La Ferrero mette le radici nel Maceratese. Ha sottoscritto infatti a settembre, ma è stato reso noto solo in questi giorni, un contratto di filiera del progetto del “Progetto Nocciola Italia” con la Cooperativa Agricola Montesanto di Potenza Picena. L’oggetto dell’accordo è un centro di aggregazione e raccolta che in un primo momento mira a coprire tutta l’area centro meridionale della regione Marche, per poi potenzialmente arrivare ad estendersi anche nell’area nord della regione nei prossimi anni. «Dopo aver attentamente valutato la concretezza del progetto e la chiarezza delle condizioni, – scrive il direttore della Montesanto Paolo Berardi – si è deciso di cogliere questa ottima opportunità ed oggi possiamo comunicare di aver concluso il contratto di filiera con la Ferrero, grazie anche alla fattiva e competente collaborazione messa in campo con la Vinea di Offida. L’evoluzione e l’assetto delle aziende agricole in questi ultimi anni è cambiato notevolmente. Ci troviamo di fronte ad aziende con superfici medio piccole difficili da gestire con difficoltà di bilancio, pertanto la coltivazione del nocciolo è una valida alternativa. Mentre per le aziende medio/grandi è una diversificazione che aiuta il bilancio complessivo aziendale».
Insomma Berardi non si nasconde dietro a un dito e svela l’interesse economico: «Siamo i più grandi consumatori di nocciole nel mondo ma ne produciamo solo il 12%, secondi dietro alla Turchia. Le aziende agricole non vivono più e per noi è una possibilità di alzare i ricavi». Non è ancora possibile conoscere la mappa dei noccioleti che saranno piantati nel Maceratese: «Saranno nell’interno – precisa Berardi – da Macerata in su, sono zone vocate dove i noccioleti a volte nascono persino spontaneamente. E’ una coltivazione già testata e metteremo in atto tutte le misure necessarie, ad esempio l’impianto a goccia per irrigare senza sprecare acuqa. Nelel Marche copriranno un massimo di mille ettari». «Il Progetto Nocciola Italia, promosso dalla Ferrero Halzelnut Company – si legge in una nota – la divisione interna del Gruppo Ferrero interamente dedicata alla nocciola, mira infatti a sviluppare una produzione corilicola al 100% italiana, attraverso la creazione di un sistema di sviluppo territoriale, condiviso con gli attori della filiera, per una diversificazione della agricoltura italiana. L’Italia rappresenta oggi il secondo fornitore a livello mondiale con una quota di mercato tra il 10-15% mentre a grande distanza la Turchia è al primo posto con il 70% circa del mercato complessivo. Grazie alla scarsa manodopera necessaria e alla lunga durata dell’impianto, il noccioleto garantisce prospettive di reddito certe. Pensiamo che la regione Marche bene si presti in molte aree alla coltivazione delle nocciole come dimostrano i primi appezzamenti piantati in zona negli scorsi anni e soprattutto lo conferma la presenza sul territorio collinare e di prima montagna di vaste aree coperte da alberi di nocciolo selvatico che storicamente risultano essere produttivi».I noccioleti si stanno diffondendo anche in Umbria e in Abruzzo ma soprattutto in Toscana avevano trovato l’ostilità legate all’impatto elevato della monocoltura.
(redazione CM)
Una monocoltura non e' mai una buona cosa, sara' solo un grosso problema.
Importante che non diano il trattamento erbicida x raccogliere
La monocultura implica una drastica riduzione di biodiversità. Pertanto c è poco da star sereni
...verranno attirati dal l'abbondanza di cibo scoiattoli, ghiri, moscardini ed altri piccoli mammiferi che saranno "tenuti sotto controllo" per evitare perdite di produzione....
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Allora le vigne, gli uliveti, gli aranceti . . .non sono monocoltura?
Per meglio illustrare il progetto riteniamo opportuno dare qualche ulteriore informazione.
Nelle Marche la superficie agricola utilizzata (SAU) è 471.000 ettari. Le piantagioni fruttifere più importanti sono: 17.000 ettari di vigneto (3,61%), 10.000 di oliveto (2,12%), 16.000 di frutteto (3,40%). L’obiettivo è di raggiungere 1.000 ettari di nocciolo nella nostra regione, parliamo di un 0,21% della SAU. Considerando che questa tipologia di coltivazione richiede al massimo un 1/4 dei trattamenti di un vigneto o di un frutteto, possiamo oggettivamente valutare quanto possa essere insignificante l’impatto. Stiamo parlando di una coltivazione storica del nostro Paese che è presente in molte regioni e che non rappresenta una novità o una moda.
La monocoltura è un termine agricolo che consiste nell’adibire vaste zone di territorio alla coltivazione di un’unica specie vegetale, in maniera intensiva e standardizzata; indubbiamente non è questo il caso.
Che ne è del maggese? Si farà?