L’incontro con Ferrero e Montesanto, a destra Ivan Seri
di Federica Nardi
Per accedere al contratto un minimo di 100 ettari, che per essere remunerativi però dovranno arrivare almeno a 500 in cinque anni, con un contratto fino al 2037. Mentre nella Tuscia alcuni sindaci firmano per evitare di far impiantare noccioleti intensivi (avendo già toccato con mano i problemi che portano le monoculture), il progetto “Nocciola Italia” della Ferrero approda anche in regione e in provincia. Oggi l’incontro con gli interessati all’Abbadia di Fiastra.
A illustrare il contratto che sta alla base del progetto (che le singole aziende sottoscrivono con una cooperativa che a sua volta firma con la Ferrero) è stato Ivan Seri, agronomo della Ferrero. Presente anche la cooperativa Montesanto, che ha organizzato l’incontro. A organizzare anche Silvano Ramadori, presidente dell’associazione provinciale Imprese di meccanizzazione agricola e industriale (Apimai). L’obiettivo della Ferrero sul territorio nazionale è aggiungere 20mila ettari di noccioleti ai 70mila già esistenti da cui attingere per far fronte a un mercato turco particolarmente instabile. Certo, non una soluzione definitiva, dato che come ha spiegato Seri, questi 20mila ettari «rappresentano poco meno del 5 percento della produzione Ferrero. Ci interessa la qualità come valore aggiunto, che le nocciole siano tracciate».
A nord delle Marche c’è già una realtà pronta a firmare e la Ferrero sta già prendendo accordi con istituti finanziari (tra i quali Ubi, ma anche realtà locali) per studiare un “prestito” che funzioni da pre ammortamento per chi decide di aderire, dato che i noccioleti ci mettono cinque anni per dare, letteralmente, i primi frutti. Per cui si comincia a ripagare il prestito solo dopo la prima raccolta. Il prezzo del contratto è aggiornato ogni tre anni: dipende dalla qualità del prodotto, dal prezzo turco e così via. Si forma su una media tra il prezzo italiano (al 70 percento) e il prezzo turco (al 30 percento) più una serie di bonus che dipendono dall’adattabilità, produttività, pelabilità, rotondità e fragranza delle nocciole prodotte e anche dal tipo di pianta. Se il mercato non andasse bene a causa della contrazione del mercato turco viene inoltre garantito un prezzo minimo di acquisto: 1,94 euro al chilo (il prezzo attuale è circa 2,50 euro al chilo). Montesanto e Ferrero però non vogliono «che sia un salto nel buio», per cui ci sarà anche un’assistenza tecnica, compresa quella (facoltativa) sui vivai comprare le piantine migliori e a miglior prezzo. La volontà è anche quella di «evitare cavolate e di avere una struttura sul territorio» spiega Seri, che fa l’esempio della Sicilia dove Ferrero non compra più. Lì restano campi di noccioli abbandonati della dimensione del territorio di Firenze.
Nelle Marche l’obiettivo minimo è di 500 ettari «un po’ a nord e un po’ a sud, con un centro di conferimento dato che la raccolta non avviene tutta insieme ma in diversi periodi». A mancare all’appello inoltre sono le cosiddette “carte di vocazionalità”, cioè quelle che indicano se un terreno è adatto o no alle nocciole. Cinquecento ettari, spiega Seri, «è il volume minimo remunerativo. Viene anche fornito un contratto di servizio per evitare i costi di prepulitura, pulitura, stoccaggio. Le aggregazioni (cioè, presumibilmente, le cooperative agricole che raduneranno i proprietari terrieri, ndr), dovranno essere invece autonome nell’essicazione». Del prodotto Ferrero poi acquista per contratto il 75 percento («il restante va a chi preferite. Se avessimo acquistato al 100 percento l’antitrust ci avrebbe bloccato», spiega l’agronomo). E l’unica penale è per chi vuole uscire prima del tempo: «Se un anno il prezzo di mercato “schizza” siete liberi di uscire. Ma non potete più rientrare, neanche con un altro “nome”, dato che tracciamo la particella del terreno». Una grande occasione sulla carta, ma pochi gli approfondimenti sull’impatto ambientale, che pure pesa e non poco in una provincia attraversata da riserve, parchi naturali e da una biodiversità che è parte del patrimonio locale. Sui sindaci del Viterbese in rivolta la risposta è un «no comment». Sui fattori ambientali Seri è ottimista: «A Viterbo ci sono zone con solo nocciole. Presumo che qui non avverrà».
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Non vi fate abbindolare, siamo già pieni di impestanti. Ormai la Ferrero di qualità non ha più niente. Persino la Nutella è fatta con l'olio di palma. Una volta era d'oliva!
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Diffido molto! Se la Natura è maestra di benessere è consigliabile rispettarla! Non a caso ci ha ospitati su estese pluricolturali, immuni da veleni!La recente storia ci ha,inoltre, ripetutamente insegnato che l’uomo può disastrare l’ambiente, ma ne ripaga sempre le conseguenze!
C’è da augurarsi che siano stati invitati agronomi di qualche Comune marchigiano, gli unici che possano evidenziare gli svantaggi del progetto.
quanno ce mette le ma le multinazionali….. vai tranquillu