tuo impegno di ricerca, un po’ meno qualche svarione in cui incappi, per niente la foga censoria che fai sempre cadere dall’alto. Prima ancora di ragionare su quello che non apprezzi, scrivi di “avanzata demenziale di un cascame culturale” (che si addice evidentemente anche allo stesso linguaggio che usi) ed evochi già autorità sovrintendenti. Un’illuminazione è un’illuminazione, non interviene sulla struttura né ne cambia l’architettura, semmai soltanto e temporaneamente la percezione visiva, che può essere corretta oppure no, piacere o non piacere. I “buchi” rischiano di lasciare segni? Chiediamo che i lavori siano rigorosamente rispettosi e recuperabili. Alessandro Perri ha qui un approccio colto e informato, appassionato e civile, e richiama il contributo della nostra Accademia di Belle Arti di cui anch’io avevo letto; condivido le sue riflessioni. Se si vuole aprire un dibattito, spesso necessario e sempre utile, facciamolo senza partire da anatemi, e senza partito preso.
Censura no moderazione!
Silvano Iommi Sindaco!